2. Ventriloquismo con i calzini

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Ficcai in bocca un'altra patatina

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Ficcai in bocca un'altra patatina. Arrow mi fissava con uno sguardo strano.
Eravamo seduti da cinque minuti a mangiare e nessuno dei due aveva ancora emesso una parola. Neanche un fischio o la parvenza di una sillaba.
L'imbarazzo era alle stelle e aleggiava nell'aria peggio di un peto.
Attorno a noi le persone chiacchieravano e si gustavano il proprio pasto con serenità.
Io, d'altro canto, volevo sotterrarmi.
Sapevo che cosa avesse in mente Arrow in quel momento.
Voleva sapere chi, come, cosa, quando e perché di ogni singolo attimo del futuro che lo attendeva ed era per questo che fu lui a rompere il silenzio.
«Allora, supponendo che questo mio sogno sia una premonizione... com'è il futuro?» mi chiese speranzoso. Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. Se qualcuno lassù avesse una certa voglia di aiutarmi, questo sarebbe il momento ideale.
Riportai la mia attenzione su di lui e, prima di parlare, incrociai le dita sul tavolo, scostando a lato con il braccio il piatto davanti a me.
«Senti questa invece: supponiamo che ti sia appena successa una cosa gravissima. Terribile!» iniziai, cercando di essere convincente, mantenendo il mio caratteristico tono sarcastico. «Eppure, grazie a quello che è successo, subito dopo ti è capitato una delle cose più belle di tutta la tua vita. Ora, se tu sapessi come evitare quella cosa bruttissima è ovvio che cercheresti ad ogni costo di non farla accadere. Ma quella cosa stupenda che dovrebbe accaderti poco dopo non succederebbe più. Potresti immaginare la tua vita sapendo di non essere in grado di incassare il colpo? Ecco, evitiamo.
Parliamo di qualcos'altro, ok? Un po' me ne intendo degli anni quaranta...» conclusi con un sorriso stampato sulle labbra.
Arrow annuì semplicemente prima di rispondermi. Il ciuffo di capelli scuri che probabilmente teneva acconciato con gli altri con della cera cadde sulla sua fronte e lui, prontamente, lo scacciò nuovamente in alto, ma senza successo.
«Ho capito la metà delle cose che hai detto, ma ho "incassato il colpo", come dici tu, quindi grazie. Niente domande sul futuro, vero?» chiese conferma.
Io gli mostrai un cerchio con il pollice e l'indice.
«Zero.»
Convinto, Arrow continuò a mangiare, così come feci io.
Risolto l'argomento "futuro", l'aria attorno a noi sembrava più respirabile.
Dopo aver bevuto un sorso d'acqua per mandare giù il boccone, riprese a parlare.
«Parlami di te. Siamo qui e non sappiamo ancora per quanto. Rendiamo piacevole la cosa» disse.
«Certo, allora... mi chiamo Daisy, sono un'amante dei tatuaggi» iniziai a raccontare e quando lo vidi aprire bocca, sicuramente per chiedermi dove fossero localizzati sul mio corpo o come fossero fatti, lo anticipai. «Ma non mi piace molto mostrarli. Adoro leggere, guardare serie televisive in streaming, andare al cinema per guardare i film. E questi sono i miei hobby principali». Acciuffai un'altra patatina e con essa puntai Arrow per dargli la parola. «Tocca a te.»
Arrow bevve di nuovo un sorso d'acqua prima di guardarmi dritta negli occhi e cominciare.
«Arrow. Mi piace ballare e ascoltare musica. Vado spesso al molo per divertirmi. O meglio, andavo. Ora per dimenticarmi di tutto leggo. Faccio ancora molta fatica, ma è bello immaginare dopo la storia.» raccontò prima di dare un morso al pesce. «Che cos'è lo "streaming"?»
«Povera mente innocente.» mormorai. Per un momento mi ero dimenticata della sua effettiva età per me. «Avete i film in bianco e nero?»
«Ormai abbiamo i film a colori, pensavo fossi te quella del futuro» ghignò Arrow. Ignorai la sua squallida battuta e andai avanti.
«Un giorno imparerai cos'è lo streaming» commentai intingendo la patatina nel ketchup. «La tua famiglia?» cambiai argomento.
«Mio padre è morto in guerra.» rispose Arrow, fingendo di essere tranquillo quando in realtà stava stringendo il bicchiere così forte da far diventare le nocche bianche.
Provai empatia.
«Mi spiace. So cosa si prova» risposi.
«Ad avere un padre morto per la guerra?» chiese lui.
«A perdere qualcuno che si ama così tanto» ribattei prontamente.
Lo sguardo di Arrow si tinse di tristezza.
«Hai perso qualcuno anche te?»
Annuii.
«Mio padre, per un'infarto. Aveva sempre avuto problemi al cuore... avrei dovuto prepararmi ma rimandavo sempre perché "quel giorno è ancora molto lontano"» raccontai. «Di tua madre che mi dici invece?» gli domandai.
«Mia madre lavora come infermiera. La tua?»
Non so perché, quella domanda mi fece scoppiare in una risata involontaria. Mi coprii la bocca. Devo essergli sembrata una pazza.
«Non lo so. Non la sento da anni e sarò sincera, non m'interessa nemmeno. Ma la compagna di mio padre lavora con me nel negozio che ci ha lasciato.» risposi. «Questa conversazione sta diventando un po' pesante» commentai prima di infilare in bocca un'altra patatina fritta. «Dimmi qualcosa di te che non mi faccia venire voglia di tagliarmi le vene.»
Arrow alzò le sopracciglia, probabilmente preso alla sprovvista dalla mia domanda. Lo vidi balbettare qualcosa di incomprensibile prima di rispondere chiaramente.
«Mi piace fare il ventriloquo con le calze» disse.
Questa volta rimasi io stupita da quella notizia.
«Non ci credo» replicai.
Lui ridacchiò con il dorso sulle labbra per coprire il boccone.
«Da piccoli era un gioco abbastanza divertente. Io e i miei amici costruivamo un piccolo teatro con gli scatoloni industriali che trasportavano prodotti alimentari e mettevamo su un vero e proprio spettacolo con le calze», narrò lui, faticando un po' a causa della bocca piena.
«Sapete come fare follie, il che è tutto un dire» dissi scherzosamente.
«Non denigrare l'arte di fare il ventriloquo» mi ammonì lui, minacciandomi con la forchetta.
«Ok, ok. Ma almeno dammi una dimostrazione del tuo immenso talento» lo sfidai allungando le braccia verso il piccolo portaspezie al centro del tavolo.
«Vuoi che mi tolgo le calze?» mi domandò indicandosi i piedi.
«Oppure potresti usare questi» dissi porgendogli il sale e il pepe.
Lui li prese e dopo aver guardato entrambi si mise all'opera.
«La ragazza davanti a noi è veramente una stronza» commentò il sale con vocina stridula. Guardai la bocca di Arrow ma non si muoveva.
Poi toccò al pepe che aggiunse semplicemente:
«Sono d'accordo!»
«Ok va bene, ho capito. So di esserlo quindi grazie.» ridacchiai.
«Non c'è di che!» rispose il sale.
Mi complimentai con lui battendo leggermente per tre volte le mani. «Sei bravo.»
«Sì lo è» concordò il pepe.
«Sei anche molto modesto!» ribattei sarcastica.
«Non è vero, l'ha detto la pepiera!» esclamò Arrow, con un sorriso sulla bocca. «Quanto durano questi sogni?» mi chiese subito dopo.
Inarcai un sopracciglio e risposi con:
«Fino a quando non ti svegli, no?»
Scosse la testa e fece schioccare la lingua sul palato.
«Non intendevo quello. Volevo dire, quante volte avrò questi sogni con te?» specificò.
Quella domanda mi colpì. Avevo dimenticato per un momento che quello era solo un sogno e che presto sarebbe finito.
E c'era la minima possibilità di non rivederlo mai più.
«Non ne ho la più pallida idea. Potrebbe essere anche l'unico» gli rivelai e dirlo dispiacque anche a me.
Arrow sospirò.
«Quindi, suppongo che nemmeno sotto questo punto di vista mi dirai qualcosa del futuro di questa guerra» provò di nuovo a estirpare qualche informazione. Sorrisi al suo tentativo fallito.
«Non posso» gli ricordai.
«Per essere una ragazza che ancora ama fare qualcosa e che lo esprime così liberamente... deve essere comunque un domani migliore di quello che sto vivendo» commentò lui guardandomi con dolcezza.
«Sono un grandissimo spoiler!» esclamai coprendomi il viso con entrambe le mani.
«Spoiler?» ripeté lui, confuso.
Con ancora le mani sul volto, allargai l'indice e il medio di entrambe per permettermi di vedere il ragazzo. «Pensavo venissi dagli anni quaranta, non dal medioevo» dissi con ironia.
Arrow roteò gli occhi. «Sappi che determinate parole sono troppo futuristiche anche per uno come me, che di attualità vive» precisò.
All'improvviso, notai che la sua forma iniziò a tremare, come una sottospecie di interferenza televisiva e da quello capii che Arrow stava per andarsene.
«Spero di sognarti di nuovo» mi rivelò lui, ma in quel momento ero più presa dal fatto che stesse sparendo. In fondo, era bello chiacchierare con lui.
«Stai svanendo...» gli feci notare.
Lui si guardò subito le mani in modo da potersene accertare. Quando vide la mano lampeggiare, diventare visibile e poco dopo trasparente, mi guardò.
«Che cosa sta succedendo?» mi chiese e nella sua voce sentii la sua ansia. Cercai di rassicurarlo con un tono di voce più calmo e meno strafottente.
«Ti stai svegliando, e presto mi sveglierò anch'io» gli spiegai.
«È normale che io mi senta con così tanta ansia addosso?» domandò lui, alzando e abbassando ritmicamente il petto a causa del respiro più veloce.
«Stai ritornando alla realtà, è più che normale» affermai. «Nei sogni ci liberiamo dei nostri demoni e abbracciamo i nostri angeli» dissi, allungando inconsciamente una mano verso di lui.
«Spero di rivederti, Daisy.»
«Anch'io.»

Mi risvegliai nella mia camera con uno strano sorriso. La luce del sole inglese filtrava timidamente tra le persiane abbassate e colpiva i miei occhi con dolcezza, senza recarmi alcun fastidio.
Probabilmente stava per essere coperta di nuovo da una nuvola passeggera.
Alzai la mano destra per vedere che cosa avessi tra le dita e notai la patatina fritta ancora lì.
Senza curarmene, la mangiai e mi alzai dal letto per prepararmi alla giornata.
Portai lo sguardo verso l'orologio da parete e notai che era ancora troppo presto per andare al negozio.
La mia pancia, però, brontolava per la fame.
Mi diressi in cucina e presi una padella dove friggere un po' di pancetta e delle uova.
Iniziai a canticchiare senza pensarci la canzone che mio padre cantava sempre mentre preparava la colazione.
«Daisy, Daisy...»
Presi il tagliere e tagliai un grosso pomodoro a fette che sistemai su due piatti. Poi afferrai la caffettiera e misi a scaldare l'acqua. Subito dopo preparai il tostapane.
L'aumento dello sfrigolio dell'olio mi avvisò di controllare la padella.
Quel sogno... era da tanto che non ne avevo uno così tranquillo. Ricordavo ancora i colori del posto, e il profumo di salsedine.
Dopo aver messo la pancetta e diviso le uova strapazzate in entrambi i piatti, presi la padella e feci per deporla nel lavandino.
«Give me your heart to do. I'm half crazy, hopeful in love with... Ah!»
Notai Bonnie, appoggiata sulla soglia della porta che dava alla cucina.
Vestiva con una camicia azzurra da notte lunga oltre il ginocchio e i suoi capelli erano tirati su con dei bigodini enormi. Ai piedi portava
«Cristo, Bon. Mi hai fatto prendere uno spavento!» esclamai prima di prendere i piatti pieni e servirli al tavolo. Non l'avevo sentita arrivare.
«La colazione è pronta» dissi.
Bonnie mi fissava con uno sguardo strano e le braccia incrociate al petto.
«Che c'è?» le domandai, imbarazzata.
Lei scosse la testa e si disegnò sulla bocca un sorriso gentile e negli occhi un'espressione piena di malinconia.
«Niente. È bello sentirti cantare mentre prepari la colazione» commentò lei, prima di sedersi al suo posto. «Era da tanto che non sentivo qualcuno farlo. Così come vederti con un pigiama e non con i vestiti del giorno prima»
Mi accorsi solo in quel momento di come sicuramente assomigliavo a mio padre.
Presi la caffettiera da cui usciva un buonissimo profumo fumante e mi schiarii la gola mentre versavo il caffè nelle tazze.
«Puoi andare a vedere la posta? Ho sentito lo scooter del postino» disse Bonnie prima di soffiare e raffreddare un po' la bevanda calda.
Emisi un mormorio d'assenso e appoggiai l'apparecchio sul tavolo vicino alla mia tazza.
Con le braccia incrociate per ripararlo dal freddo, uscii da casa senza coprirmi e mi precipitai sulla casetta della posta in stile americano con la scritta "POT" sul fianco. Afferrai le lettere poche buste, sicuramente solo bollette, e le passai in rassegna.
Bolletta dell'acqua, bolletta del gas, bolletta della luce e...
«Merda» imprecai guardando il mittente dell'ultima busta che aprii velocemente dopo aver messo le altre sotto l'ascella.
Lessi l'oggetto della lettera della banca e sentii subito le ginocchia deboli e le lacrime combattere per poter essere liberate.
Improvvisamente, la calma e la leggerezza con cui mi ero svegliata erano svaniti nel nulla, lasciandomi sola con l'ansia e la paura.

||Jo||

Eccovi il nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto!

And, as always, stay awesome!
-Jo

Dreaming of DaisiesHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin