CAPITOLO 5

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Nel Sogno io sono sempre cosciente. Lo sono anche ora.

Mi alzo a fatica. Non importa dove io riposi prima di chiudere gli occhi, quando li riapro sono sempre stesa su un pavimento. Attorno a me ci sono pile di libri disposti alla rinfusa. Sono in piedi con uno sforzo delle gambe e della schiena. I raggi tenui del Dio Sole che dall'esterno si proiettano in fasci obliqui fin dentro le piastrelle in ceramica del pavimento.

Nel Sogno non ho l'armatura indosso. Mai. Nemmeno la spada. Che me ne faccio in un posto dove non devo temere niente?

Avanzo con calma. L'edificio è piccolo: è una sola stanza, con un altare e una statua in frantumi. Solo dall'esterno è possibile accorgersi che si tratta di una piccola chiesetta.

Dall'interno, il tappeto rosso arriva fino all'uscio dell'ingresso dopo essersi steso per nemmeno per tre piedi scarsi. È lo stesso che avevamo all'accampamento, quando io e mio padre giravamo il regno di battaglia in battaglia. A volte mi sorprende che io lo ricordi ancora così bene.

In un baleno sono fuori. Percorro una serie di scale che portano a un piccolo giardino. Lo circondano muretti e delle ringhiere. Oltre c'è solo un mare di nebbia e alberi enormi che si alzano dritti fino al cielo. E la Luna. Sempre presente. È gigantesca: un volto argenteo che copre gran parte del mio orizzonte. Brilla di luce fredda, come quando si affaccia con i Patti Solari.

Alle mie spalle, fuoco. Non mi volto. So che c'è. Lo so da sempre. Sono ormai tre Danze Solari che il mio sognare mi conduce sempre qui. Qualcuno disse che il Sogno prende la forma della fede: se è luminoso, siamo amati da Dio. Se è freddo...

Io, però, freddo non lo sento. Non sento nemmeno il calore del fuoco che sta divorando, e divorerà in eterno, la chiesa alle mie spalle. Sarà perché l'ho appiccato io?
Sapevo a cosa andavo incontro quando ho ottenuto questo potere: camminare nei Sogni basterebbe a bollarmi come eretica agli occhi di tutti. Ma nessuno saprà mai.

Il terreno sotto i miei piedi nudi, non appena discendo le scale, è una carezza ruvida ma piacevole.

Il viottolo decorato da fioriere e piccoli alberi si snoda adagio attorno a una collinetta. Mi conduce a una muratura bassa, al cui centro un cancello di ferro controlla chi entra o esce dal roseto. Si apre da solo non appena mi avvicino.

Affronto il percorso che serpeggia tra le rose con passo svelto. Ho il cuore che batte a mille. Perché?

Sul lato occidentale c'è una quercia. Non ho mai visto un albero così grande e, credo, capace di crescere sempre di più ogni Nota che passa. Ho il vizio di fissarlo, quando entro. Mi è familiare, ma per quanto mi sforzi non riesco a ricordare dove l'ho visto, né so perché è nel mio Sogno, e perché occupa così tanto spazio in esso... forse non lo saprò mai. In un luogo fatto di ricordi, forse è normale che ci siano cose che vengono dal profondo della mia memoria. Cose di cui non ho controllo.

Tuttavia, mi è estremamente utile. D'altronde, non saprei dove andare se non fosse per la quercia: il roseto è un labirinto fatto di rovi, cortecce e intrecci lignei, che si annodano tra loro.

Quando la raggiungo, ho le lacrime agli occhi. Corro. Se prima ero calma, ora non riesco a trattenermi. Mi trascino con tutta la forza che ho fin dove le radici dell'albero sono enormi ed escono dal terreno.

Tra di esse, all'ombra, c'è un altare. E sopra la tavola di marmo bianco c'è la salma di un cavaliere.

«Padre!» A grandi falcate sono verso di lui. Sta steso sulla schiena con tutti i paramenti militari. Le braccia incrociate sul petto a reggere la sua spada. «Oh padre... finalmente.» Mi chino e mi butto sul suo petto. Mi stringo sopra di lui e affondo la testa tra le braccia. «Ci sono quasi, padre. Ho avuto dei contrattempi, ma manca poco. Davvero poco.»

La Sposa del SoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora