01. Respira

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Respirare.

Dovevo respirare. Lentamente.

La luce accecante posta di fronte i miei occhi stanchi mi distraeva dal resto. L'udito era terribilmente ovattato, ero incapace di captare alcuna parola. Eppure mi stavano parlando, lo sapevo. L'infermiera con la mascherina di tessuto verde, posta sul volto, continiava ad accarezzarmi la fronte umida, io avevo appena le forze per stringere le lenzuola sotto di me.

Respiravo a fatica, come se un macigno fosse stato catapultato dritto sul mio petto e mi impedisse di respirare regolarmente.

"Respira" mi diceva l'infermiera, dolcemente, come farebbe una madre con la propria figlia. Riuscivo appena ad ascoltare la sua voce tranquilla, pacata."Respira, andrà tutto bene" continuava, amorevolmente.

Ma ogni suo sforzo risultò inutile. Stavo per dare alla luce mio figlio, il mio bambino.

Mi voltai verso la donna, ringraziandola con lo sguardo per l'ottimo lavoro che stava svolgendo. Quando però cercai le sue iridi, trovai il nulla. Passai una mano sulla fronte e il sudore scomparve. Nella stanza buia, rimasi da sola. Un pianto forzato, carico di dolore penetrò i miei timpani e d'istinto tappai le orecchie, strizzando il viso.

"Respira, andrà tutto bene" rimbombò nella mia mente tale frase. E riconobbi la voce. Mia madre. In quel momento, la paura ebbe la meglio.

Sgranai gli occhi. Mi rizzai con uno scatto felino dal letto con il busto, portai una mano sul lato sinistro e il cuore non era mai andato tanto veloce. Mi guardai intorno: la stanza era silenziosa, dalle tende filtrava appena la luce del sole, il giusto per darmi la possibilità di mettere a fuoco gli oggetti nella stanza.

Sussultai quando qualcuno bussò alla porta.

"A-avanti" balbettai, sperando che il respiro tornasse regolare quanto prima possibile.

La porta si aprì lentamente, una figura maschile rimase inerme sull'uscio.

"Buongiorno" non mi era possibile distinguere il suo sguardo, tanto meno l'espressione del suo volto. Ma la voce di Noah l'avrei riconosciuta tra un milione.

"Buongiorno" risposi a mia volta sentendomi più sollevata. Sapere che non ero sola, in determinate situazioni, mi faceva stare meglio. "Dormito bene?" domandò.

Per nulla, ma mi costrinsi a mentire.

"Abbastanza" annuii.

Non gli avevo ancora parlato del sogno, o meglio dire incubo che mi tormentava da intere notti. Accarezzai istintivamente la mia pancia da sotto le coperte, mi lasciai sfuggire un sospiro: lì continuava a battere il cuore del mio bambino, o bambina, da ormai tre mesi.

Poggiai i piedi a terra, il contatto con il pavimento mi fece sussultare. Rimasi alcuni secondi a fissare le mattonelle regolari, incastrate tra di loro.

Noah si affrettò a stendere le tende lateralmente, poi aprì la finestra e la luce accecante penetrò a tal punto che fui costretta a strizzare le palpebre per abituarmi.

L'uomo si voltò verso di me, si avvicinò e si chinò per baciarmi la fronte.

"Scotti" disse di punto in bianco. Portai una mano sulla fronte per accertarmi di quanto appena detto e, effettivamente, la temperatura corporea era leggernente al di sopra della norma.

The Feeling 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora