Bujo

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Adesso non so cosa dire. 

L'oscurità avvolge ogni cosa. Ogni richiamo. Sono in branda. Avvolto nei pensieri. Il silenzio è assoluto e non potrebbe essere altrimenti. Il cielo rivela strie di fuoco. Ho sonno ma non riesco a dormire. Che strana sensazione. Il sorvegliante si avvicina con fare guardingo.  Veloce. Si avvicina.

- Cosa stai facendo.- chiede.
- Cosa vuoi che stia facendo. Cerco di fuggire.
- Mi prendi per il culo - dice.
- Si ti prendo per il culo.
- Sai che da qui è impossibile prendere il volo.
-Lo so. Sono solo un sognatore.
- Domani sognerai di meno. Domani ci sono gli incontri.
- Io non partecipo a questi bagni di sangue.
- Se verrai sorteggiato dovrai partecipare. Non ci sono appelli.

Osservo con incertezza la parete bianca e impersonale di fronte a me e sento l'aria mefitica e stagnante dei condizionatori del penitenziario. Non credevo che sarebbe stato tutto difficile.

La mente va dove gli pare.  Non riesco a fermare il flusso dei pensieri. Ripenso alle mie colline terrestri. Il dicembre estasiato di bruni e di verdi. Sogno. E sono morto.

Ambra passa dietro, seguita dai sorveglianti. Non sembra che le abbiano fatto nulla. Almeno apparentemente. Mi osserva. Mi dice qualcosa. Ha uno sguardo come liberato. Distante e libero. Penso a come mi sia stata d'aiuto in questi giorni. A come abbia saputo accudirmi.

- Mi sento meravigliosamente bene. Non posso dire di stare male. Anzi non sono mai stata meglio - sorride. E quasi mi viene da accarezzarla. Ma ci sono le sbarre di mezzo.
- Mi fa piacere. Credo di non poter dire abbastanza.- le dico.
- Cerca almeno di essere un pò positivo. Le cose miglioreranno.
- Mi sembri stranita, Ambra.
- Può darsi - risponde lei
- Sembra che tu abbia visto qualcosa e non riesco a capire bene cosa. Sinceramente mi fai preoccupare.

Lei mi osserva con un fare strano, quasi voglia dirmi qualcosa di particolare, ma di particolare non c'è da dire nulla. Osservo i suoi occhi. In fondo i prototipi XR14 come Ambra sono molto simili a noi. E lei ha più umanità di quanta ne possa avere io, nato sulla Terra. Ma oggi cosa può dirsi umano. Ripenso alla Capitale. Mi vengono i brividi. Ambra mi passa accanto. Mi è simile. Nelle emozioni. Nelle reazioni. Lei sorride. Ostenta sicurezza. Non usa le sue capacità. Potrebbe succedere il finimondo se solo lei volesse. Invece si trattiene.

- Hanno solamente cancellato dei file. Soppresso informazioni. Ma sto bene. Non mi sento male. - Confessa candidamente.
- Hai paura Ambra? - le chiedo
- Non posso averne, questo è quanto. In fondo sono consapevole dei miei sentimenti.

Passa via piano. Scivola quasi. Sospinta dal passo marziale dei sorveglianti. Noto una piccola fessura all'altezza della spalla di lei.  Come un tatuaggio.

Mi giro dall'altra parte nella cella e provo a dormire almeno un poco. Ma ci riesco a malapena.

Al mio risveglio trovo accanto a me Gorios. Anche lui ha finito il suo turno di lavoro. E ora è tornato alla nostra cella. La sua lunga capigliatura lo rende strano. Mi guarda con il suo unico occhio, il destro. Occhio chiaro e spietato. Come i suoi pensieri. E il suo braccio di metallo e carne. Il braccio è stato disattivato. Altrimenti sarebbero guai per tutti.

- Ho sentito dire che nel braccio 17 ci sono delle belle cose - dice Gorios, riferendosi a strane leggende di galera.
- Cosa vuoi dire?
- Hanno la sintetica. Sento che potrei spararmene un pò in vena.
- Nel braccio giusto però, Gorios.
- Vergognati. Ho bisogno di un pò di quella roba.
- Non ho dubbi.
- Altrimenti divento pazzo - sembra una scimmia urlatrice Gorios.
- Pazzo lo sei già Gorios, al limite puoi tornare savio, vedi tu. Pensaci non sarebbe male per te.
- Sono stanco delle tue battute - mi dice.
- Io sono stanco di tutto.
- Quando pensi potremmo uscire da questo manicomio?
- Probabilmente mai. Sai che ci sto lavorando.

- Questo penitenziario è a prova di fuga. Ci sarebbe però un modo.

Gorios rimane nel vago, forse perché non si fida di me. Più probabilmente perché nemmeno lui ha chiara la faccenda. Ma non posso volergli male.

Il sorvegliante passa di lato alle celle, strascicando. Struscia una gamba sul terreno, producendo un rumore sinistro. Non è l'orario di passaggio delle celle. Sentiamo un rumore sinistro e ci chetiamo subito. Osserviamo la scena e non sappiamo che dire. Un mutante viene prelevato dalla sua cella. Caccia subito uno strillo forsennato. Viene trascinato con forza.

- Dove mi state portando, bastardi? - urla.
- Non parlare - il sorvegliante lo zittisce.
- Non potete prendermi. Non ho fatto niente di male. Sono protetto dalla legislazione della Galassia. Non potete torturarmi. Non potete.
- Taci. Chi ti ha detto che vogliamo torturarti. Sai che ce ne frega, idiota.

Il secondo sorvegliante arriva di lì a poco. Guardo Gorios che rimane in silenzio. Non esprime pensieri. Ma è come se parlasse. Il sorvegliante estrae una lastra elettrificata sottile e la posa dolcemente sulla schiena del prescelto. E' un gesto che diresti, tenero accudimento o paterno amore. Il tizio si accascia subito quasi senza respirare. Un drone arriva dall'alto con curve morbide e si posa accanto all'uomo, e senza fare rumore si abbassa piano e aggancia il corpo livido del mutante. E'una scena patetica e insieme terribile. Il drone risale.

- Dove lo porteranno. Lo sapremo domani. Tu hai qualche idea Gorios?
- Credo che lo faranno combattere domani.
- Combattere, in che senso combattere?
- E' uno dei più forti e sicuramente combatterà con il campione.
- E' l'ora d'aria. Le celle si aprono immediatamente. Dobbiamo scendere nello spazio comune per il pranzo. Ripenso alla terra. Ripenso alla mia infanzia. All'odore intenso dei prati. Un odore che non sentirò mai più. Sono stanco ma non possiamo fermarci.

Una folla di carcerati si muove con un unico passo verso lo spazio comune.

Avverto il fetore drastico della tensione. L'odio compresso. Siamo tanti, ma siamo atomi che non possono incontrarsi. Ci odiamo gli uni con gli altri. E odiamo noi stessi. Per quello che siamo diventati. Per quello che non possiamo più essere.

Il soffitto si apre parzialmente scorrendo e le vetrate lasciano intravedere le due lune rosse. Una luce sinistra e feroce contagia l'interno del penitenziario.

E' l'ora del pasto.

Una donna incappucciata mi si avvicina. Da quello che vedo pare anche molto bella.

- Sai che tutto questo ce lo siamo meritati
- Certo come no, voi penitenti con le vostre storie avete una giustificazione per tutto.
- Noi non siamo qui per caso siamo qui perché non abbiamo saputo essere ciò che ci era stato detto.
- Mi sembra un bello scioglilingua. Io sono qui perché non ho saputo comportarmi bene, nonostante l'avessi promesso a mia madre.
- Siamo qui per espiare, ma forse c'è un modo per ridurre le nostre pene.
- Cerco tutti i giorni una risposta alle mie preghiere. Come ti chiami?

-Rosa

- Un nome di un fiore. Un nome di libertà.

Respiro piano l'odore dei prati, ma è solo la mia fervida immaginazione.

Non riesco ad immaginare che i sogno della mia libertà.

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