Chapter 3-Jane Eyre

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E invece no, mi ero proprio addormentata. Porca miseria, proprio non ci voleva. Chissà dove... e, di nuovo, un altro "invece no": ero proprio alla stazione di Oxford Circus. Ringraziai la mia buona stella, e pregai che fosse un segno. Già, ma la stazione era enorme, e chissà lui dov'era. Accesi il telefono. Gli mandai un messaggio. Un semplice "Io ci sono", ma mi pesò come un macigno. Apparvero i tre puntini e "Alex sta scrivendo".  Alex sta scrivendo, ma quanto ci mette? Le lancette dei grandi orologi della stazione sembravano tutti immobili: solo il battito del mio cuore scandiva il tempo. Il telefono vibrò: "Ci vediamo allo starbucks". Mi guardai attorno: lo starbucks più vicino qual era? Uscii dalla stazione, e il traffico di Oxford Circus mi investì in un attimo: turisti accompagnati da guide con l'ombrellino, sfaccendati, folle di gente di fretta, altri turisti... Ma quale Starbucks? Presi il telefono, ma mi si spense tra le mani. La batteria era completamente scarica. Frugai nella borsa, maledicendomi per aver buttato tutto dentro alla rinfusa. "Dai, dai! Ma dove sei finito!?" il caricabatterie portatile non voleva farsi vedere. In un flash, lo rividi appoggiato sul comodino, ma pregai che non fosse così. Mi misi a cercare con ancor più foga, e intanto, ora, il tempo sembrava scorrere anche troppo velocemente. 
Ecco, ce l'avevo! Lo collegai, e il disegno stilizzato della batteria iniziò a riempirsi... ma sempre con troppa lentezza. Ebbi come un'intuizione: c'era uno Starbucks in una traversa di Oxford Street: quando avevo avuto qualche amica, ci eravamo incontrate sempre lì... ma poi avevo avuto l'impressione che volessero più bene ai miei soldi che a me, e allora me me distaccai. 

Sperai con tutte le mie forze che il posto fosse quello... corsi a perdifiato, corsi più che potei. E finalmente arrivai nella traversa giusta. La imboccai, e di nuovo presi a correre. Ecco: ero davanti alla vetrina. Chiusi un attimo gli occhi, prima di guardare se fosse dentro. 

Feci un passo indietro. Poi un altro, e quindi un altro ancora, sempre ad occhi chiusi.

Poi mi sentii afferrare da dietro e sollevare da terra. Aprii gli occhi di scatto: ero tenuta stretta da due enormi braccia da bruto, che toccavano anche dove non avrebbero dovuto, e più io scalpitavo, e più loro stringevano. Mi misi a urlare, ma una manaccia mi ficcò in bocca un fazzoletto di stoffa e me lo legò dietro la testa. 
"E così, tu sei quella mocciosa che ieri circolava nelle nostre zone, eh?" la voce era famliare

"Non lo sai che non bisogna entrare in casa altrui, eh? "

e poi riprese la prima voce, le cui braccia ancora mi avvinghiavano: "No, evidentemente no lo sa... AHAHAHAHAH L'altra volta ti ha salvato Alex -sentii una pugnalata nell'anima- ma adesso non hai scampo. L'abbiamo seguito, il nostro sesto senso ci diceva che doveva venire da te"
"Come?  -pensai- Allora è davvero lì dentro" sentivo il cervello esplodere. Avrei voluto urlare, piangere, mordere, tirare calci, e invece non potevo fare nulla. Ero lì bloccata! Ci sono poche cose più brutte del dover stare a guardare il mondo senza poter agire.
"Il sesto senso, o Jim-tre-cavi e il suo com..." ma questo non riuscì a finire la frase, perchè il terzo lo fermò con un pugno in bocca che avrebbe tolto sei o sette denti a molti altri, aggiungendo un "Sta' zitto, Sam! Te', ficcati questo in bocca, e non la tua linguaccia".

Londra, l'immensa Londra mi stava alle spalle. Dieci milioni di abitanti, senza contare i turisti e gli sfaccendati vari che erano lì in cerca di qualche opportunità. Ed io ero lì, sola. E' proprio vero che uno può essere nel posto più caotico del mondo, eppure trovarsi nella più grande solitudine. 
Trattenni le lacrime. Avrebbero avuto tutto da me: soldi, gioielli, mi avrebbero anche usata, nel caso non fossi riuscita a scappare, ma la mia dignità no, quella mai. Feci violenza su me stessa. Morsi il fazzoletto come se fosse la faccia del colosso che mi teneva, pensando di fargli più male che potessi. Quello che avevano chiamato Sam mi stringeva le gambe, e dunque ero del tutto impotente e immobile. L'altro si tolse la sigaretta di bocca, e con l'aria di chi si sente superiore guardando un leone allo zoo me la spense sulla mano. Strinsi il fazzoletto ancora più forte. Lo sentii leggermente caldo: era sangue. Ma non piansi.
Non un'anima lì intorno. C'erano solo ristoranti, e le vetrine erano quasi tutte oscurate. Se solo Alex fosse stato lì...
"Bene, direi che possiamo andare. Sam, sai quello che devi fare"
"Con molto piacere, capo" .
Sam si voltò, e mi era di spalle. Si fece passare le mie gambe da una mano all'altra, poi se le appoggiò sulle spalle, come un pacco, mentre il bruto continuava a stringere. Ormai ero inerme. Non avevo neanche più la forza di ribellarmi. L'idea di ciò che stavano per fare mi gelava il sangue nelle vene. 
"Sapete, così pallida è ancora più sexy" disse uno.

Sperai davvero che non avessero il coraggio di farlo. 
Eppure proseguirono. Camminarono per cinque minuti, entrammo in un vicoletto, poco più che lo spazio tra due palazzi. C'era un vecchio materasso. Mi ci sbatterono sopra. Io ero così frastornata da non sentire più nulla. Non fatica, non dolore, non disperazione. Dicono che il cervello abbia facoltà nascoste che si attivano in necessità estreme, e che una di questa consista nell'estraniarsi prima, e addirittura nell'innamorarsi del carnefice poi. Non so se fossi già al primo stadio, però mi sentivo leggera, come se il mio corpo neanche più mi appartenesse.

Prendi a pugni il mio cuoreحيث تعيش القصص. اكتشف الآن