AL DI LA' DELLE APPARENZE: VIAGGIO NELL'ANORESSIA di Daniela Gardino

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Come iniziare a trattare un argomento così profondo, doloroso e nello stesso tempo così sconosciuto e sminuito come l'anoressia e la bulimia? Come poter spiegare come ad un tratto della tua vita il cibo possa diventare il tuo più grande nemico, la tua ossessione, il tuo veleno? Come trovare le parole esatte all'infinita sofferenza che ti porta a dover scomparire, morire perché in realtà è questo che vuoi, mascherando con l'ossessione verso il tuo corpo, quel corpo che distruggi ogni giorno... un argomento che conta più di 150.000 vittime solo in Italia ogni anno... vittime intrappolate in questa prigione, in questo tunnel che ha un'unica direzione: la morte.

Vi racconterò la mia storia, il mio dolore, la mia sofferenza, gli anni della mia malattia, fino ad arrivare alla consapevolezza, la voglia di uscirne, la difficile guerra tra la vita e la morte, la vittoria della luce. Ho deciso di curarmi, di scavare nel passato, di rinascere, ho capito l'importanza della vita, quella vita che anch'io ho odiato ogni giorno per tutta la durata della mia malattia, vita che ho iniziato a vivere solo all'età di 21 anni togliendomi tutte le mie maschere, imparando a essere la vera Daniela, trovando la mia identità, quando ho capito che oltre le lacrime si nasconde il sorriso, oltre le nubi si nasconde il sole.

Una brava bambina, con una splendida pagella, sorridente e solare, ecco chi ero, ancora non mi rendevo conto di quanto mi stava accadendo, non mi accorgevo ancora del mio bisogno di avere i voti più alti, già allora dovevo dimostrare di essere qualcuno, di valere qualcosa, ecco a cosa mi servivano i miei voti, quella "A" nella mia pagella elementare dimostrava che ero brava, perché io lo dovevo dimostrare, ricordo la mia maestra di italiano che mi diceva che sarei diventata qualcuno, quello era il mio scopo, essere perfetta, la migliore, ma non per me, io dovevo dimostrare agli altri, a tutti di essere la più brava, di essere grande, diversa, perché dentro di me mi sentivo un niente, sentivo che se non avessi avuto i migliori voti, se non fossi stata perfetta nessuno non mi avrebbe voluto bene.

Felice solo apparentemente, mostravo a tutti quel sorriso di quella bambina che aspettava di uscire da scuola per correre a casa dove già sapeva che non vi avrebbe trovato nessuno: i miei genitori lavoravano, io mi chiudevo dentro l'armadio in mezzo a miei vestitini colorati e piangevo, vista da nessuno, soffrivo, mi sentivo sola, non capivo ancora perché i miei genitori stessero via tutto il giorno e sempre per poi arrivare a casa stanchi e non avessero tempo per me, non capivo i sacrifici che facevano per portare a casa quei soldi che per mantenere tre figli erano obbligati a guadagnare stando via tutto il giorno, ma i miei occhi da bambina vedevano ciò come un abbandono, non mi volevano.. nascoste tra i vestiti le merendine che conservavo giorno per giorno e solo quando ne avevo una bella scorta le mangiavo nel mio rifugio per cessare le mie lacrime, nel mio armadio dove solo io potevo entrare, mi sentivo già a quei nove, dieci anni terribilmente sola, le merendine la mia compagnia, poi uscivo dal mio rifugio mi lavavo la faccia e uscivo con gli altri bambini, indifferente, sentendomi la più brutta, la più antipatica, ero un micro puntino insignificante in mezzo a loro, in mezzo a chiunque, io non valevo niente.

1997

Il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media è stato drastico, le mie compagne già tutte formate, sviluppate, belle, avevano già le prime curve da donna, io la più piccolina, minuta, senza forme, brutta, non m'importava più nemmeno della scuola, stavo troppo male per pensare ai voti, mi vedevo orribile, enorme, non sapevo che allo specchio riflettevo il mio dolore. A pranzo ogni giorno andavo dalla nonna, era lei che badava a me quando i miei genitori non c'erano. Era un'ottima cuoca ma io non potevo mangiare tutte quelle cose buone che preparava, io non me le meritavo, ero troppo grassa e brutta, ma non potevo farle vedere che non mangiavo così finivo quello che avevo nel piatto e poi andavo da sola a fare delle lunghe corse in campagna, di nascosto, ricordo che nella mia classe ero l'unica che nella corsa campestre era arrivata a Pavia, e nessuno sapeva che quando correvo dentro di me mi ripetevo che dovevo bruciare calorie, sempre di più, dovevo vincere. Adoravo la nonna, ogni sera prendevamo la bicicletta e andavamo fino al paese vicino, cinque chilometri, lei non sapeva che per me non era andare a fare una passeggiata ma bruciare calorie, ogni volta che ero da sola andavo in camera e facevo ginnastica, correvo attorno al tavolo, su e giù per le scale, mi inventavo cene con amiche per uscire senza mangiare, senza che nessuno sapesse, davo la colpa al mio corpo della mia infelicità, davo la colpa al mio corpo se i ragazzi si avvicinavano alle mie compagne e non a me, non mi rendevo conto che in realtà ero io a tenerli lontani per la paura di essere rifiutata, paura di non essere abbastanza simpatica, paura di non essere all'altezza, ero convinta che se fossi dimagrita tutti mi avrebbero voluto bene, in realtà ero già magra ma io non potevo vederlo, ho iniziato a mangiare sempre meno, a digiunare completamente, mi sentivo forte, grande, avevo l'illusione di avere il massimo controllo di tutto e tutti, era solo un' illusione, in realtà era l'inizio del mio incubo, ero entrata in un pozzo senza fondo, la cui entrata è molto facile, l'uscita è quasi introvabile, mi raccontavo che avrei potuto ricominciare a mangiare quando volevo, da sola, senza l'aiuto di nessuno anche se forse dentro di me sapevo che non sarebbe stato così, ormai mi faceva paura mangiare anche quel misero vasetto si yogurt magro, solo guardarlo mi veniva la nausea, pensavo di avere il potere, quando in realtà era l'anoressia che controllava me, era lei che decideva per me, lei mi ordinava di non toccare cibo e io ero impotente, subivo.

Al di là delle apparenze Viaggio nell'anoressia di Daniela GardinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora