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Non aveva mai amato muoversi, preferiva restare chiuso nelle quattro mura ricoperte di poster e foto che lui chiama "il suo rifugio". Tutti pensavano fosse noioso passare il tempo in camera a sfogliare vecchie riviste o far finta di leggere un libro, ma nessuno, nessuno, aveva mai provato a chiedergli come mai preferisse stare segregato piuttosto che uscire e godersi la vita come tutti i normali diciottenni. La mattina solitamente si alzava prestino, sulle nove circa, a volte anche prima, accendeva il computer e iniziava a fare strane ricerche che lui definiva "cose inutili per la scuola" pur sapendo benissimo che nessuno ci credeva. Gli amici, i pochi che aveva, lo definivano strano o asociale, e a lui non importava, aveva iniziato a prendere le cose della vita in modo passivo, non provava nemmeno a cambiarle. L'estate era sempre così, per lui, sin da quando aveva circa dieci anni e i genitori avevano smesso di mandarlo al gruppo giovani della chiesa. I litigi in famiglia erano più frequenti che mai, la madre si lamentava della pigrizia del ragazzo e il padre, ormai rassegnato, si limitava ad osservare la moglie che spendeva parole e parole per provare a smuovere il biondo.

"Isak" gli urlava, "alla tua età dovresti spaccare il mondo, se avessi avuto io le tue possibilità avrei spostato anche una montagna. Passi le tue giornate in quella dannata camera buia a guardare stupidi programmi per idioti. Quando ti deciderai a cambiare?". Poi, come al solito, si allontanava un po', pochi passi e si girava di nuovo verso il figlio, con occhi sconsolati. "Non deludermi, te lo chiedo per favore", e se ne andava.

Padre e figlio restavano qualche secondo a guardarsi in un silenzio irreale, Isak avrebbe tanto voluto capire cosa pensava in quei momenti l'uomo barbuto che lo aveva messo al mondo, ma era stanco anche di provarci.  Così, tornava in camera.

Qualche giorno dopo

"No, Isak, ti prego. Non farlo, non potrei stare senza di te. Resta con me, te lo chiedo in ginocchio"
"Io ti amo, Isak, ti amo da impazzire. Parla, dimmi qualcosa."
"Isak, isak, isak, isak.."

La sveglia suonava, le nove in punto e un pallido sole traspariva dalle fine tende di cotone bianco della stanza. Isak, ora seduto sul suo letto a fissare il vuoto davanti a sé, grondava di sudore. Ogni notte lo stesso incubo, quella serata che mai sarebbe riuscito a dimenticare tornava sempre, rivedeva il viso di Emma in lacrime   e quello del ragazzo rosso di vergogna. Li aveva scoperti a baciarsi. Aveva scoperto la sua ragazza mentre baciava un ragazzo che non era lui. Ci pensava spesso, forse un po' troppo, era stata l'unica persona di cui si era fidato e lei l'aveva tradito senza alcuno scrupolo, pensando poi di cavarsela con qualche parolina di rito.

"Isak, una busta per te" la voce della madre lo interruppe dai suoi pensieri, ma forse era meglio così. La guardò qualche istante e scosse poi la testa, ringraziandola ed invitandola silenziosamente a lasciare quella stanza. Adesso, su quella vecchia scrivania piena di scritte illeggibili, giaceva una lettera con il suo nome.

"Diamine, siamo nel ventunesimo secolo, chi ancora usa le lettere?" Pensava guardando quel pezzo di carta come se provenisse da Marte. Lentamente, ci si avvicinò e, scettico, la lesse.
Una prenotazione aerea.
Chi diavolo aveva prenotato un volo andata-ritorno per Londra? A suo nome poi. Che stava succedendo?
Isak era confuso, troppe cose stavano accadendo in una sola mattinata.

"Mamma, dove hai trovato questa?" Le chiese, avvicinandosi cauto alla donna che, con fare sospetto, alzò le mani per comunicare  che non ne sapeva niente.
"Sei sicura? È molto strano. E se sono problemi, io voglio starne alla larga. Te la lascio qui, risolvi tu." Esclamò secco, mollando la busta sul tavolo della cucina, allontanandosi subito dopo.
Tornato nella sua camera andò a sedersi alla scrivania, posando i gomiti su di essa e il viso tra le mani, sospirando.
Nessuno aveva mai compreso a fondo quel ragazzo; Lui non era strano, asociale o pigro. Semplicemente, non aveva ancora trovato ciò che gli piaceva. Si era sempre rifugiato nel mondo dei libri, delle storie perfette in cui tutto si conclude bene, ma si era reso conto ben presto che quella non era la realtà e non era stato in grado di accettarlo.
Un suono lo risvegliò dal corso dei suoi pensieri.
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SMS da: Jonas👊🏻😈
Ohi, che stai facendo? Ho novità, se sei libero fammi sapere
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Jonas?
Non si sentivano da qualche settimana, il che però non lo stupiva, la loro amicizia era sempre stata così. Passavano periodi sempre insieme ed altri distanti, come due perfetti sconosciuti.
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SMS a: Jonas👊🏻😈
Niente di che. Solito posto tra mezz'ora?

SMS da: Jonas👊🏻😈
Puoi contarci bro
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"Mamma, sto uscendo". Poche parole e il rumore della porta che si chiudeva. Così Isak salutava la sua monotonia e si apriva al mondo esterno, dei jeans chiari e una maglietta comprata ad un concerto, i capelli alla meno peggio e delle vans. Del parere degli altri non gli importava più, ciò che faceva, lo faceva solo per se stesso, aveva imparato a sue spese che non serviva cambiare per le persone, non ti avrebbero accettato comunque.
Jonas, a quanto pare, la pensava come lui. Dei jeans slavati ed una maglietta sbiadita, un cappellino di lana anche a Luglio e delle Converse che aveva dai tempi preistorici.

"Ehi ehi, finalmente ci ritroviamo, chi non muore si rivede, eh?" Esordì con tono sarcastico il bruno non appena vide Isak.

"Così pare. Che succede?"
"Ma tu sei sempre così? Sembra che ti si sia rotto la skate, andiamo, un po' di vita."
"Non ho troppa voglia di scherzare, Jonas. Forza, dimmi."
"Indovina."
"Sei incinta?"
"Ahh no, molto meglio bro. Parto per Londra."

A Letter To..Where stories live. Discover now