DREAMLAND

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PARTE PRIMA

Settembre 1990

Eccomi qui infine. Dopo giorni di indecisione e di confusione, ho deciso di accettare questo lavoro, o per lo meno di vedere di che cosa si tratta. Non mi aspetto molto in realtà, non so nemmeno quali saranno i miei compiti ma per il momento ho deciso che vale la pena provare e buttarmi a capofitto in questa avventura. Sono stanca di girovagare da una caffetteria all'altra in cerca di un qualunque posto dietro a un bancone o tra i fornelli; se devo trascorrere tutte le mie giornate così posso anche permettermi di curiosare tra le altre opzioni che mi si presentano. Ho voglia di dare una svolta alla mia vita e credo che questa possa essere la mia occasione.

Scendo dalla mia vecchia ma ancora stupenda Mustang decappottabile, il mio primo acquisto oltreoceano risalente ormai ad un anno fa, rigida sui tacchi e decisa ad affrontare di petto la situazione. Non voglio mostrare il minimo segno di paura, né di disagio ma soprattutto non voglio apparire vulnerabile. In questa città le persone deboli vengono mangiate a colazione dai più forti, l'ho scoperto a mie spese e non ho intenzione di lasciarmi intimidire questa volta. Devo imparare a costruirmi una corazza, qui tutti hanno un ruolo da recitare, siamo in California dopotutto.

Me ne sto ferma accanto alla mia macchina in attesa, non so nemmeno io di cosa. La borsa con i manici rigidi, piena fino all'orlo di tutto ciò che posso portare con me, segna la pelle delle mie mani e ne ferma la circolazione o forse sono io che la stringo troppo forte. Sono nervosa e la cosa mi infastidisce, in fondo è solo un incontro di lavoro e ormai dovrei esserci abituata, visto il numero di colloqui che ho sostenuto negli ultimi mesi. Mi guardo un attimo attraverso lo specchietto laterale della macchina e mi aggiusto una ciocca di capelli fuori posto. Studio attentamente la mia immagine e tutto sommato mi sento soddisfatta del risultato finale. I tratti mediterranei del mio viso e il colore della pelle tradiscono le mie origini italiane ma so che gli occhi azzurri per fortuna prevalgono su tutto il resto e attirano l'attenzione di chiunque mi osservi. I lunghi capelli scuri, ribelli e indomabili sono racchiusi in uno chignon dietro alla nuca e un leggero trucco sul volto mi da un'aria curata ma non volgare. La mia uniforme tuttavia è ambigua e di difficile interpretazione: vestito intero a mezze maniche, minimalista quanto basta, gonna al ginocchio e scollo a V non troppo profondo. Seria e discreta ma all'occorrenza versatile: esattamente come volevo apparire oggi, dato che non so che tipo di persona si aspettano i miei interlocutori. Potrei sembrare una donna d'affari ma anche una collaboratrice domestica e forse è quello che dovrò fare, ancora non so.

Due settimane fa mi è arrivata una lettera in cui mi si offriva la possibilità di sostenere un colloquio per un posto di lavoro. Ho risposto a parecchi annunci nei mesi scorsi e immagino che questo posto sia tra quelli che ho contattato, anche se non ricordo con esattezza. Nella lettera non erano specificate le mansioni, l'inquadramento, lo stipendio e neppure il mittente, il che mi ha incuriosita ma anche sorpresa. L'intestazione era vaga, solo qualche lettera puntata, probabilmente un acronimo, non si capiva. Il testo diceva solo di presentarsi a questo indirizzo per sostenere il colloquio e di portare tutti i documenti necessari.

In realtà mi sento piuttosto indispettita da tutta questa faccenda, non mi piace la segretezza con cui è stata gestita la cosa e il mistero che chiunque abbia spedito quella lettera ha preferito mantenere fino a questo momento. Forse si tratta solo di uno scherzo ben organizzato, indubbiamente di cattivo gusto.

Ho deciso tuttavia di andare a vedere di cosa si tratta, se non altro per togliermi ogni dubbio e passare all'offerta seguente.

Alzo lo sguardo e do un'occhiata in giro, tanto per capire meglio dove mi trovo.

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