Nyctophilia

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NYCTOPHILIA

DIEGO

«Dovevamo tornare indietro.»

Un mucchio di braci è tutto ciò che resta del fuoco. Non c'è altro da bruciare per tenere lontano il Buio. Niente rampicante latteo, in questa zona, niente vecchi mobili all'interno degli edifici diroccati. In molti devono essere passati di qui, da quando il Sole è scomparso; devono aver preso e arso tutto da un bel pezzo. Anzi, a giudicare dall'odore che ancora ristagna nell'aria nera, devono aver bruciato anche molti degli edifici.

Le braci si staccano dall'oscurità con la loro morente luminescenza arancione. Elia ogni tanto ci soffia sopra, facendole brillare un po' più forte. Quando lo fa, posso vedere le facce delle persone attorno a me, delineate per un breve istante da quella poca luce che arranca nel Buio.

Potremmo bruciare i nostri vestiti, ma moriremmo di freddo. Non è ancora inverno, ma l'aria è umida e non perdona chi si addormen­ta senza essere adeguatamente coperto. Oriana è stata uccisa dall'ipotermia, l'anno scorso. Non male come modo di morire, piut­tosto che essere sbranati da una rana pescatrice o da un branco di cani scricchiolanti.

Questa zona è morta. Se ci fosse qualche ratto occhi bianchi almeno potremmo usare il suo grasso per improvvisare una candela, una piccola torcia... qualcosa. Ma niente. Solo il silenzio e i respiri dei miei compagni di viaggio strozzati dalla paura.

Sento il Buio che inizia a premere contro di me, contro di noi. Tutti lo sentiamo, ne sono certo. Questo è il motivo per cui Elia soffia sulle braci: ogni volta che lo fa – ogni volta che la luce aumenta – l'Oscurità si allontana, anche solo per un attimo.

Ma ogni soffio accorcia la vita dei tizzoni. È inevitabile. E dalla loro dipende anche la nostra.

Siamo partiti dalla Città di Ferrara un mese fa, per cercare di ria­prire una via verso altre zone abitate, nella Pianura. Ora sappiamo perché nessuno è mai tornato indietro: l'assenza di ogni risorsa è una trappola silenziosa che ti si chiude attorno senza dare la minima av­visaglia fino a quando non è troppo tardi. La Tenebra è così densa da non lasciare punti di riferimento: solo terra piatta in ogni direzione e ruderi che paiono tutti uguali. Le strade sono state ridotte in briciole dal passare del tempo. Credevamo che sarebbe bastato seguirle, leg­gere le indicazioni sui vecchi cartelli blu.

«Dovevamo tornare indietro», sussurra Marco. Ogni volta che Elia soffia sui tizzoni, la sua figura emerge dal Buio, le braccia avvolte at­torno alle ginocchia; si muove avanti e indietro, come a cullare se stesso. «Dovevamo tornare indietro. Dovevamo tornare indietro. Dove­vamo tornare indietro», continua a mormorare a nessuno in particola­re.

Ha ragione, lo sappiamo tutti, ma questo non cambierà le cose.

Continuo a sentire la pressione del Buio su di me. È come quando, da piccolo, mi lasciavo scivolare sempre più a fondo nella piscina della Città: l'acqua che mi circondava senza lasciare un solo centime­tro di spazio, premendo sul mio corpo...

Anche l'Oscurità preme, ma lo fa in un modo gentile, come una madre che culli il proprio...

Una fiamma si alza dai tizzoni, il Buio si ritrae come ustionato. Elia ha gettato la sciarpa fra le braci. Un sacrificio che ci donerà qualche istante in più. Un sacrificio inutile.

«A-avremmo potuto farci una torcia», prova a suggerire Sara.

«Senza olio, grasso o cera il tessuto sarebbe bruciato in poco tempo comunque», le risponde Elia, cupo.

Sara non aggiunge altro.

«Dovevamo tornare indietro.»

, concordo tra me, avremmo dovuto farlo quando le scorte erano sufficienti per tornare alla Città. Ma abbiamo voluto andare avanti, per orgoglio, per speranza. Per cercare le luci.

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⏰ Last updated: Aug 05, 2016 ⏰

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