CAPITOLO 1 - UNO SGUARDO NUOVO

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Stavo camminando frettolosamente verso l'aula di latino quando mi sentii afferrare per la spalla.
"Ma che cazzo? Senti sono in ritardo e non è momento per gli insulti!" dissi a voce troppo alta.
"Ah quindi è così che li accogliete quelli nuovi qui?" rispose colui che mi aveva fermata.
"No, cosa vuoi?"
"Ho l'ora di matematica, ma non trovo l'aula del professor Einaudo..."
"Senti, chiedi a qualcun altro." lo interruppi mentre rigiravo sui tacchi tornando per la mia strada.
Ma nemmeno il tempo di fare un passo che mi sentii riafferrare nuovamente per un spalla e la voce della persona con la quale avevo appena discusso disse:
"A chi? Il corridoio e vuoto, sveglia! Poi è già tardi, non ammetteranno nessuno dei due a lezione."
Guardai l'orologio e mi resi conto che era effettivamente vero, sarebbe stato meglio essere assente alla lezione che arrivare in ritardo di venti minuti.
Così decisi di acconsentire alla richiesta del ragazzo di fronte a me e lo accompagnai a visitare i luoghi principali della scuola.
Dopo aver visitato l'ingresso e il bar, poco prima di arrivare alla sala mensa, mi resi conto di non sapere nulla di lui, allora mi fermai e girandomi gli chiesi:
"Hai detto che sei nuovo, dimmi qualcosa di te."
"Perché dovrei dire qualcosa di me ad una ragazza arrogante e soprattutto che mi invita a saltare le lezioni?" disse lui con un ghigno stampato in volto.
Ridendo risposi: "Ti ricordo che sei stato tu a indurmi a quest'assenza" e con un tono più severo continuai "...poi non mi è permesso stare con persone di cui non conosco nemmeno il nome o l'età."
Alla pronuncia di questa frase così grave vidi i suoi angoli del viso distendersi in un riso e i suoi occhi chiudersi in quella sua stessa risata.
Non capivo cosa avesse da ridere tanto, infondo era un'affermazione vera e particolarmente fondata.
"Visto che sei così diffidente ti dirò qualcosa di me. Il mio nome è Christopher e ho 19 anni. Però ora devi dirmi tu qualcosa di te." disse lui.
"Beh io sono Claire Truman e ho 17 anni. Ma com'è che sei al liceo e hai 19 anni?"
"Ho perso un anno trasferendomi da Oslo lo scorso anno poco dopo l'inizio del secondo quadrimestre. Così ho deciso di girovagare un po' per questa strana città che ritornare tra i banchi." continuò lui con scioltezza.
"Vorresti veramente farmi credere che sei norvegese? Solo perché mi sono lasciata convincere a saltare l'ora di latino non vuol dire che crederò a tutto quello che mi dirai eh!"
"Infatti non sono norvegese" disse ridendo "prima vivevo a Torino, ma in questi ultimi due anni mi sono dovuto trasferire ad Oslo per il lavoro di mio padre."
"Ah scusa" risposi imbarazzata.
Christopher si girò e divenne improvvisamente serio in volto: "Non essere imbarazzata, tutti hanno questa reazione, tranquilla."
"Io non sono affatto imbarazzata!" esclamai arrossendo in viso.
"Sì che lo sei, lo si vede dai...beh dai tuoi occhi, ecco da cosa."

Non capivo, mai prima d'ora qualcuno aveva minimamente intuito i miei sentimenti, o semplicemente il mio stato d'animo.

Non avevo mai lasciato trasparire nulla di me in presenza di altre persone, nemmeno con la mia famiglia, questa sua intuizione mi parve strana e davvero ambigua.

"Tu non mi conosci, non sai nulla di me..." dissi io interrotta dal suono della campanella.
Non feci in tempo a dire nient'altro che il corridoio divenne affollato e perciò persi di vista Christopher.
C'era qualcosa di strano in lui, intrigante seppur spaventoso.
Quel suo modo di fare, di parlare e soprattutto di cogliere le mie emozioni.
Venni colpita dalla sua semplicità e non dall'apparente bellezza.

Perché sì, i suoi capelli lisci e castani, i suoi muscoli scolpiti sotto la maglietta, i suoi occhi verdi o semplicemente il suo abbigliamento curato avrebbero potuto attirare qualsiasi ragazza, ma io quasi non ci feci caso: c'era qualcosa di diverso in lui ed ero mirata a scoprire che cosa.
Persa tra i miei pensieri nemmeno mi accorsi del tempo che passava e, appena rientrai nella realtà, mi resi conto di essere quasi sola nel corridoio.
Iniziai a correre verso l'aula di letteratura, non potevo permettermi un'altra ora di assenza!

Arrivai in classe giusto in tempo per tirar fuori i libri e vedere entrare la prof.
Durante la lezione parlammo di Dante.
La prof ci spiegò che in realtà egli aveva visto esclusivamente un paio di volte Beatrice in tutta la sua vita e che possedeva moglie e figli ai quali donava tutto il suo amore.
Beatrice era per lui come una valvola di sfogo: un rimando verso l'infinito, qualcosa che gli ricordava di essere realtà in una vita piena di illusioni ed attori.
Avevo sentito migliaia di volte questi discorsi negli ultimi otto anni, eppure, dopo quello strano incontro con Christopher, tutto quello che finora mi era sembrato risaputo e ripetuto, sembrava un mondo nuovo e ancora inesplorato.

Quel ragazzo, quello strano ragazzo di Torino, aveva mosso qualcosa dentro di me, non sapevo che cosa, ma doveva essere qualcosa di grande per avermi fatto cambiare così tanto il mio sguardo sulle cose che mi circondavano.

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