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Camminava a testa bassa con il cappuccio sul capo. Il vento, di tanto in tanto, scompigliava i pochi ciuffi di capelli che non erano sotto il cappuccio. Portava le mani nella tasca della felpa. Sembrava una delinquente che si stava apprestado a fare una rapina in banca.

Proseguiva in silenzio,senza nemmeno alzare lo sguardo una volta per vedere dove si stava conducendo. O è meglio dire, dove i suoi piedi la stavano portando. Non sapeva perché era fuggita per l'ennesima volta dalla clinica e non sapeva dove stava andando.

Gli bastava smaltire le calorie delle medicine assunte poco tempo prima. Diamine,aveva assunto più di 300 calorie soltanto di medicine. O almeno era il calcolo che aveva fatto lei. Era diventata come un'ossessione contare le calorie del cibo. E come tale,era difficile rimuoverla.

Era al corrente del rischio che stava correndo ma non lo accettava. Per lei era ancora tutto sotto il suo controllo.

Tutto sotto controllo. Se lo ripeteva in testa come se fosse il ritornello di una canzone. L'aveva detto anche prima che lei diventasse così. Ma non accettava il fatto che,sotto il suo controllo non c'era proprio nulla.

Non governava neanche lei il suo corpo. Di certo lei non voleva fare flessioni anche di sera, ma non riusciva più a prendere possesso della sua figura. Ormai il suo corpo era così abituato ad autodistruggersi. Questa cosa però portava non pochi problemi nella sua vita. Soprattutto per i suoi familiari la sua situazione attuale era pesante.

Lei si sentiva solo un problema. Lei era un problema. Altra frase che le girava spessi nella mente.

La sua famiglia aveva già sofferto abbastanza per la perdita di suo fratello, non voleva aggravare la situazione. Si sentiva di troppo.

Preferiva andarsene lontano dai suoi genitori per non vederli così affranti. E così infatti fece qualche annetto fa...

Non negava di certo che le mancavano i suoi,ma non era pronta a ritornare nella madre patria.

Prima di andarsene scrisse un breve ma significativo messaggio ai suoi. Lei gli promise di ritornare a casa soltanto quando il suo problema non sarebbe sparito una volta per tutte. Ma questo,a distanza di quasi 8 anni e mezzo non era accaduto.

Per lei era una sfida più dura di quello che credeva. Ma lei amava le sfide. Mettersi alla prova era la sua passione preferita,sempre se si può definire tale.

Fin da piccola,era sempre stata di corporatura magrolina e il suo maestro di educazione fisica la lasciava sempre in panchina per paura che diventasse sottopeso.

Lei odiava quel allenatore, non poteva competere così con i suoi compagni.

Alle medie questo fatto però non accadde. Non accadde per il semplice fatto che lei ingrasso proprio per fare ginnastica. Ma ingrassò così tanto che divenne una ragazzina molto ma molto paffutella. E da lì partì il degrado. Da lì,lei diventò anoressica.

Non sopportava quella parola. Anoressica. Per tutti il suo caso era una malattia,ma lei non pensava che fosse così tragico...

Insomma, per lei le malattie erano ad esempio la leucemia, il cancro e la broncopolmonite... ma l'anoressia non rientrava per lei in quella categoria.

Le sembrava una mancanza di rispetto quando il suo difetto veniva classificato come malattia.

Lei non era malata,o tanto meno in fin di vita. Si sentiva male, tutto qui.
A lei sembrava una cavolata. Era dell'idea che c'era sicuramente gente che stava molto peggio di lei. Ma sfortunatamente era l'unica a pensarlo così.

C'erano poche persone che sapevano del suo disturbo alimentare. E almeno il 60% della categoria erano i suoi familiari. O almeno quelli più stretti.
E poi c'era quel 40%. Ah. Quel fottuttissimo 40%.

Questa percentuale è intitolata solo con un semplicissimo nome:Salvatore.

O più semplicemente il miglior amico di Brooklin,che in seguito divenne anche il suo coinquilino.

Era entrato a far parte della sua vita totalmente per caso. Non c'era un motivo ben preciso. Ed è per questo che lo odiava. Odiava essere un peso per lui. Era così generoso che, lei non sapeva come poteva sdebitarsi.

Vedeva costantemente i suoi occhi pieni di dolore. Vedeva spesso il suo volto strabbordante di delusione.

Non era l'unica volta che Brooklin scappava dalla clinica dove l'avevano ricoverata. E il pensiero di riincontrarlo e dirglielo gli faceva venire la pelle d'oca. Non voleva vederlo triste. Quando Salvatore lo era, il suo sguardo diventava freddo. Era veramente una cosa agghiacciante.

Lui,ci aveva sperato molto che questa volta le cose potessero andare finalmente nel verso giusto. Era una clinica davvero importante. I medici di quell'edificio erano conosciuti in tutto il mondo. E così anche le loro tecniche per curare i pazienti.

Ma...niente. Niente, sembrava andare per il verso giusto. Questa esperienza per lei era come un buco nell'acqua. Un buco molto profondo e oscuro.

E come se tutto questo non bastasse ella sentì una goccia d'acqua dolce caderle sulla sua guancia incavata per il poco mangiare. Segno che stava iniziando a piovere.

I ciuffi di capelli che non erano coperti dal cappuccio della felpa color carbone, presto le si inumidirono per la pioggia che ormai stava prendendo il potere su tutto il cielo.

Si potevano osservare dei nuvoloni grigi che oramai avevano oscurato l'ultimo e opaco raggio di sole nel cielo. C'era poco da fare adesso. Tranne che continuare a camminare.

Finalmente la ragazza aveva alzato il capo. I suoi occhi, neri come il petrolio, avevano solo ora un'ampia visuale. Scrutavano ogni più minimo ed insignificante particolare. Alcune volte la sua vista era offuscata dai capelli che ora, liberatosi dal cappuccio, le infastidivano il volto. Le se appiccicavano al viso grazie al sudore che emanava la sua pelle.

Più che camminare ora correva. Correva con il vento in piena faccia. Correva per dimenticare ciò che aveva lasciato in sospeso dietro di sé. Correva e mai si stancava. Correva anche se aveva il cuore in gola che intanto si dimenava per uscire dalla sua gabbia toracica.

Era stanca emotivamente. Era distrutta in fattore psicologico. Non ce la faceva ad essere sballottolata da un medico all'altro, da una casa di cura all'altra.

Ma dentro di lei lo sapeva che doveva affrontare tutte queste cose solamente per colpa sua. Non poteva affibbiare il suo errore a qualcun'altro. Se lo sbaglio lo aveva commesso lei in primis.

Ma una cosa non smetteva mai di ripetersi nella sua mente.

" Ho tutto sotto controllo"

🐦spazio autrice🐦
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio Beatrice (amess_) per avermi incoraggiata a pubblicare questa storia.

Fino all'osso ||Surrealpower Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora