Mario aprì le tende anche in quella stanza e poi si sedette a terra con sua figlia sulle gambe. Accarezzò la testolina del figlioletto ancora in balia del sonno e gli sussurrò parole dolci. Amava le mattine con i suoi figli, gli riempiva il cuore di felicità e amore e orgoglio. Amava essere papà, passare da pannolini a pappe, asili e scuole materne, la macchina sempre in disordine e casa sempre piena di giocattoli. Amava il disordine che i suoi bambini creavano, amava passare del tempo con loro, vederli crescere.

Matteo aprì finalmente gli occhi e guardò la faccia del suo papà, dove aveva stampata un'espressione da ebete con un sorriso da un orecchio all'altro perché il bambino gli sorrise all'istante. Gli occhi di Matteo erano penetranti, grandi, e verdi, e questo creava al cuore di Mario un'insolita fitta di amore e dolore. Ha sempre amato gli occhi verdi, aveva amato persone con gli occhi verdi. Forse è per questo che da quando aveva visto Matteo in orfanotrofio era scattata subito quella voglia irrefrenabile di portarlo a casa e viverselo. Quegli occhi verdi gli ricordavano qualcuno che non c'era più ma che, nel profondo, continuava ad esistere.

Scosse la testa, Mario, e cercò di tornare alla realtà. Prese Matteo in braccio e afferrò la manina di Eleonora e tornarono in cucina. La musica continuava ad echeggiare nell'aria e i bambini corsero al loro posto. Mario mise davanti ai loro occhi un bicchiere di succo d'arancia con della frutta nel piatto. Sbafarono tutto in un batter d'occhio e Mario rimase seduto difronte a loro a sorridere e a guardarli parlare, con parole ancora impastate dal sonno. Matteo stava iniziando a parlare bene, negli ultimi mesi era riuscito ad imparare tanti vocaboli grazie al suo papà. Mario continuava a parlargli e ad insegnargli cose nuove. Quei due bambini, che andavano d'amore e d'accordo, erano tutta la vita di Mario. Respirava per loro, viveva per loro.

-Papà ma non mangi?- chiese Eleonora mettendosi in bocca un'altra fragola.

-Amore papà mangia dopo, ora basta mangiare e andiamo a prepararci che dobbiamo andare all'asilo- disse pulendo distrattamente le bocche dei sui figli.

I bimbi scesero dalla sedia e corsero nella stanza dei giochi, ormai era di routine: si svegliavano, mangiavano, giocavano e nel frattempo Mario preparava i vestiti da mettergli, li lavava, li vestiva e li portava all'asilo. Amava quella routine e non l'avrebbe cambiata per nulla al mondo.

Per Eleonora scelse un pantalone grigio con una maglia a maniche corte bianca con raffigurata sopra l'immagine di un cartone animato. Mentre per Giorgio aveva tirato fuori un jeans blu con maglietta azzurra a pois bianchi.

-Tutti in bagno!- aveva urlato e in un batter d'occhio i bambini gli sfrecciarono accanto.

Prese Eleonora da sotto le braccia e la fece salire sulla sedia mentre Matteo lo fece sedere accanto al lavello, e continuava a controllarlo nel caso cadesse. Allungò una mano e passò lo spazzolino col dentifricio alla piccola Ele che iniziò a lavarsi i denti sporcandosi il musino di dentifricio. Nel frattempo lavò il faccino di Matteo e i suoi dentini. Tutti e tre cantavano le parole delle canzoni in sottofondo, ridendo e scherzando, sorridendo e facendosi il solletico. Le risate di quei due bambini riempivano il cuore di Mario.

Eleonora e Matteo avevano due caratteri molto diversi: la bambina era più loquace, estroversa, mentre Matteo era un bambino che stava sempre sulle sue, introverso e molto timido con la gente.

Vestì in fretta e furia i bambini, acconciò in due dolcissime codine i capelli castani di Eleonora e afferrando i loro rispettivi zaini uscirono di casa dirigendosi verso la macchina.

-State fermi voi li- disse Mario dando un'occhiata dallo specchietto.

La musica colmava l'abitacolo, e i tre cantavano a squarciagola mentre la macchina camminava lenta nel traffico di Roma. I finestrini abbassati, vento nei capelli e occhiali sul naso. Era fermo ad un semaforo quando una macchina nera si fermò accanto a quella di Mario. La musica alta e fragorose risate uscivano dalla vettura. Mario girò la testa in modo automatico e lo vide. Fu un attimo, e rivide quella persona. Lo stava ancora fissando quando la macchina dietro di lui suonò per il semaforo verde. Si riprese ancora dallo stato di shock e mise in moto la macchina.

Sette anni.Where stories live. Discover now