Capitolo 1

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CURA DEI MALATI PSICHIATRICI.

Nel 1904 fu creata la prima legge sulla malattia mentale.
Serve per salvaguardare la pubblica decenza, per difendere la morale pubblica da soggetti deviati che,
con il loro comportamento, danno scandalo e che vengono, quindi, ricoverati (carcerati, rinchiusi) in apposite strutture dette manicomi, dove si entra con stupefacente facilità, perdendo tutti i propri diritti civili.
La storia che vi vado ora a narrare racconta di un caso non certo unico e non certo raro,
ma che sicuramente non è finito come molti altri.


Pazzia -1-



-Vi dico, quindi, che mio nipote è una vera vergogna per l'intera comunità con il suo comportamento osceno! La sua malattia è palese e prospera di giorno in giorno, vi chiedo quindi di prenderlo in custodia, per impedire che il nome della famiglia venga ulteriormente compromesso dallo spirito demoniaco che ha fatto impazzire questo giovane. Sano e vitale, fino a che la sventura lo ha colpito, prima privandolo appena nato della madre e poi dell'appoggio e della guida del padre, il mio amato fratello, in tempi recenti. Questi eventi così traumatici hanno lasciato il segno sulla mente debole di mio nipote e chiedo a voi di aiutarlo, sapendo di affidarlo così a chi può ricostruire la mente infranta del mio amato figlioccio!-

Con queste parole mio zio Alaster segna il mio destino. 

Fato peggiore non può esserci.

Vuole per sé l'immensa eredità lasciatami dai miei defunti genitori e riesce, grazie alla sua eloquenza, a farmi internare in questo posto puzzolente e solitario, dove mi sto lentamente consumando e altrettanto lentamente sto impazzendo.
Impazzendo per davvero, stavolta.
Non sogni e visioni indotte dalla droga che mio zio mi aveva somministrato per mesi e che aveva convinto i dotti uomini, e chiunque mi conoscesse, della mia follia, no. Una scelleratezza vera, invasiva, che mi entra nel cranio martellandolo con voci e parole che non ho mai detto o mai vorrei dire, portandomi a gridare, bestemmiare e così incorrere nell'ira dei guardiani e del padre superiore che ci ha tutti in custodia.
Ormai penso che tutte le punizioni di questo posto siano passate sulla mia pelle, sempre più pallida, e sono stanco.
La mia mente vacilla in continuazione e mi chiedo se ancora sarei capace di sostenere una normale conversazione, vivere nel mondo, se ancora posso definirmi uomo.
Ora ho diciotto anni e un intero anno della mia vita lo ho passato qua, tra queste mura grigie e queste inferriate di metallo nero e rugginoso.
Il cielo visto a sprazzi, quando avvicinarsi alle finestre non è proibito, è divenuta l'unica e rara nota di colore.
Camicioni grigi e informi che abbracciano i nostri corpi spesso segnati dai segni violacei e sanguinanti delle cure che definirei torture, corridoi spogli e cosparsi di corpi vivi, ma senza coscienza. Esseri abbandonati come abiti smessi, sbavanti o urlanti, rinchiusi nei loro personali incubi.
Pietra cinerea e salda come quella della migliore prigione e gli infermieri, in realtà i nostri aguzzini spietati, che abusano di donne e uomini senza ritegno, a volte mutilando affinché chi tra noi ancora conserva senno, pudore e onore, non possa parlare. Anche se nessuno darebbe credito alle parole di un pazzo. Potrei uscire e urlare tutta la verità, portare racconti raccapriccianti, eppure nessuno mi darebbe ascolto.
La campana della piccola cappella suona oltre le finestre da cui entra il flebile soffio tiepido della primavera e so che è il segnale che ci chiama all'enorme stanza dove ci è dato il cibo.
Nutrimento povero e insalubre, ma l'unico che ci sia concesso in questo limbo dimenticato da Dio e dagli uomini, Purgatorio e Inferno su questa terra macchiata di stupidità e ignoranza.

Mi muovo a piedi nudi tra i corpi di chi non ha forza o volontà e si lascia morire lentamente, divorato dal mostro senz'anima che è questo luogo.
Il pavimento freddo e lercio è a contatto con la mia pelle resa nera dallo sporco, ma pallida come la luna sotto di esso. Il camicione ampio e svolazzante attorno al mio corpo segna la mia magrezza, sono ormai simile al più sottile dei giunchi, segnato dai colpi di chi ha potere di vita e morte su di me.
Quali peccati ho potuto mai fare nella mia breve vita libera?
Quali abbiette azioni ho mai compiuto?
A quali perverse situazioni il mio comportamento può aver dato origine, perché una punizione così ingiusta e sfiancante mi sia giunta?
Dio, se ci sei, rispondimi!
Dio, se esisti, parlami in questo luogo di folli dove la mia mente viaggia lontano, ma non giunge mai a nulla!
Dio, mi sono stancato di appellarmi a te che mi ignori!
Dammi una prova sola della tua esistenza e della tua bontà e di certo troverò la forza di andare oltre questo giorno e quelli seguenti, ma se mi lasci solo non vedrò mai la luce di un'altra primavera.
Dio, non sei forse amore per tutti gli uomini?
Eppure, Mio Signore, in questo luogo, non vedo mai giungere la tua luce.

Mi trascino con passo lento e fiacco, dondolando sulle mia gambe stanche come un marinaio che non conosce la terra da troppo tempo e vi torna incapace di ricordare altro suolo se non quello della nave ove per mesi ha dimorato.
Un corridoio pieno di spettri simili ma non uguali a me, alcune urla rauche e secche, e il lungo tavolo di legno vecchio e segnato al centro della grande e fredda sala.
Vado a prendere il mio piatto scheggiato e sporco, ma pieno di zuppa calda.
Il calore è la sua unica qualità, perché manca di qualunque cosa io possa definire come sapore o consistenza.
Lentamente, con mosse grevi simili a quelle di un vecchio, affondo il cucchiaio di legno che tengo sempre nella tasca del mio misero abito portandolo poi pieno e fumante alle mie labbra livide.
Una ciocca di capelli corvini sfugge al cordino che li tiene stretti alla base del mio collo e lo spingo dietro l'orecchio fissando le mie mani, un tempo capaci di trarre note sublimi da un pianoforte, ridotte a magre cose dalle unghie nere e rotte.
Ma non ci devo pensare o griderò e piangerò e bestemmierò e stavolta ho paura di quello che mi può succedere, Lui non aspetta che una mia infrazione per farmi ancora del male. Non avrebbe bisogno di simili artifici, ma servono per giustificare la sua azione immonda davanti al suo Dio,
davanti ai suoi superiori e davanti a quello che rimane della sua anima.

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