La caffeina

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Torno a guardare l'immagine fuori dal vetro e nel muovermi intercetto qualcosa. Nella traiettoria finisce la mia mano. La mano che ho iniziato a grattare ieri mattina e che diventa sempre più fastidiosa. Una mano decisamente bruttina, guardandola bene. È punteggiata di rosso, un po' scorticata su un lato e appena più scura sulle nocche. La strana irritazione, se di irritazione stiamo parlando, si arrampica sul dorso e procede sul polso, sul braccio e non so dove altro. Ho una maglia a maniche lunghe e anche se le ho tirate fin sul gomito, non riesco a vedere oltre.

«Oh oh», dico.

«Cosa?»

«Eh», reagisco. Distacco il braccio dal vetro e mi allontano dalla parete. Porto la manica più in alto e noto che lo strano disegno si è esteso anche lì, forse oltre.

«Oh porco cazzo, sei una di loro!» urla. Impugna il fucile e me lo punta contro.

Con il braccio – e la mano – bruttino, gli faccio segno di calmarsi. «Uou.»

«Sei una di loro!» ripete, questa volta senza parolacce, e senza dare di matto. Apparentemente. Chissà cosa sta succedendo dentro di lui.

«Come faccio a essere una di loro?» chiedo. «Sto parlando con te, bevo caffè. Come posso essere uno zombi?»

«Il tuo braccio è uno schifo.»

«Sì, beh, ok, scusami tanto se non è carino.» Ondeggio la testa e sbuffo. «Senti, non sono uno zombi. Non starei parlando con te. Avrei voglia di mangiare... di mangiarti, no? Sei carino, davvero, ma ti assicuro che usarti come cibo non è tra le priorità della giornata.»

«Cosa stai dicendo?» chiede, gli occhi incupiti.

«Chi mi dice che non lo sei tu, eh?»

«Cosa?»

«Sai solo dire "cosa"?»

«Hai idea di che fatica si faccia a capire di che parli? Se mi basassi su questo, ti avrei già dovuto sparare!»

«E tu? Da quando sei entrato dici solo "cosa", vai in giro con un fucile e non sai niente di niente!»

«Cosa dovrei sapere?»

«Perché sono così!» grido. E mentre grido mi esce una lacrima. La voce è lacrimevole, il volto è lacrimoso. Gli occhi sono bagnati di lacrime.

Cole sembra capire. Forse non lo fa, ma appare meno disgustato, appena dispiaciuto «Ti hanno morso?»

«No», rispondo. «Quando?»

«Prima di entrare, o quando eri qui.»

Chiudo gli occhi e cerco di pensare. Ripercorro i gesti che ho compiuto, i luoghi da cui sono passata. Lo faccio ad alta voce, con Cole che mi ascolta e che, per la prima volta da quando è entrato, pare provare empatia. Io non so cosa provo. Ho solo voglia di caffè.

«Ero al bar, sai, sono fissata con il caffè, e mentre il cameriere mi serviva il cappuccino – tra l'altro, aveva una strana espressione, pure lui, come se si fosse mangiato il naso da solo – io ho allungato la mano per prendere lo zucchero e... oh.»

«Cosa?»

«Oh, oooh.» Occhi spalancati, bocca spalancata, espressione di chi realizza qualcosa. Lampadina accesa, posizione da stato di choc.

«Cosa?»

«Smettila di dire cosa, Cole!»

«Allora dimmi quello che hai capito!»

«Ho allungato la mano e il tizio accanto a me, non so come, non so cosa è successo, ma il suo viso era sul mio fianco. E...» Vorrei continuare, ma capisco che devo fermarmi. «Devo togliermi la maglia. Puoi evitare di spararmi mentre lo faccio? Qualunque cosa tu veda?»

Caffè ZWhere stories live. Discover now