28. Dichiarazione

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Ero in bagno a ritoccarmi il trucco quando sentii qualcuno piangere in una delle cabine. Mi guardai attorno realizzando di essere sola. Senza saper che fare andai a bussare alla porta.
«Tutto okay lì dentro?» chiesi a disagio.
«Azura?» chiese una voce familiare tra i singhiozzi.
Prima che riuscissi ad associare un volto alla voce, Beth uscì dalla cabina e mi abbracciò.
«Che... Che è successo?» chiesi scioccata senza sapere cosa fare se non dare leggere pacche sulle spalle.
«Sono così sola! Non ce la faccio senza di te! Per favore! Torna da me!» pianse ancora, così tanto da mettermi a disagio.
«Beth... Perché non lasci Daia?»
La ragazza mi spinse via.
«Per poi ritrovarmi ad essere bersagliata da tutti? No!» esclamò e poi corse fuori dal bagno.
Più perplessa che arrabbiata, me ne tornai in classe.
Ace doveva essere proprio scemo ad essersi preso una cotta per lei. Eppure un tempo non la sopportava. Anzi, mi rimproverava sempre quando la portavo in casa.
Più ci pensavo e più mi faceva rabbia l'idea. Arrivata alla porta dell'aula di lettera, la spalancai sbattendola con tutta forza. Il rimbombo risuonò forte e chiaro contro il muro e la classe si zittì di colpo. Tutti i presenti, Lamus compreso, mi fissarono.
«Signorina Clayback, si è degnata di ritornare dal bagno. Temevamo che avesse smarrito la strada.» disse Lamus. La classe rise anche se la battuta era raccapricciante e il mio cognome errato.
«Che aspetta a tornare al suo posto? Non si aspetterà un invito?» altre risate, in particolare dall'angolo dell'aula in cui era seduta Daia.
«Sì, mi scusi.» replicai impacciata tornando al mio posto.
«Bene, ricominciamo la lezione. Chandelier leggi la parte successiva.» continuò Lamus. Dopo la grande litigata avuta con Lance, Lamus si era messo in testa di rovinargli la vita chiamando sempre lui a rispondere a qualsiasi domanda. Effettivamente era un bene per gli altri, ma il povero Lance si era ritrovato una media inguardabile, nonostante fosse bravo e rispondesse ad almeno il cinquanta percento delle questioni.

A fine lezione riuscii a raggiungerlo.
«Dovresti dirlo alla preside. È così ingiusto!» esclamai fuori portata da Lamus.
«Bah, ci ho fatto l'abitudine. Avevo un prof così anche nella mia vecchia scuola.» replicò il ragazzo con noncuranza.
Per qualche motivo prese il cappuccio della felpa e se lo mise, nascondendo i suoi ricchi biondi.
«Ma non significa niente. Ti fa star male...» mormorai.
«Ma io sto bene.» affermò il ragazzo sorpreso dalla mia uscita.
«Azura» mi chiamò Hebe. «Xavier è qui fuori.» mi informò raggiungendomi. Mi voltai per salutare Lance ma lui era già sparito in mezzo alla folla. Non mi restò che andare incontro al mio pretendente.

«Ti spiace accompagnarmi verso le quattro alla pista di pattinaggio?» chiesi al ragazzo che mise in moto.
«Quale? Quello vicino alla libreria dove lavora la mamma di Hebe?» mi chiese.
«Sì, quella» confermai.
«Non c'è problema. Sai pattinare?»
«In realtà no» replicai imbarazzata guardando i volti anonimi dei ragazzi fuori dal finestrino. Non si rendevano conto nemmeno che stessi restituendo loro i loro sguardi invidiosi. Non ci arrivavano che anche se i finestrini erano oscurati da fuori, da dentro non lo erano affatto. Xavier uscì dal parcheggio senza investire nessuno. Peccato.
«Quindi Hebe ti farà da insegnante?» continuò.
«Probabilmente ci proverà. Mi ha detto che ha fatto pattinaggio artistico, perché ha abbandonato?» chiesi voltandomi verso di lui.
«Da piccola si era iscritta proprio perché sua madre lavorava lì e quindi, dopo averla presa da scuola la portava a fare pattinaggio. Poi ha smesso perché non si era mai trasformato in vera passione, se non sbaglio» mi spiegò. «Ma queste cose non è meglio che le chieda direttamente a lei?» aggiunse.
Arrossii.
«Sì beh, in effetti... Solo che penso che le dia fastidio che io le faccia domande personali.»
«Ti hanno mai detto che pensi troppo?» ridacchiò cambiando marcia. Poi allungò una mano e prese la mia, stringendola e tenendo fermo il volante con l'altra mano.
Mi districai dalla sua presa.
«Ti devo dire una cosa.» presi coraggio.
«Odio quando le ragazze dicono questa frase.» fece teatrale lui senza essere rimasto infastidito dall'aver rifiutato la sua stretta.
Chiederglielo avrebbe potuto essere una cosa tremendamente imbarazzante, anche se effettivamente mi stava già trattando come la sua ragazza. Non sarebbe cambiato molto.
«Noi non stiamo insieme.» iniziai.
«Ah no?» chiese lui con finta ingenuità, quando sul volto aveva un ghigno che la diceva lunga.
«Cosa siamo, per te?» chiesi.
Lui ci pensò.
«Emh... Confidenti?»
La sua faccia era talmente buffa che mi misi a ridere.
«Qualcosa non va nella parola "amici"?» lo presi in giro.
«Non so. L'esperienza mi ha insegnato di non etichettare le ragazze con cui sono andato a letto come "amici", perché poi si incavolano e tentano di tirarmi un calcio nei gioielli di famiglia.» mi spiegò. «E poi sto guidando, sarebbe pericoloso venire assalito.» aggiunse.
Risi.
«Mi hai appena catalogata come una delle tue avventure, è quel che sono?»
Xavier sembrava sul punto di strozzarsi.
«Di' la verità. Sono nei guai?»
Scossi la testa. «Tranquillo, non ti sto mettendo sotto torchio.» gli spiegai.
Il ragazzo mi diede uno sguardo veloce prima di accostare e voltarsi verso di me definitivamente.
«Ci sono due possibili domande che mi farai.» iniziò.
«La prima» alzò un indice «È quella che mi chiederai di ufficializzare le cose e stare assieme. La seconda...» alzò l'indice dell'altra mano. «È quella dove mi chiedi di dimenticarci di tutto e far finta di niente, essere solo amici. Dunque, Azura Clayton, cosa mi vuoi chiedere?» concluse mangiandosi tutti i giri di parole che avevo in mente.
Forse non era un ragazzo. La specie maschile non era così perspicace.
«Che risponderesti a queste domande?»
«Perché? Cambierai domanda in base alla mia risposta?» mi affrontò. Il ticchettio delle quattro frecce dell'auto mi innervosiva e non mi faceva pensare chiaramente.
Cosa volevo io?
La sera prima ero convinta di voler iniziare una nuova avvenuta con il bellissimo ragazzo seduto davanti a me.
Perché Hebe aveva ragione. Eravamo single e sembravamo attratti l'uno dall'altra. Non avremmo ferito nessuno. Ma poi quella mattina...
«Voglio che siamo amici.» affermai risoluta facendolo sorridere.
«Cioè, finché si tratta di pomiciare in macchina è una cosa, ma il sesso? No. Non saremo quel che sono Hebe e Tony. O meglio, quel che sono stati.» mi affrettai ad aggiungere poiché quel sorrisetto mi faceva pensar male.
«In pratica mi stai dicendo che posso baciarti quando voglio senza superare quella base? E poi che cosa sono esattamente Hebe e Tony?» aggiunse inarcando il sopracciglio.
«No! Niente baci, niente flirt e soprattutto niente sesso di convenienza.»
«Uh, Hebe e Anthony erano scopamici? Oddio, questa non la sapevo!»
«Scherzi? Davvero non lo sapevi?» esclamai.
«No! Pensavo che uscissero assieme!» replicò.
Tutti i complimenti sulla perspicacia di Xavier Bellson li dovetti rimangiare tutti, dopo quell'uscita.
«Xavier!» esclamai dandogli una spinta.
«Okay, okay. Ricevuto forte e chiaro, mademoiselle.» disse alzando i palmi.
«Amici senza alcun fine.» mi fece l'occhiolino.
«Ah, e non venirmi a prendere a scuola se siamo amici.» aggiunsi.
«Non vuoi più mantenere la recita?»
Scossi la testa. «La tua presenza mi impedisce di trovarmi un ragazzo anche se è tutto falso. Quindi preferirei fingere di rompere con te.» riflettei.
«Capisco. In altre parole mi hai appena mollato. Ah, che colpo al cuore.» disse teatralmente rimettendo in moto.
«Almeno così puoi ritornare su Wren.» lo istigai.
«Attenta a quel che dici. Lo sai come va a finire ogni volta che parliamo della mia situazione sentimentale.» ghignò.
«Xavier! Cosa mi hai appena promesso?!» esclamai scandalizzata.
Lui rise. Mi stava prendendo in giro.
In quel momento pensai che Wren era veramente una ragazza fortunata.

Insicura (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora