PARTE PRIMA: Siena, Italia.

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Era un caldo pomeriggio estivo, ed una lieve brezza entrava dalla finestra spalancata della mia stanza.
Io ero immersa nella lettura di un romanzo, stesa sul letto, illuminata da un soffice raggio di sole.
Amavo quell'atmosfera, e amavo la quiete, l'immobilità, in grado di farmi assaporare con gli occhi ogni parola.
Il frinire delle cicale non interrompeva il silenzio, ma faceva parte del quadro, a mio parere, quasi incantevole.

Vivevo in una casa di campagna, in provincia di Siena.
I miei genitori l'avevano ereditata quando ero molto piccola.
Nel complesso presentava molti difetti, con il tempo sempre più trascurati.
Al contrario, la mia stanza era curata anche nei minimi dettagli. Da bambina mio padre mi fece scegliere il colore delle pareti, lilla. Crescendo cambiai idea, così la ricoprimmo con carta da parati caratterizzata da una decorazione floreale in colori pastello, in contrasto con i mobili di legno scuro.
Era piccola, ma abbastanza grande per me. Era il mio mondo, il mio rifugio.

Si era ormai fatta ora di cena, il sole cominciava a calare dietro le colline che circondavano la mia casa.
Mi affacciai alla finestra e vidi mio padre innaffiare l'erba del giardino.
«Ehi babbo, che ne dici se vengo a darti una mano?»
«Oh, grazie tesoro. L'età inizia a farsi sentire, la mia schiena non sopporta più simili sforzi.»
Così scesi le scale, e andai ad aiutarlo.

Mio padre era abbastanza anziano, lo si deduceva dal fatto che iniziavano a spuntargli i capelli bianchi. Era un uomo forte, robusto, e molto alto. Avevo molta stima di lui perché nonostante le difficoltà economiche, aveva saputo crescermi, insieme alla mamma, senza farmi mai mancare nulla.
Il loro sostegno, amore e orgoglio per me erano davvero fondamentali.
La sua vita non era stata molto facile, aveva dovuto fare enormi sacrifici per mandarmi a scuola in città, e per questo gli sarò per sempre grata.
Passava la maggior parte del tempo a prendersi cura del giardino e dell'orto dietro casa, quando non doveva scendere in paese con mamma a lavorare in una pasticceria.
Mi coinvolgeva sempre in queste attività, fin da piccola. Mi aveva insegnato a potare le piante, innaffiare gli alberi da frutta, concimarli, e a raccogliere le verdure dell'orto e, nonostante odiassi gli insetti,mi piaceva passare del tempo con lui.

Mentre rastrellavo il prato, un profumo di pane appena sfornato giunse al mio naso risvegliando la mia fame e quella di mio padre.
«Chissà cosa ci avrà preparato stasera..» si domandò papà.
«Spero insalata di pollo. Fa caldo, non ho voglia di minestra» risposi.

Non avendo una seria professione, mia mamma dedicava molto tempo alla cucina.
Ogni giorno ci preparava piatti buonissimi, utilizzando le verdure del nostro orto. Poi iniziò a produrre marmellate fatte in casa ed altri prodotti biologici, che la domenica vendeva in paese. Erano molto apprezzati dalle donne, e ciò le permetteva, fortunatamente di non tornare mai a casa con le tasche vuote.
Grazie a questi piccoli guadagni, riuscì a comprare un forno a legna così ogni tanto preparava il pane, la pizza, i biscotti e rustici di ogni tipo.

Entrai in casa, e mamma mi accolse con un raggiante sorriso, pronta a farci assaggiare il piatto di quella sera. Il fatto che io e papà apprezzassimo la sua cucina, la rendeva orgogliosa e felice.

Mamma era una donna alta, magra, anche lei abbastanza anziana.
Aveva i capelli biondi, tra i quali se ne nascondeva qualcheduno grigio, un naso a punta e la bocca sottile.
Aveva una grande forza d'animo, sempre disponibile e premurosa con tutti.
Sposò mio padre nonostante non avesse molto da offrirle, e insieme avevano combattuto e superato le difficoltà. Erano davvero un grande esempio per me.

Ci sedemmo a tavola, vivacemente apparecchiata. Sulla tovaglia, arancione e plastificata, c'erano diversi frutti disegnati. I bicchieri erano di diversi colori, ad ognuno di noi ne era assegnato uno specifico. Il mio era il blu, come il colore dei miei occhi. I piatti facevano parte dello stesso servizio dei bicchieri e delle posate.

Avevamo la strana abitudine di giocare sempre allo stesso gioco ogni volta che eravamo a tavola: dovevamo guardarci e fare le facce buffe. Il primo che rideva, perdeva. Io perdevo sempre, non riuscivo a trattenere la risata nel vedere mio padre arricciare il sopracciglio e cacciare la lingua.

Quella sera, però, decisi di affrontare un argomento per me molto delicato, sul quale stavo riflettendo ormai da tempo. Sentivo il forte bisogno di rendere consapevoli i miei genitori di una decisione che volevo prendere per il mio futuro.
Avevo quasi venti anni e avevo finito il liceo senza però essermi iscritta all'università.
Sapevo che sarebbe stato un peso economico troppo grande per i miei genitori, e sapevo che l'idea di separarsi da me li avrebbe distrutti completamente. Ma la verità era che, nonostante amassi la mia famiglia e conoscessi i sacrifici che facevano ogni giorno, sentivo che così la mia vita non poteva essere pienamente realizzata.

Alle scuole superiori ero la più brava della classe,specialmente nella lingua inglese. Gli insegnanti, conoscendo la mia situazione, avevano provato a farmi ricevere borse di studio e a convincere mio padre ad accettare sussidi per mandarmi all'università.
«Hai tutte la capacità per ottenere ciò che vuoi, studiando. Sei di un'intelligenza rara, Candice.» Mi ripetevano le professoresse. Erano le uniche a sapere del mio sogno di entrare in una delle più prestigiose università di Londra, l'UCL alla quale avevo provato a fare domanda, ma richiedeva un incontro di persona, così, mio malgrado, rinunciai.

Avevo il cuore che scalpitava in petto. Presi un respiro profondo e dissi:

«Mamma, papà. Devo parlarvi di una cosa molto importante.»

«Certo Candice, siamo qui pronti ad ascoltarti.» rispose mia madre, accarezzandomi il viso e spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 

«Okay, grazie. Non so bene da dove cominciare, quindi preferisco arrivare dritto al punto.» Guardai mamma, poi mio padre, abbassai lo sguardo e arrossii per l'imbarazzo.

«Ho deciso di andare a studiare a Londra. E' il mio sogno. Lo so. Sento la necessità di riscattare la mia vita, e i vostri sacrifici. Ne farò anche io. Inizierò qualche lavoro in paese, non so. Qualsiasi cosa, purché voi me lo concediate. Mi permetterà di guadagnare per potermi pagare gli studi. So che non sarà facile, e che ci vorrà del tempo, ma se voi mi sosterrete, credo di potercela fare. Sono più che determinata, ma ho bisogno del vostro appoggio.Davvero.»

Nel sentire quelle parole il volto di mio padre assunse un espressione particolarmente seria, ma non arrabbiata, nemmeno delusa. Mia madre arricciò il naso, per trattenere una lacrima.
Li guardai, con l'impressione che quelle parole non furono una sorpresa per loro.
In un certo senso, se lo aspettavano, non so perché.

«Oh, Candice.. Ho letto la mail dall'UCL, qualche anno fa, dal tuo computer, quando entrai nella tua stanza. L'avevi lasciato acceso, e ti eri addormentata. Io venni per darti la buonanotte, e notai delle lacrime ancora fresche sul tuo viso. Non potetti fare a meno di leggerla. E capii. Ne parlai a tuo padre, e decidemmo di non dirti nulla. Immaginiamo il motivo per cui hai aspettato tanto per dircelo, e apprezziamo la tua comprensione. Ma, allo stesso tempo, sappiamo quanto tu ci tenga ed eravamo consapevoli che prima o poi ce ne avresti parlato. Nel frattempo, io e tuo padre abbiamo conservato i nostri risparmi per te. » disse mamma.

« Vogliamo aiutarti, tesoro. Tu avrai la vita che hai sempre sognato, e la otterrai. Lotterai per te, e per noi. Noi ti saremo sempre vicini e ti supporteremo sempre. Lo vediamo dai tuoi occhi, sei sempre stata una ragazza determinata. Ormai stai crescendo, non sei più una bambina. Questo io e la mamma lo abbiamo capito da tempo.» continuò papà.

Sentendo quelle parole, scoppiai a piangere e li abbracciai.
Tra i singhiozzi l'unica parola che riuscii a dire fu:
«Grazie.»

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