Un Arkam al profumo di rose

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Harleen Quinzel spense con decisione il cellulare, prima di ficcarlo nella borsa rosa con un gesto stizzito. Una volta controllato il binomio camicetta stirata, chignon a posto, scese dal taxi, lasciando una discreta mancia al tassista, il quale grugní in segno di apprezzamento. Non esistevano mezzi pubblici che raggiungessero Arkam e non tutti i guidatori di taxi erano disposti ad aggirarsi da quelle parti. Forse perché le urla dei pazzi rinchiusi in quelle mura di pietra erano così forti da riecheggiare per miglia raggiungendo perfino la città; o forse perché, semplicemente, tutti avevano paura di quel luogo maledetto.

Arkam é l'inferno in terra; per finirci dentro devi aver commesso qualcosa di molto grave, degno  di Guantanamo, ma non é sufficiente: devi anche essere malato. Malato grave, s'intende. Non ti sbattono ad Arkam per curarti, quella é solo una diceria. Certo, viene spacciato per un ospedale e i dottori non mancano, ma la verità è che chi ci finisce, non ha speranze. E questo perché nessuno, una volta entrato, ne é mai uscito. E nessuno é mai riuscito a fuggire.

Per fortuna Harleen aveva deciso di non indossare i tacchi. Non era appropriato, quello era il suo primo giorno e ancora non aveva idea di cosa aspettarsi. Una volta fatta la verifica identificativa allo scanner, le pesanti porte del cancello di Arkam si aprirono e Harleen percorse con calma il cortile spoglio e senza colore dell'ospedale. Gettò un'occhiata alle strette finestre spioventi ai piani superiori, aspettando quasi di vedere dei volti bianchi e cadaverici restituirle lo sguardo, come ritratti di quadri morti. Ma le finestre erano nere.

"Benvenuta ad Arkam, dottoressa Quinzel. La stavamo aspettando." la salutò freddamente un uomo alto dal cranio rasato e gli occhi vitrei, che la fissarono senza reale interesse. "Sono il dottor Dullhmacher. Vogliamo procedere?"

"Molto piacere. Sí, certo." Rispose lei, presa contropiede da tanta fretta.

L'uomo parve leggerle nel pensiero perché aggiunse: "Capirà presto come funzionano le cose ad Arkam. Ci troviamo costretti a lavorare in una scatola di aghi d'argento e camicie di forza; abbiamo prigionieri che attentano alla loro vita e a quella dei nostri dipendenti ogni giorno, é già tanto se abbiamo il tempo di respirare. Francamente mi stupisco che abbia accettato quest'incarico."

"Intendeva pazienti."

"Mi scusi?"

"Ha usato la parola prigionieri, ma questo é un ospedale psichiatrico. Le persone chiuse qui sono pazienti che hanno bisogno di noi."

Le labbra del dottore si sollevarono in un sorriso di scherno che ad Harleen non piacque per niente. "Come ho già detto, dottoressa, capirà presto."

Harleen non diede peso a quel tono saccente. In realtà il dottor Dullhmacher non aveva detto nulla che lei non si aspettasse, il suo commento era stato solo un tentativo ben riuscito di cambiare discorso, impedendo all'uomo di fare ulteriori domande sulla sua effettiva presenza lì.

Harleen aveva 25 anni e già possedeva uno studio privato, pur con appena poco più di un anno di esperienza nel campo della psicologia. E questo grazie ad una sola parola: papà.

Già. Harrison Quinzel era un nome che negli ultimi quindici anni aveva riscosso un notevole successo, a Gotham. Ed essere sua figlia, come volevasi dimostrare, aveva i suoi vantaggi. Ecco perché Harleen aveva spento il cellulare. La scelta di accettare quella proposta di lavoro era stata sua - sua, non di suo padre - e nel momento in cui lui l'avesse scoperto, si sarebbe arrabbiato e avrebbe fatto di tutto per fermarla. Harleen era stufa marcia della solita routine, voleva fare qualcosa che contasse davvero, e non lo faceva per soldi: voleva dimostrare che, sotto quei lunghi capelli biondi, c'era del valore.

Dimostrarlo a chi? Al tuo papino o a te stessa?, ridacchiò la sua vocina interiore, mentre i pensieri e i dubbi della ragazza si facevano sempre più fitti e intricati, parevano non avere fine, come la scala a chiocciola che lei e il dottore stavano percorrendo, per scendere nei sotterranei.

Suicide love: le origini di Harley QuinnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora