Un caffè con Hemingway

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                                                                                                                    2 gennio 1925, Quai Saint-Michel, Parigi

La vista dal mio minuscolo appartamento è straordinaria e rimango esterrefatto ogni mattina, quando, ancora addormentato, apro le tende rosse della finestra e i miei occhi si abituano gradualmente alle prime luci del giorno. Le campane di Notre Dame fanno sei rintocchi proprio mentre la caffettiera inizia ad agitarsi e a rumoreggiare. Una tazza di caffè bollente non può mai mancare, così come l'appuntamento quotidiano con il signor Szpilman, il venditore di giornali giù all'angolo. Compro sempre una copia del Figaro, qualche rivista sportiva e L'Auto, che è il giornale su cui scrivo da quasi un anno. Mi piace leggere il mio nome in fondo agli articoli, non sono ancora abituato a questa cosa e mi strappa un sorriso ogni volta. Poi mi metto al lavoro, devo scrivere la presentazione della Paris-Roubaix che verrà corsa tra qualche mese. Dopo il Tour de France è l'evento più importante dell'anno e gli appassionati iniziano a pensarci già molto tempo prima. -Chi vincerà? Anche quest'anno ci sarà la pioggia a rendere il pavé un inferno? Ma sarà poi così tanto leggero il nuovo modello della Bianchi?-. Come al solito, passata qualche ora, quando tutta Parigi è sveglia e attiva, non riesco più a scrivere. Il su e giù dei bateaux sulla Senna, gli inviti del mercante della bancarella di verdura giù in strada e le urla dello strillone (pagato a barrette di cioccolata dal polacco Szpilman) mi fanno sussultare non appena riesco a concentrarmi sul foglio. Allora indosso il cappotto lungo, la sciarpa e il berretto di lana ed esco per andare al Café. Potrei camminare giù per Rue du Petit Pont, e sarebbe anche normale, visto che è la strada più breve, ma decido forse inconsciamente di allungare il percorso per passare davanti alla libreria Shakespeare & Company. E' un posto molto romantico per chi ama i libri, forse anche un po' disordinato, ma è proprio questo il bello. E poi ci lavora una ragazza, forse la più bella che io abbia mai visto. E ogni volta la guardo, vedo che sta sistemando un libro sullo scaffale e ci provo anche a leggere il titolo, ma quando incontro i suoi occhi non riesco più a staccarmi. Ovviamente questa situazione dura un millesimo di secondo, perché non appena quegli occhi azzurri incrociano il mio sguardo io lo distolgo sempre. Incapace di reggerlo, incapace di resistere a quella emozione, incapace di descrivere quell'azzurro, che non è come quello del mare, o del cielo terso o dei lapislazzuli al collo della signora Stein, la mia vicina. E dire che una volta l'ho anche aiutata, la libraia, perché essendo di piccola statura non arrivava alla mensola. Il libro era di Joyce, ma il titolo mi è sfuggito, ed è ancora lì, intrappolato negli occhi della ragazza. Il mio cuore batte forte, e continuo il cammino, soffio nuvole di vapore nell'aria gelida, saluto il panettiere, calpesto una pozzanghera, nascondo le mani in tasca, maledico quella dannata pozzanghera, e dopo dieci minuti arrivo alla Closerie des Lilas. C'è il mondo, e non è un modo di dire: artisti spagnoli, scrittori inglesi, musicisti viennesi e poi c'è un certo Francis Scott Fitzgerald, che l'ultima volta mi ha fatto un monologo di mezzora presentandomi il libro che sta scrivendo, "Il grande Gatsby" se non vado errato. Non credo che venderà più di cento copie. <<Ragazzo! Sì dico a lei, deve avere un bel po' di freddo, con quella scarpa bagnata, venga a sedersi al mio tavolo. Come vedi non c'è posto in questa topaia.>> mi dice un tizio dall'aria trasandata e stanca. <<La ringrazio, signore, il mio nome è Charles Jouet, scrivo di ciclismo sul giornale, conosce L'Auto non è vero? Mi sono trasferito in città perché il mio sogno è quello di diventare scrittore e qui ogni luogo e ogni ora del giorno è fonte di ispirazione>> mi presento. Poi arriva il cameriere, un signore elegante, alto e fine e piuttosto attempato, ma ancora vispo, e ordiniamo un caffé per me e un café-crème per lui. <<Non riesco a lavorare senza bere un café-crème. Sono anche io uno scrittore, se si può definirmi così, anche se per adesso scrivo solo per un giornale canadese. Ah, chiedo scusa, il mio nome è Ernest, Hemingway, sono americano>> mi dice lo strano tizio, che diventa ancora più strano quando ordina un liquore, e sono le dieci, e lo esige espressamente della Martinica. Ad un certo punto, prosciugato lo spesso bicchiere di rum, vedo i suoi occhi sorridere e accendersi, poi alza la testa e urla <<Pablo! Amico! Oh! Mi riconosci o sei diventato completamente rincitrullito davanti a quei tuoi quadri? Vieni qui, ti presento il mio nuovo amico, Charles Jouet, di professione scrittore>>, allora l'avventore si avvicina e in un francese molto spagnoleggiante mi dice <<Piacere, Charles, vedo che a Parigi volete tutti fare gli scrittori eh? Io non sono bravo con le parole, dipingo, quando non sono qui al café, dipingo. Lo vede quel quadro sopra il tavolino di quelle due signorine? E' opera mia. Non uno dei migliori, ma me lo pagavano bene, quindi, sa come vanno gli affari in questo periodo>> e se ne va. Un monologo leggermente autocelebrativo molto usuale nei café parigini. <<Signor Hemingway, ma chi era?>> chiedo al mio nuovo amico. <<Pablo, il pittore, Picasso dovrebbe essere il cognome, ma ci siamo conosciuti dopo una cena a base di vino rosso dell'Alsazia e non ne sono molto sicuro. Una cosa è certa, se quello lì lo chiamano pittore, allora io diventerò uno dei più celebri scrittori al mondo. Ha ha ha!!!>> mi risponde lui. Lui che subito dopo estrae un sigaro cubano dal taschino della giacca, lo accende e pochi secondi dopo sparisce nel nulla, lasciandosi alle spalle una spessa nuvola bianca. Allora, un po' spaesato, mi alzo, pago il conto (spero arrivi in fretta la paga dalla redazione) e mi avvio verso casa ripensando a quel singolare incontro. Evito in modo magistrale la pozzanghera maledetta, e quando arrivo al tepore della mia stanza mi metto al lavoro per il libro. Non so ancora di preciso di cosa parlerà, ma qui, in questa città, un'idea mi verrà. Basterà uscire di casa, vivere, conoscere, osservare, e il mio libro uscirà da solo dalla penna, e Parigi sarà l'inchiostro.

E poi, se può fare lo scrittore quel tizio, Hemingway, credo che riuscirò a diventarlo anche io.

Un caffè con HemingwayWhere stories live. Discover now