Pensai che il primo giorno di scuola non fosse così orribile, Lance e Hebe mi seguivano ovunque e mi tenevano occupata, distraendomi così tanto che quasi dimenticai gli altri. Ma i professori erano tutt'altra cosa. Loro non si potevano combattere con la fuga, bisognava affrontarli e basta.
La nana malefica, o per i comuni mortali la nostra dolce professoressa di matematica Edna Killer, ci aveva riempito di esercizi di matematica e ci aveva fatto un test a sorpresa.
Io sono sempre stata decente in matematica, ma temetti di aver sbagliato almeno la metà dei quesiti. Con la mente confusa uscii dalla classe e maledii la professoressa.
Non avevo la minima voglia di affrontare anche Lamus, ma non avevo altre alternative.
«Passato bene queste vacanze?» chiese una fastidiosa voce. Alzai lo sguardo e mi trovai di fronte Daia e Beth, la prima con un sorriso malefico e l'altra con quello classico finto da bambolina stupida.
«Fatti da parte Daia, non sono dell'umore.» dissi prendendo coraggio e cercando di superarla. Lei fece un passo di lato per sbarrarmi la strada. Ero sola e non c'erano né Lance, né Hebe nei paraggi. Daia non aspettava altro. Aveva proprio bisogno di umiliarmi in pubblico il primo giorno di scuola. Era così che faceva per mettere al loro posto gli altri che non fossero nella classifica. Quelli che erano solo perdenti ai suoi occhi.
«Non resti a chiacchierare con me? Solamente perché ti ho rifiutata non significa che tu non possa cercare di riconquistare la mia amicizia.» disse spostandosi i fluenti capelli biondi indietro.
«Sei noiosa.» mi limitai a dire, cercando con lo sguardo una via di fuga. La folla si stava radunando attorno a noi e notai Jason tra le persone che guardavano curiosi. Sul volto, un espressione indecifrabile.
«Sono stata così gentile con te. Ti ho aiutata a toglierti quell'etichetta da "nessuno" che avevi e mi ricambi così? Sei davvero uno schifoso niente, allora.» mi sibilò contro.
Le lacrime iniziarono a premere di essere versate e il cuore batteva così forte da tapparmi le orecchie. Mi sentivo avvampare, ma al contempo, volevo coprirmi il più possibile e sparire dalla faccia della terra. Le parole di Daia sommati agli sguardi derisori di tutti gli altri erano dannosi.
«E cosa può fare una niente per migliorare? Stare con altri nessuno o diventare una troia che più vacca non si può, dico bene?» continuò la ragazza facendo salire le risate dei presenti.
«Andiamo, Daia, basta così.» intervenne qualcuno. Tom si era fatto spazio tra la folla e aveva fermato la sua pseudo ragazza. Nonostante tutta la scuola sapesse che lei le avesse fatto le corna con Jason, quel ragazzo faceva ancora da cagnolino alla stupida reginetta.
«Zitto tu. Dico io quando ho finito.» disse la ragazza avvicinandosi a me.
«Eravate amiche, cerca di...» insistette Tom.
«Amica lei? Mi piaceva usarla solo perché è brava a scuola. Ti pare che io possa avere veramente come amica una lesbica poveraccia come lei?» disse sbuffando.
«Hai ragione.» dissi con un filo di voce. Ma lei mi sentì.
«Certo che ho ragione, troia.» ghignò soddisfatta.
«Hai ragione, perché tu non hai amici.» dichiarai a voce più alta, fissandola dritto nei chiari occhi.
Daia scoppiò a ridere.
«Sono la ragazza più popolare della scuola. Che c'è? La gelosia ti ha fatto perdere anche la memoria? Oltre che la faccia da cogliona che ti ritrovi?» mi schernì.
«Smettila!» gridai, mentre le prime lacrime mi macchiavano le guance. Oh, no. Non adesso, non uscite.
Decisi di voltarmi e spintonare gli studenti che erano fermi a guardare per fuggire via. Non c'è la facevo. Non avevo la forza di affrontarla. Ero troppo sopraffatta dalla mia stessa autocommiserazione per cercare di riprendermi dall'umiliazione subita, non sapevo come affrontare quell'onda anomala. Era come se avessi dimenticato come si nuotasse per sopravvivere.
L'idea di andare a lezione mi fuggì di mente, così mi trovai in cortile, mentre andavo a sbattere contro qualcuno. Un uomo in cappotto con uno strano cappello mi prese al volo prima che cadessi a terra. Lo stesso uomo di quella mattina.
«Scusi.» mormorai mentre quello di aggiustava cappello e occhiali da sole. Istintivamente diedi un'occhiata al cielo e lo vidi nuvoloso. Il mio cuore continuò a battere velocemente, ma ad un ritmo diverso. Il ritmo della paura invece della sofferenza all'umiliazione subita. Non sapevo nemmeno io cosa temessi di lui, ma mi voltai e corsi più velocemente che potevo, finché non mi fui distanziata dall'uomo.
Ero sotto la finestra di un'aula vuota, con la fronte appoggiata contro il ruvido muro, nel tentativo di riprendere fiato.
Ma che diavolo mi era preso? Tirai fuori il telefono e trovai due notifiche, una da parte di Hebe e l'altra di Lance. Entrambe recitavano.
"Dove sei??!!"
Mi ricordai improvvisamente della lezione con Lamus. Maledizione, il professore non prendeva di buon occhio chi scappava da lui già dal primo giorno, mi avrebbe etichettata per il resto dell'anno.
D'impulso, decisi di dirigermi verso l'infermeria, fingendomi un malore allo stomaco. L'infermiera mi accolse gentilmente e mi offrì alcune pastiglie ma le dissi che mi serviva solo dormire. Così, mi concesse uno dei tre lettini con tendina bianca e lì rimasi per l'intera giornata scolastica, perdendomi la ripresa e tutte le altre lezioni. Sarei stata un passo indietro a tutti, ma in quel momento non me ne poteva fregare di meno. Mi importava troppo, ma allo stesso tempo troppo poco di me stessa.
D'un tratto le tende si spalancarono, ma decisi di rimanere con gli occhi chiusi.
«Sta dormendo.» sussurrò una voce sorpresa. Ace?
«Lo vedo.» disse freddamente un'altra voce. Hebe? Che ci fa Hebe con Ace? Oddio è lei la ragazza con cui messaggia sempre ed esce di nascosto?
«La sveglio? Devo andare ad un appuntamento fra un po'...» continuò la voce del mio fratello. Appuntamento? Non è lei! Oh, Dio! Grazie al cielo!
«Che razza di fratello sei? Tua sorella sta male e ti preoccupi del tuo stupido appuntamento?» Arn, questo era decisamente lui.
«Ma dobbiamo tornare a casa, saputello. Come la portiamo a casa se non si sveglia?» replicò il fratello.
«Non vi ho chiamati per farvi bisticciare in infermeria. La scuola è finita e lei deve tornare a casa.» li interruppe Hebe. Due mani mi scossero le spalle facendomi spalancare di colpo gli occhi.
«Sei impazzita?!» esclamai.
«Vedete? È sveglia. Ora ripostatela a casa.» disse Hebe mentre la guardavo intontita e mi alzavo dal lettino piano piano.
«Tutto okay, Zhur? Ho saputo solo ora che ti sei sentita male, mi spiace.» mi disse Arn premurosamente appoggiandomi una mano sulla schiena.
«È tutto okay, sto meglio.» farfugliai, confusa. Quanto tempo è passato da quando mi sono addormentata? Uh, è finita la scuola? Sono confusa.
«Andiamo, ti accompagno a casa rompipalle, che poi mi serve la macchina.» disse Ace, ma mi sorrise gentilmente. Hebe se ne stava appoggiata accanto al muro, ma si avvicinò non appena posai lo sguardo su di lei. Prese lo zaino e mi passò un quaderno.
«Sono gli appunti della lezione di Lamus, ho pensato che potessero servirti.» mi disse distogliendo lo sguardo blu dai miei.
«Oh, grazie.» dissi prendendoli.
«Lance sta aspettando qui fuori, devo riportarlo a casa, ci vediamo, Azura.» mi disse sforzando un sorriso prima di uscire.
Da fuori dalla porta sentii gridare un "riprenditi" dalla voce inconfondibile di Lance. Dopodiché i miei fratelli mi portarono a casa.

Insicura (COMPLETA)Where stories live. Discover now