Un giovane ragazzo ebreo

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Roberto si guardava intorno, aveva paura...era spaventato da tutte quelle facce a lui
sconosciute, terrorizzate, luccicanti alla luce per le lacrime che scendevano lungo gli zigomi
scavati.
Roberto aveva paura di quegli uomini che erano entrati con i fucili in casa sua, avevano
sequestrato tutti i loro beni e li avevano portati via senza motivo e caricati su quel camion
insieme a tutte quelle altre persone.
Li trattavano come se fossero bestie.
Il ragazzino cercava spesso uno sguardo della madre che gli sorrideva, un sorriso finto, lui
se ne accorgeva, l’aveva sentita piangere quella notte. Cercava di consolarla, di farla ridere,
di tirarla su di morale come solo i bambini sanno fare. Lei lo accarezzava, gli scompigliava
un po’ i capelli, lasciava andare una lacrima calda e gli sorrideva, un sorriso sincero questa
volta, uno di quelli che parlano, che dicono grazie, lo urlano, grazie di esserci, nonostante
tutto.
Erano ormai da diverse ore in su quel camion che procedeva lento verso l’ignoto; Roberto
osservava il paesaggio, lo guardava con la curiosità tipica dei bambini; si faceva domande,
ma adesso non c’era suo padre a sfamarlo, si girò per cercarlo, ma non c’era, era stato
messo in un altro furgone.
Gli mancava, gli mancava la sua voce calda, i suoi abbracci, quel dolce pizzicore della sua
barba sulla sua pelle ancora candida. Continuava a cercarlo, ma vedeva solo persone del
tutto estranee che erano accomunate a lui solo da quella strana stella gialla a sei punte che
portavano sul petto.
Il furgone iniziò a rallentare la sua corsa, tutti erano tesi, sembravano quasi le corde degli
archi un attimo prima che si faccia partire il colpo. Il suono acuto della frenata del camion
echeggiò, Roberto si portò le mani alle orecchie, chiuse forte gli occhi e arricciò la punta del
naso. Passavano i minuti e sembravano ore, poi, finalmente si aprì lo sportellone. Fuori, dei
soldati ordinarono loro di scendere ordinatamente e di disporsi in fila indiana. Tutti
obbedirono. Roberto li osservava con un misto di odio e curiosità; memorizzò il verde
bottiglia della loro divisa, onorata ogni tanto da qualche medaglia, il cappellino mimetico, i
loro sguardi disgustati ed arroganti, i loro fucili assetati di sangue, impugnati saldamente,
fino a far sbiancare le nocche della mano, il sorriso divertito, come quando lui e i suoi amici
giocavano, solo che quello non era un gioco.
La vita al campo procedeva noiosa. Le giornate passavano lente e monotone, ubbidavano
agli ordini dei soldati come marionette, i ragazzi avevano a paura di loro, camminavano per il
perimetro del campo, svogliati, con in fucile in spalla, come se fosse per loro un fardello da
portare. Erano stanchi, addolorati. Non volevano stare lì come non voleva Roberto. Il
bambino avrebbe voluto essere come un uccello, libero, libero di librarsi ed andarsene via
da tutto quello, avrebbe voluto un po’ di affetto dai suoi genitori, avrebbe voluto giocare con i
suoi vecchi amici, ma di questo sapeva che non avrebbe potuto avverare niente, lui era lì, in
quel campo di concentramento e piangeva, era il suo unico modo per sfogarsi, l’unico
metodo che aveva per fuggire da tutto il resto.
Sembrava un miracolo, venuto dal cielo. Quegli aerei, lontani, portavano la loro salvezza.
Bombardarono un angolo del campo, i soldati scapparono terrorizzati, gli ebrei per la gioia.
Roberto continuava a fissare il buco nella parete, meravigliato, incredulo. La madre lo prese
in braccio, il bambino continuava a fissare le esplosioni di quelle bombe mentre la madre
correva. Gli facevano male le orecchie, la vista era offuscata per la polvere e le macerie,piangeva, silenziosamente, mentre guardava quella pioggia distruttrice, curioso, sognante.
Piangeva sulla spalla di sua madre mentre vedeva passare tutto veloce. Vicino a lui suo
padre, gli stava parlando, magari anche con voce dolce, ma non riusciva a sentirlo. Erano
fuggiti, correvano per la campagna, dimenticando chi erano, costruendosi nuove identità, per
ricominciare tutto da zero.

Servigliano, campo di concentramentoWhere stories live. Discover now