❇ 8) Seconda Parte

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Era gelato, sicuramente era fuori da qualche ora, e considerato il gelo di Milano di quella sera, c'era un forte rischio che avrebbe preso una bella febbre, ma non volli ricordarglielo.

Sentì la sua mano girarsi, sotto la mia e le sue dita farsi largo tra le mie, stringendosi.
Abbassò il suo capo, verso l'angolo della mia spalla e si abbandonò in quella posizione, per qualche minuto.

«Non riesco ad immaginarmi, senza di lei.»

«Non farlo.
Non serve.
Sono certa che tornerà sui suoi passi.
Dalle tempo.»

«Lei non crede alle pause di riflessione e nemmeno io.
Ne è la prova il nostro non esserci mai lasciati.
Quando stai per così tanto tempo con una persona, la reputi l'ultima donna della tua vita, la madre dei tuoi figli. »

Lo avevo ascoltato in silenzio, la sua voce mi rapiva, aveva l'effetto di una culla.

«Penso che il tuo desiderio di recuperare quel rapporto sia più forte di tutto il resto. »

»Stavamo costruendo il nostro futuro insieme, invece io distrutto tutto per il mio lavoro.»

«Non è un lavoro Ermal è la tua vita!»

«Lei lo era!»

«La musica lo è!
La donna che starà al tuo fianco, dovrà avere la capacità di mettersi un po da parte, se non vorrà perderti!»

Voleva darsi una tregua, acquisendo in qualche modo, lucidità.
Si scusò per lo sfogo, per avermi trascinato in quel posto terribile.

«L'ultima cosa che voglio è farmi vedere da qualche fan in queste condizioni!» Rivelò.
Aveva bisogno di stare dove nessuno potesse conoscerlo.

«A volte parlare con uno sconosciuto è più facile. »
Dissi, cercando di restare più immobile possibile affinché non pensasse che poteva infastidirmi la sua vicinanza.

«Non sei più una sconosciuta per me. »
Aveva cambiato seduta, aveva divaricato le gambe, spostandole una da un lato una dall'altro, della panchina.
Anche io, mi posizionai in quel modo, per averlo di fronte a me.

Era intenso, calmo.
Stava soffrendo, ma non aveva mai perso di vista la sua riservatezza.
Non si era esposto come un disperato ai miei occhi.

Era proprio l'ultimo dei romantici, Ermal.

«Appena lei capirà l'errore che ha fatto, tornerà sui suoi passi.»

«Un po come ha fatto Fabrizio con te.»

Giusto, Fabrizio.
Avevo completamente messo da parte il suo pensiero, da quando mi trovavo lì.

Come fossimo in un universo parallelo in cui esistevamo solo io ed Ermal.
Solo lui, aveva la capacità di staccarmi dal mondo che mi circondava.

«Su un piano completamente diverso ma sì, più o meno.»
Replicai.

Ci fu qualche minuto di pausa, in cui non mi ero accorta che, forse per via del freddo c'eravamo avvicinati e che ormai, ci divideva solo un passo.
Avevo persino dimenticato da quanto tempo era lì.

«Sai che c'è un localino che suona musica jazz in un vicoletto qui vicino?»
Dissi, smorzando l'imbarazzo che si stava impossessando di quella frazione temporale, sperando di convincerlo a muovere il culo da quella panchina in cui fra poco, sarebbe assiderato.

«Odio il jazz, ma tu sembri apprezzarlo, non ho molta scelta.»

Un barlume di spensieratezza sul suo sguardo, per un attimo splendeva di nuovo.
Come avevo sempre imparato a vederlo.

Trascinai Ermal con me, e dal modo che avevamo di scambiarci opinioni sulla musica, capimmo di avere tanti interessi in comune.

Uno su tutti, prendere in giro la gente che affollava quel locale, che fosse per un eccentrico modo di vestire, o qualche bizzarro difetto fisico.

«Quella sembra proprio...»

«La copia mal riuscita di Emy Winehouse!»
Lo interruppi, riferendomi alla cantante del locale, una finta pin up sulla quarantina,
con più eyeliner che corde vocali.

Sorrise, era già la seconda volta che succedeva, davanti ad un drink analcolico in cui finimmo per brindare senza motivo.

Quella sensazione di gioia, riuscivo a scorgerla in apparenza sulle sue labbra, ma non arrivava mai ai suoi occhi.

Ed era nella sua eterna condizione emblematica, che riuscivo a scorgere quel magnetismo, che mi calamitava su di lui.

Aveva iniziato a raccontarsi, attraverso argomenti futili, mentre io mi limitavo ad ascoltarlo assorta, senza remore.

«Hai per un attimo, distratto il mio cuore da quello che sto passando.
Grazie.»
Disse, dopo aver esaurito i racconti.
Lo considerai un piccolo traguardo.

«È stato divertente prendere in giro la gente.»
Risposi.
Eravamo sotto casa mia, mi aveva carinamente fatto compagnia durante il tragitto di ritorno, in cui arrivammo ognuno con la propria auto.

«Per un attimo, mi sembrava di essere tornato a liceo.»
Rivelò, come fosse una colpa.
Era assurdo per lui, essere riuscito a trovare qualche momento di svago dalla sua condizione di sofferenza.

«Il tuo invito è ancora valido?»
Era più forte della sua autocommiserazione, voleva reagire.
E io, appoggiavo quella sua volontà.

«Non abbiamo alcuna fretta. Possiamo andarci ogni volta che vuoi, tanto dura fino a giugno.»

«Penso che ci riusciremo allora.
Ah, procurami un codice sconto di Fittea così lo provo pure io!»

«Sei un adorabile cretino.»

«Non me lo ha mai detto nessuno.»
Non sorrideva mai, ma quando lo faceva, aveva le sembianze di un raggio di sole in piena estate.

Quanta luce riusciva ad intrappolare fra le labbra.

«Mandami un messaggio appena arrivi.»

Nessun segno di dissenso o di ironia dopo la mia affermazione, aveva gradito il mio preoccuparmi, il mio volerlo sapere al sicuro fra le mura del suo appartamento, eravamo già stati fin troppo in giro.

Sì mise alla guida, al volante della sua auto, e se ne andò via, lasciando una lunga scia di punti interrogativi, dentro di me.

Non abbiamo armi {MetaMoro}Where stories live. Discover now