terra di luce, cielo di terra

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Chiuse gli occhi, un vecchio.
Le labbra sottili, bianche come la morte, tremavano - la pelle gli ricadeva pesantemente sul volto, come per riscaldargli le ossa fredde e fragili, quasi volesse proteggerle dal vento, tenerle al sicuro da ogni male.
Le sue mani erano vetro scalfito e ombre, grezze e ruvide. Con lentezza, le fece scivolare sul suo viso anziano. Accarezzarono - e fremevano ad ogni respiro - la pelle morbida, quelle rughe che disegnavano il quadro di una vaga, umana debolezza. Si accarezzava, quel vecchio, dalla fronte, percorreva ad occhi chiusi il ricordo della sua vita, giunta agli sgoccioli. Arrivò al mento, con quelle dita così fragili che un solo soffio di vento avrebbe potuto spezzarle, e scese giù per il collo, lo sfiorò, come se avesse paura di potersi ferire, con il vetro delle sue mani.
Lasciò cadere la sua mano sinistra, poi, e portò la destra poco più su, sulla guancia grinzosa, e con delicata dolcezza, la trascinò fino a toccare l'estremo opposto del suo viso, sfiorando delicatamente i suoi occhi chiusi.
Il disegno di una croce, sulle rughe di un vecchio.
Una benedizione di miele che si scioglieva invisibile sulla pelle.
Si fermò, il vecchio. Indugiò per un secondo. Due secondi. Tre.
Si fece prendere da un respiro profondo - l'aria si bloccò a metà, e subito la lasciò andare. Pigramente, alzò le palpebre, sottili come carta velina. Scoprì due occhi di cristallo - ghiaccio grigio, la freddezza trasparente di un'anima tormentata.
E lo sguardo curioso di un bambino lo schiaffeggiò in pieno volto - però, dolcemente.
Osservò la sua freschezza, quel vecchio. Attorcigliò lo sguardo al suo. Non c'era un sorriso, solo una notte di rughe e di ombre, e la fioca luce di una candela.
Piano piano, la sua voce cominciò a danzare, su quelle fiamme.
-Devi immaginarti qualcosa di bello. Capisci? Una bellezza pura, libera. Ci riesci? Sì? Cosa ti viene in mente?
-Il Paradiso.
-Sì, esatto. Un piccolo angolo di paradiso. Un ritaglio, un prezioso frammento di eternità. Immagina una spiaggia, bianchissima - che ad osservarla un po' meglio, chiunque avrebbe potuto pensare, che non v'erano granelli, ma polvere della pelle di Venere.
Immagina l'acqua - prima scura, e poi trasparente, e poi scura, e poi trasparente - che subentra fiera e spezza ogni barriera, s'inoltra nella fredda sabbia, e torna indietro, e poi ricomincia daccapo, imperturbabile, in una danza infinita, si porta dietro qualche ciottolo, poi lo lascia andare.
-Il mare?
-Il mare - Sì, il mare. Quello era il mare.
Di sfondo, brulica una foresta - il verde acceso, contrasta fortemente, con i granelli bianchi. Una foresta, che s'infittisce talmente tanto, e a guardarla da lontano, sembra un groviglio scomposto, una matassa verde, lasciata là, su una montagnetta di sabbia bianca, e poi,
tutto d'intorno,
il mare. -
Un paio d'occhi immobili, limpidi, ad ascoltare una bocca di carta.
-Hai capito bene, mi segui?
-Sì.
-Ora immagina: un gomitolo di casette, appollaiate sui rami degli alberi, come tanti piccoli nidi. Sono una dozzina, non di più, tutte ammucchiate e concentrate in un unico punto, sul limitare della foresta, quasi temessero di addentrarsi troppo, e finir inghiottite dalle ombre che s'aggirano miti e veloci, tra le larghe fronde. S'affacciano, per l'appunto, sulla bianca sabbia, e poi sul mare - il mare - che la sola vista, seppur colto nell'attimo più burrascoso, riesce a placar il più irrequieto degli animi.
L'aria è gemmea, fresca, e soffia un leggero vento - da che parte, non si sa. Ed il cielo esplode di colori, rinchiusi in una sottile linea curva, che abbraccia l'intera volta celeste, da un capo all'altro. Urlano, quei colori - ma in silenzio - in un sussurro - ecco, si disperano a bassa voce - a testa bassa - chini, a pregare - a implorare - qualcuno - chiunque - di liberarli - sicché la libertà non può essere rinchiusa nella stessa libertà.
È sorprendente, quanto un arcobaleno possa esprimere: anche la libertà può essere una prigionia.
E poi, infinita sabbia bianca, e piedi nudi che la calpestano.
Hai capito? Hai tutto quanto, per bene, negli occhi?
D'accordo, allora.
Nel mezzo, in questa oasi, in questo piccolo angolo di paradiso, immagina un bambino, un bambino come te, correre sulla spiaggia.
Corre, corre a perdifiato, inciampa e si rialza. Corre, e se si fermasse, per un solo momento, gli mancherebbe il respiro. Corre, come se fosse inseguito dall'inferno - ma l'inferno non c'è, c'è solo lui, lui che corre e basta, non lo insegue proprio nessuno, la spiaggia è deserta, ma lui corre, come a sfidare il vento, corre, corre, corre e... -
La voce s'interruppe. Gli occhi grigi del vecchio si chiusero, e poi si riaprirono. Fu un momento, un soffio di vento. La debolezza trasudava dalle sue mani.
Il ragazzino era fermo, cullato da quella voce intrisa di vissuto.
-Sopra tutta quell'acqua, sopra tutta quella sabbia, sopra la foresta, sopra il bambino che corre e non si ferma, c'è una grandissima roccia. Trenta metri assicurati. Una roccia immensa, che cade a strapiombo sulla spiaggia. Dicono che da lassù si riesca a vedere la fine del mare. Gli occhi dell'infinito. Ci riesci, ad immaginarlo? Ci riesci? -
Il bambino ci riusciva.
-Bene. È cresciuto un albero, su questo promontorio. È tutto storto, e pende sul mare, che quando lo vedi, pensi "adesso cade". Ma non cade mai. È tutto storto, pende sul mare, il vento lo spinge - non gli daresti una lira, a vederlo così, attorcigliato, i rami contorti e spogli, privi di foglie, un albero che scivola sulla freschezza dell'aria, non gli daresti una lira, credimi - quando lo vedi, pensi "cadrà, crollerà, piomberà giù una volta per tutte". Ma lui se ne frega, delle tue parole, è ancora là. Non cade mai, quell'albero. Non cade mai. Ci credi? -
Il bambino ci credeva.
-Ed ora, ascoltami bene: quell'albero è maledetto. Davvero. La maledizione scorre nella sua linfa - e mette i brividi. Stai attento, adesso, che qui diventa difficile.
C'è un uomo. Tutto solo, su questa roccia, in bilico sulle ciglia dell'infinito. Ha delle mani grandi, accarezza il tronco dell'albero, forse sta pensando. Gratta la corteccia, con fare nervoso. Gli occhi sono socchiusi, sono azzurri. Occhi che hanno sfilato via dal cielo ogni sfumatura più bella. Si aggira, tra le nuvole dei suoi occhi, un'ombra, meditabonda e misteriosa. S'attorciglia su se stessa, offusca la sua vista - solo per un attimo - e poi si rintana nel suo nascondiglio. Come se fosse un gioco. Lo tormenta.
Sta fermo, lui, lascia scivolare la sua mano sulla corteccia, con lentezza, ne sente ogni solco, ogni ammaccatura, ogni falla. A stretto contatto con la sua pelle - si lascia graffiare, si lascia andare a quell'albero bizzarro, e sembra che siano le venature a guidare le sue dolci carezze, e non il contrario.
Poi, d'improvviso, si volta - e davanti a lui c'è una donna, bellissima.
Si osservano, immobili. Non parlano. Non sorridono.
Pian piano, si spegne ogni rumore - pensieri, sospiri, battiti di ciglia - tutto diviene il muto esistere di uno sguardo, uno sguardo intrecciato, aggrovigliato - impossibile dipanarlo -
Nessuna parola, solo quello sguardo - il più forte degli sguardi, un allacciarsi di occhi e di anime, non una parola, un violento perseguire di cuori che battono, così vivi, fiori che sbocciano, neve che scivola nell'aria, vento che soffia e accarezza la pelle - il silenzioso accadere di ciò che è meraviglia umana, la completezza di un'arte dipinta nei loro occhi, sentimenti danzanti, e desiderio, un cattivo desiderio, un desiderio mostruoso, pericolosamente vero, sciolto nell'acido dell'amore passionale, dell'eros irrefrenabile, e represso nelle loro mani che tremano, e tutt'insieme il basso ventre, crepita - nessuna parola, solo quello sguardo, solo due anime che si amano ma non si toccano, non si sfiorano, terrorizzati all'idea di perdersi, di farsi del male, di macchiarsi - nessuna parola, solo quello sguardo, quello sguardo che spegne ogni rumore e accende un tumulto, che non puoi non sentirlo, puoi coprirti le orecchie, gli occhi, e la bocca, ma non puoi coprire la nudità del cuore, la cerula vulnerabilità dell'anima umana, di fronte allo spettacolo di un'esplosione di colori rinchiusa in quello sguardo e
«Perdonami.»
Dice solo questo, l'uomo.
«Perdonami.»
Parole che sembrano rubate.
Continua a guardarla, e con lentezza, si avvicina. Gli occhi vacui le sfiorano la pelle di seta, con folle desiderio - è solo un momento, un momento veloce, quasi impercettibile, si avvicina tanto che le ciglia di lei gli accarezzano le guance - vorrebbe annientarla in se stesso, ne sente il bisogno, vorrebbe perdersi in lei, e - lui si china, il suo respiro le solletica il collo - il suo odore gli strappa le parole dalla bocca - e mormora, con gli occhi chiusi, «io ti amo». Lo mormora come se le stesse sfiorando il cuore: nel modo più dolce del mondo.
Lei, meravigliosa creatura, cerca il volto del suo amante, che le scivola accanto.
Alza gli occhi, lui. Alza gli occhi, e - in un solo attimo - divengono tetri, si rabbuiano, s'oscurano, l'ombra lo acceca.
«Io ti amo, ma sono terrorizzato all'idea di amarti.»
Forse non ha nemmeno finito di mormorarlo, e già le affonda un coltello nella pancia, una volta, due volte, tre volte.
Non ha nemmeno il tempo di gridare, lei. Osserva stupefatta la macchia scura che s'allarga sul suo ventre - e già scivola, all'indietro, s'abbandona, con leggerezza - sente un soffio di vento portar via la sua vita da quel corpo aperto - senza lasciarle il tempo di un solo pensiero. Scivola all'indietro, con dolcezza, e sembra una piuma nell'aria, scivola, e per un momento d'infinito, pare che sia rimasta ferma, sospesa a mezz'aria, il suo ultimo respiro ancora intrappolato nelle labbra, bianche come la neve - è solo un momento, o forse è una vita intera - il suo viso perde colore, come un fiore appassisce in inverno - perdendo bellezza, ma senza perderla -, ed i suoi petali freddi danzano nel vento - è solo un momento, non scivola, non cade, non respira, il suo cuore è immobile - e non lei sola, ma anche le mani di quell'uomo, macchiate del sangue del suo amore, non tremano, e le sue lacrime sono prigioniere dell'ombra dei suoi occhi - ed il vento non soffia più, non danza più; l'albero maledetto, accanto a loro, che ha visto, che ha sentito, ma la cui figura storta rimane muta, e non osa muoversi - e così anche gli uccellini, in volo, con il loro cinguettio incatenato in gola - ed il bambino che corre e non si ferma, si blocca, senza fiato - e le onde del mare sono come incantate, ammaliate - ed il rumore dei pensieri del villaggio si nasconde nel silenzio - è solo un momento, ma poi il momento passa, e lei viene giù con la delicatezza di una foglia che scivola dal suo ramo, e si posa sulle mani assassine del suo amore, bellissima e senza vita.
Tra le braccia di quell'uomo, il peso leggero di una donna uccisa, e la pelle - porcellana - sporca di sangue. Il corpo straziato, una mano dal colore pallidissimo, con le dita affusolate, che ricade all'indietro - e lui, incapace di qualsiasi gesto - trema e piange, piange e trema - mormora, solo, insistentemente
«Perdonami.»
Cola sangue e pianto, come cera da una candela accesa.
«Perdonami, amore mio.»
Si aggrappa a quelle parole, quasi fossero una benedizione, una preghiera, la sua unica speranza, si lascia trasportare dal loro suono, e da quello delle onde che si sciolgono sulla riva, dal peso di quel corpo meraviglioso e aperto tra le sue mani macchiate, ed il tenue battito del suo cuore marcio. L'aria è gelida, rotta solo da soffi di vento.
«Perdonami, ti prego, perdonami, amore mio.»
-
Smise di parlare, il vecchio. Si stropicciò le palpebre con quelle mani di rughe e di vetro. Le sue dita tremavano, così come la sua voce, che, con lentezza, si affievoliva. Ma lo sguardo del bambino era ancora caldo, e continuava a schiaffeggiare il suo volto - con estrema dolcezza - attento e silenzioso. Lo sguardo di chi si lascia incantare da un colore, da una parola, da un sorriso, lo sguardo di chi si perde in un'emozione - si smarrisce tanto che si scorda di tutto, persino del suo nome. Uno sguardo innamorato. Gli occhi e le orecchie del bimbo erano fisse su quel vecchio, che età non ne aveva, e ormai era solo massa flaccida e ossa deboli. L'amarezza di quella storia lo pungeva sulla punta della lingua. Sentiva addosso la leggerezza del corpo morto di quella donna, uccisa per il terrore dell'amore, e le lacrime di quell'uomo scivolargli giù per la pelle delicata. Incredibile, quanto possano significare le parole, per un bambino.
-Perché quell'albero è maledetto?
Chiese, con il viso in fiore.
-Come ben capirai, la storia non finisce con la morte del suo amore. - sospirò, il vecchio, e s'accarezzò le dita stanche, con la sua stessa stanchezza. - Ricordi, l'angolo di paradiso?
Continua a immaginarlo. Il mare, che infuria e brucia, che urla e poi si placa, e che lentamente si distende sulla sabbia bianca. L'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, un arcobaleno che colora il cielo e che grida, che implora la libertà. Soffia un leggero vento, che fa oscillare leggermente i rami degli alberi della foresta, e sussurra qualcosa nella sua lingua - chissà cosa dice il vento, quando soffia, dicono che sveli i segreti più oscuri della vita, cose che solo lui ha visto e che solo lui conosce, chissà cosa dice, parla tanto, parla tanto e nemmeno te ne accorgi, che gli uomini, a furia di ignorare la sua voce, si son scordati come la si ascolta, e la sua lingua non la parla più nessuno.
Immagina, dunque, questo incredibile, meraviglioso frammento di eternità - immagina il villaggio tutto raccolto in se stesso, e subito dopo, questa foresta misteriosa, la terra fertile e tutti quei campi che ridono di quei fiori che profumano di più. E poi, come una sentinella, minuscola eccezione posatasi su quella perfezione, in piedi a difendere quella porzione di mondo, che sgretola impercettibilmente la spettacolare scenografia degna d'un occhio divino - eccolo, un albero ripiegato su se stesso, all'apice di una roccia tremendamente alta, si sporge verso il vuoto, che appena lo vedi pensi "adesso cade". Ma non cade mai. Ed accanto a questo, a rovinare la pura bellezza del Paradiso, c'è un uomo con un'ombra negli occhi, ed il sangue nelle mani. Un uomo che, posato a terra il cadavere di una donna bellissima, s'avvicina all'albero, e, con le dita che tremano, estrae un cappio dalla tasca, e lo porta al collo - lo indossa, come si indossa la corona di un regno rubato: con un misto di vergogna e determinazione.
Lega l'estremità al ramo che più scivola nel vuoto. Poi si guarda indietro, per accogliere, dritto nei suoi occhi, la vista straziante del corpo del suo amore, innocente e puro, intriso di sangue - come se strappasse via, con quello sguardo, la sua bellezza, la sua libertà, e la raccogliesse nell'ampolla di vetro dei suoi occhi, per non perderla. Serra di scatto le palpebre. Ora non possono sfuggirgli.
Tremante, fa tre passi avanti. Conta i secondi. Sente l'orlo della roccia, lo sente sgretolarsi un po'.
Scende incerta la sua mano, sul viso di lacrime e vergogna, e incide, un po' nel vento e un po' nella pelle, l'invisibile marchio di una croce.
Allora
quell'uomo,
prende un respiro profondo, e
senza degnarsi di un ultimo pensiero
nemmeno per dirsi addio,
si getta
nel vuoto.
Rimane appeso come un fantoccio, con gli occhi chiusi - e dentro di essi, imprigionate, la libertà e la bellezza di quella donna, che il suo cuore tormentato aveva sacrificato per paura.
Non vede più, lui. Non parla più, non sente più, è solo una bambola di pezza appesa ad un filo che oscilla nel vento freddo, e la sua immagine si scioglie nei colori di un tramonto che grida in silenzio. Così, non ode l'urlo strascicato di quel bambino che ha corso tanto veloce sulla spiaggia, che a guardarlo pareva inseguirlo l'inferno, ma l'inferno non c'era, c'era solo lui - correva senza fermarsi, ed alla fine è arrivato, ma con un attimo di ritardo. Osserva il cadavere di una donna troppo bella per essere vera, ed il fantoccio di un uomo troppo codardo per essere vivo, immersi nella purezza del Paradiso - una macchia di inchiostro in un foglio bianco - e tutto ciò che riesce a fare è urlare. Urla, come se potesse liberarsi da quell'orrenda visione, si mette le mani sugli occhi, tenta di strapparseli di dosso, ma il marchio morte è già scivolato lì dentro, indelebile, in quel cristallo che comincia a creparsi - urla, ed è incredibile quanta voce possa uscire dalla gola di un bambino, urla, ed il suo grido sale fino al cielo, e poi ritorna indietro, urla, e lo sente ogni animo del villaggio, ogni albero, ogni onda, urla e... -
-Chi è quel bambino?
L'aveva chiesto così: con naturalezza.
Ed il vecchio aveva risposto, con la medesima naturalezza:
-Sono io.
Così.
Molto semplice. Molto lineare. Una frase perfetta, pulita, spontanea.
Sono io.
-Ora hai capito, perché l'albero è maledetto?
Gli occhi del ragazzino scivolarono freschi sulle dita stanche del vecchio.
-Non è l'albero, ad essere maledetto. È il Paradiso. Il Paradiso è maledetto.
E le sue labbra, screpolate e bianche, si piegarono in un fragilissimo sorriso.
-"Amore è uno spirito familiare, Amore è un diavolo, non c'è altro angelo maligno che Amore."
L'amore, ragazzo, l'amore è la pura e meravigliosa maledizione del Paradiso. - disse, e la sua voce era un sussurro.
Nello sguardo del bambino, nel suo animo giovane, verranno incisi quegli attimi con spaventosa precisione - il vecchio - in bocca ancora l'amarezza delle sue parole - che chiudeva gli occhi - il sorriso fragile in quel volto di rughe - lasciò cadere le mani, e le dita si rilassarono - per sempre, quegli attimi, rimarranno negli occhi del bambino, l'esatto momento in cui - la morte - la morte - lo sfiorò senza sfiorarlo - gli scivolò accanto - e con le sue dita scheletriche e peccatrici, sfilò via da un cuore secco le storie di una vita - quasi le vide, il bambino, quelle storie, rotoli di parole e immagini di purezza, scivolare su quel corpo flaccido, rotolare giù per quella pelle grinzosa, come una dolce amara carezza. Bisogna immaginarselo. Tutte quelle parole che scivolano via dal cristallo crepato degli occhi di un vecchio, e che si disfano leggere nell'aria - e tutta quella naturalezza, tutti quei sogni dispersi, come neve sciolta sull'asfalto - si sfumano, consumati, si accartocciano su se stessi - e poi, semplicemente - svaniscono. Perduti.
L'ombra della morte slittò - con impercettibile discrezione - negli occhi del bambino. Rimase fermo, lui, immoto, che pareva una statua, ad osservare il cadavere ancora caldo, il relitto di una storia mai raccontata ed ora giunta - dritto dritto - nel suo vulnerabile cuore. Accolse nella sua memoria la vivida immagine di un'irreale purezza, toccata dalle dita bruciate dell'amore - graffiata, macchiata, sfregiata.
Così, il bambino
serrò le palpebre, e
con ancora
il Paradiso, l'Amore,
e la Morte, fusi, nei suoi occhi d'ombra,
lentamente, la sua mano scivolò
sul suo viso
e disegnò
il segno
di una
croce.

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⏰ Last updated: Apr 19, 2020 ⏰

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