CAPITOLO 1

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POV LISA
Decido di farmi un bel bagno caldo per rilassarmi e alleggerire la tensione.
Giro la manopola dell'acqua calda e l'acqua inizia a scorrere, il vapore a riempire lentamente la stanza e la vasca a riempirsi. Scelgo un bagnoschiuma allo zucchero filato e uno shampoo al cocco e caramello, mi piacciono questi profumi e adoro il mix che si crea tra questi ultimi mischiati a quello della mia pelle... Mi ricordano la mia infanzia. Entro nella vasca, dopo aver schiacciato il tasto 'play' della mia playlist, ed inizio a strofinare i capelli intanto che la mia mente inizia a navigare nell'oceano di pensieri che affollano la mia mente.
Questa separazione non mi convince proprio, è una cosa assurda. Proprio loro che mi hanno sempre insegnato che i rapporti vanno coltivati e portati avanti con tutte le forze "come i nonni". Ed ora sono i primi a fare tutto il contrario, l'incoerenza delle persone mi stupisce davvero.
Cullata dal movimento dell'acqua mi addormento.

***
Mi risveglio con l'acqua ormai fredda ma la stufetta mantiene ancora l'ambiente caldo. Esco dalla vasca e avvolgo il mio corpo nella soffice stoffa dell'asciugamano, mi vesto con un maglione largo ed un paio di leggings, avvolgo i miei capelli ricci in un asciugamano più piccolo e mi dirigo in cucina.
Scendendo le scale inizio a sentire il profumo del purè di patate della nonna... Girando l'angolo noto che, oltre al purè, la nonna mi ha preparato le zucchine fritte e le polpettine di riso.

"Grazie nonna, era tutto buonissimo"
"Di nulla tesoro, spero che tu non sia ancora affamata"
"No nonna, sto esplodendo" le dico ridendo "vado fuori in giardino un po'" continuo.
Dopo essermi messa il giubbotto esco e mi siedo con la schiena contro il tronco di un albero... Questo posto è impregnato di ricordi.

Chiudo gli occhi e mi concedo un ultimo volo, uno soltanto, il più bello.
Sento il vento che mi scompiglia i capelli e mi accarezza le guance, mi sfiora il corpo facendomi rabbrividire. Alzo la testa lentamente espirando l'aria di cui mi ero riempita i polmoni poco prima.
Mi sembra di far uscire da me una piccola parte del marcio che mi porto dentro e che nascondo abilmente con una maschera, una maschera con inciso un ghigno amaro che tutti scambiano per sorriso. Mi sento meno male, più pulita. Apro gli occhi e un raggio di sole s'insinua tra le mie palpebre, resto accecata per qualche istante ma poi mi riprendo ed inizio ad ammirare il cielo in tutte le sue sfumature d'azzurro. Le nuvole. Gli uccellini che volano e si poggiano sui rami di un albero. Le scie dei motori degli aereoplani che lentamente si dissolvono fino a non vedersi più. Richiudo gli occhi e mi concentro su un sorriso, il primo che mi viene in mente e che collego a quel paesaggio, il suo.

Mi è sempre piaciuto immaginare d'essere un piccolo uccellino, una dendroica cerullea, per poter gettarmi in picchiata da un albero e librarmi in aria, alzandomi in volo in alto nel cielo.
Questo pensiero mi trasmette libertà, leggerezza e serenità. Adoravo immaginare di volare assieme ad Aurora. Quello era stato il mio ultimo volo, l'unico senza di lei: la mia sorellina era volata definitivamente via e, guardando quelle nuvole che mi ricordavano i suoi capelli ribelli, mi ero concessa di volare, tentando di raggiungerla.
Nulla, assolutamente niente mi pareva aver senso senza di lei.
Respirare era uno strazio.
Muovermi era come essere pugnalata in ogni parte del corpo.
Nutrirmi era come ingoiare metallo fuso che sfrigolava scendendo lungo l'esofago e, raggiunto lo stomaco, lo corrodeva.
Tutto era un'agonia, e ripensando a ciò che mi diceva Aurora "il cielo custodisce l'ignoto" desideravo sempre di più raggiungerla.
Mi sentivo un'inetta a vivere.
Le mie braccia e le mie gambe non avevano più la forza di piegarsi, le palpebre di aprirsi ed il petto di alzarsi ed abbassarsi a ritmo del cuore.

È alto.
Uno, due, tre.
Un piede fuori.
Quattro, cinque, sei.
L'altro piede si sta staccando.
L'adrenalina mi invade ed è la cosa più simile a vivere che sento nell'ultimo periodo.
L'impatto è brutale, sento tutte le ossa frantumarsi, il dolore è lancinante, inizio a vedere tutto bianco e poi nulla.

Mi trovarono a terra, agonizzante, in fin di vita, con le ossa sbriciolate in una pozza rossa di sangue.
Mi salvai "un miracolo" dissero.
Ma io sapevo che era stata lei, Aurora, il mio angelo custode a salvarmi: dovevo vivere anche per lei perché questo era il suo desiderio ed io avevo intenzione di esaudirlo.
Dopo mesi e mesi, o meglio anni di terapia, il psicoterapeuta dichiarò che stavo meglio.
Pavoneggiandosi davanti ai miei genitori, aveva dichiarato che le sue terapie avevano funzionato. In realtà è stato un percorso che ho fatto da sola, ho dovuto metabolizzare il tutto e rielaborarlo. Mi infastidiscono le persone come lui, mi infastidiscono tutte le persone ma quelle come lui ancora di più.

Tornando dentro incontro il nonno che ha finito di raccogliere la legna assieme a Belle, un San Bernardo di circa sette anni.
Nonno Milo mi abbraccia calorosamente e mi lascia un bacio affettuoso sulla fronte.
Salita in camera prendo il cellulare e noto un messaggio da mia madre che dice che tornerà domani.
Mi siedo accanto alla finestra e, con una tazza di the caldo al bergamotto mi godo il paesaggio.
I monti che tanto amo, le sfumature verdi del manto erboso, gli abeti che ricoprono il terreno come una madre fa col proprio figlio abbracciandolo, il cielo che pian piano viene vinto dalle tenebre, le stelle.. Oh occhi meravigliosi della notte.
Sovrappensiero mi mordo l'interno della guancia ed un sapore metallico invade la mia bocca. Il sangue solletica la mia lingua, la avvolge e la ricopre insinuandosi in ogni ruga, ogni fossetta, tra i denti.
Sciacquo la bocca con un po' d'acqua in bagno e risciacquo il lavandino sporco di rosso.
Dopo essermi messa un pigiama mi corico, mi accoccolo tra le coperte morbide e profumate del letto addormentandomi poco dopo.

Mi basta un solo respiroWhere stories live. Discover now