Prologo

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Mio padre era un cacciatore, molto bravo e molto rispettato. Nei tempi più duri aveva spesso guidato gli altri battitori per garantire al villaggio le scorte di carne per tutti. Ancora giovane, senza essere il capo della nostra gente, già era autorevole e ascoltato quando si alzava a parlare nella grande adunanza degli uomini.

Molto tempo fa, un anticipo furioso delle tempeste invernali lo separò dalla nostra gente: lo colse tra i monti, troppo lontano dalla baia perché riuscisse a tornare. Sopravvisse in una valletta nascosta, il cui accesso era stato bloccato da neve e ghiaccio dopo il suo passaggio, e vi rimase fino al disgelo primaverile. Tornò incolume e anzi più forte e fiero di prima, portando con sé una singolare preda, la più spettacolare che si fosse mai vista.

In quella valletta, infatti, viveva un gruppo poco numeroso di persone, di fatto un'unica grande famiglia di gente pacifica, che doveva essersi rifugiata lassù chissà quando insieme alle bestie che le davano di che vivere. Al visitatore inatteso era bastata qualche pelliccia pregiata per prendere con sé una delle loro ragazze giovani.

Gli stretti legami di parentela all'interno del piccolo gruppo rendevano infatti difficile formare nuove coppie, e il capo famiglia aveva accolto con favore l'idea di dare a una delle sue figlie uno sposo adatto. Avrebbe desiderato soprattutto, in realtà, che il cacciatore, maschio giovane e capace, si aggregasse alla loro comunità. Ma quello fremeva dal desiderio di rivedere il suo villaggio sulla baia, dove la vicinanza del mare mitigava il gelo e offriva a pochi coraggiosi pescatori, che conoscevano l'arte di costruire canoe, del cibo prezioso.

Così mia madre arrivò al villaggio, delicata e silenziosissima, con gli occhi grandi pieni di giovinezza e di timore. Ella sollevò invidie velenose e brucianti come punture di vespa, perché molte giovani del villaggio avrebbero affrontato una lince pur di avere il suo posto nella capanna di mio padre.

Diversi capofamiglia, poi, considerando il suo crescente favore presso gli anziani, guide del villaggio, avrebbero ambito a vantare un legame familiare con lui.

Ma la cosa era fatta e dovettero rassegnarsi tutti. Anche perché mio padre, contro ogni buon senso, dimostrava una vera adorazione per la straniera. Per lui la sua donna era più di un piacevole passatempo nelle lunghe notti invernali, e più di un'utile collaboratrice nella lavorazione delle pelli: era tanto speciale da considerarla insostituibile. Mio padre teneva la sua bruna compagna con una cura che faceva sorridere la gente e piovere ironia, invidiosa e non, da ogni dove.

Gli anni trascorsero, comunque, e la gente del villaggio si acquietò.

La straniera, nonostante la sua apparente delicatezza, il primo inverno partorì un maschio vigoroso. Durante la terza estate diede alla luce una femminuccia graziosissima e quieta e, al quinto inverno, un altro maschio.

Poi allevò con molta dedizione i suoi cuccioli, trovando infine un certo consenso. Gli uomini dovettero riconoscere che il cacciatore aveva scelto bene: la sua donna, nonostante l'apparenza delicata, era rimasta bella e sana.

Quanto alle donne, che da subito avevano colto ogni occasione per criticarla, smisero rassegnate di commentare astiose ogni sua rara parola e ogni suo frequente silenzio. Un silenzio ingenuo, che nasceva semplicemente dal non conoscere la lingua parlata nel nostro villaggio e dall'aver imparato ben poco con mio padre, visto che si erano intesi benissimo sin dal primo istante senza parlare.

Poi, quando l'ultimo mio fratello aveva circa otto anni, mia madre attese invano i suoi giorni di luna. Sorpresa, perché già pensava che i suoi tempi di fiorire fossero sul finire, interrogò le stelle, e quelle le sussurrarono che il nido andava preparato un'altra volta.

Trascorse l'estate in una gioia stupita e affaticata, con le donne del villaggio che si scambiavano occhiate di disapprovazione.

A fine autunno, io nacqui.

La leggenda di MezzafacciaΌπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα