Durante la lezione cercava di capire cosa stesse succedendo, ma la testa continuò a farle sempre più male, fino a farle venire la nausea. Chiese il permesso di uscire dall'aula e corse velocemente verso i servizi. Alice gettò dell'acqua fredda sul suo viso scottante, guardando verso lo specchio. Ma saltò all'indietro, col cuore che batteva all'impazzata, quando vide il suo riflesso. Giurò di essersi vista... ammiccare.

Dopo alcune ore, si sistemò nell'aula d'arte, guardando i lavori dei suoi compagni di classe sui loro progetti. Mentre lo faceva, la sua mano scivolò e si tagliò abbastanza profondamente con una lama. Un liquido rosso gocciolava sul suo lavoro. Ma lei non sentiva nulla. Prima che lei lo sapesse, l'insegnante la stava fissando, con gli occhi spalancati e corse verso l'infermeria. Quando ritornò, riprese la sua solita espressione e si rimise al suo posto. Ma si ghiacciò quando si sedette: dei cerchi rossi coprivano interamente il suo lavoro e il suo banco. L'intera situazione la scosse e, appena suonata la campanella, corse verso il corridoio. Prima che lei lasciasse la scuola, venne salutata da un sorriso familiare: «Ciao, Alice! E benvenuta nel Paese delle Meraviglie!» disse una ragazza, abbastanza bassa, dai capelli biondi e gli occhi castani, sollevando le braccia e gesticolando come se fosse una sorpresa. «Potresti non farlo, Ann?» disse Alice, scocciata. «Eddai, sorridi. Comunque, lo farai quel compito?» chiese Ann, mettendo le mani dietro alla testa, catturando fiocchi di neve con la sua piccola lingua rosa. «Dovrai fare i tuoi compiti da sola, nel caso, lo sai. Non ci sarò per sempre.» «Sì, ci sarai, perché non ti lascerò andare.» rispose Ann, avvolgendo le spalle di Alice con le sue braccia, mentre percorrevano la fredda via, a causa dell'inverno. Continuando a camminare, scherzando e spettegolando tra di loro, finalmente raggiunsero la casa di Ann. Si salutarono, dunque Alice, serenamente, si introdusse nella foresta. Lei la adorava, era tutto così calmo. Il sole giallo colpiva il bianco e intatto suolo e le sottili ombre degli alberi spogli. L'unica cosa che la infastidiva era il fatto che prima o poi dovesse ritornare in quell'orrendo posto che qualcuno chiamerebbe casa. 

Aprì lentamente la porta cigolante e non facendo alcun rumore, entrò nella fredda casa. Trattenne il respiro, mentre camminava attraverso il soggiorno. «Eccoti qui, tu, piccola troietta!" urlò un uomo burbero, afferrandola per il braccio. Alice gridò e l'uomo la strattonò indietro, guardandola dritta negli occhi con disgusto. La faccia di Alice diventò rossa e le venne un nodo alla gola.

«Che cos'è? Eh?!» disse lui, trascinandola in cucina e indicando il tavolo coperto da lattine di birra e contenitori di cibi da microonde. "Merda! Ho dimenticato di pulire, stamattina." pensò tra sé e sé. «S-scusa, è che dovevo andare a scuo-», fu zittita dalla pesante mano del signor Rogers contro la sua faccia. «Non ho bisogno delle tue stupide scuse! Fa' in modo che non accada ancora! O te ne pentirai, te lo prometto.» disse, buttandola sul pavimento, e ritornò poi nel soggiorno, lasciando cadere il suo grasso corpo sul polveroso divano.

Alice si alzò velocemente, poi buttò via ogni rifiuto e pulì il tavolo in un panico silenzioso. Ciò che è appena successo era abbastanza comune. Tutte le volte che lei faceva qualcosa di sbagliato, era pronto a picchiarla un uomo ubriaco, così lei fece quello che le venne richiesto e si nascose nella stanza. 

Si tenne dentro tutte le emozioni che intanto ribollivano: tristezza, confusione e rabbia. Dopo un po', percorse velocemente le scale che la separavano dalla sua piccola camera. Era una camera buia, i muri erano coperti dai suoi disegni preferiti, un piccolo letto era posizionato al centro, invece un armadio all'angolo. Questa era la sua unica via di fuga, l'unico posto in cui potesse essere libera. Nessuno vi entrava, solo lei, nessun altro. Il giorno seguente, camminò sul terreno coperto dalla neve della foresta e spuntò nella strada dall'altra parte, per poi camminare velocemente lungo il marciapiede. Lei non attraversò la strada, quel giorno, si limitò a camminare velocemente, indossando la sua felpa nera preferita, che, col cappuccio, copriva i suoi grandi lividi blu e neri sul viso. Non poteva parlarne a nessuno, solo Dio sapeva cosa il signor Rogers avrebbe potuto farle...

Le origini delle CreepypastaWhere stories live. Discover now