Capitolo 1

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Non ricordo precisamente da quanto tempo avessi perso la mia umanità, sta di fatto che ero certo fossero passati degli anni. Quando avevo riaperto gli occhi mi ero trovato in un cunicolo buio, senza aria e nessun suono a farmi compagnia. Avevo pianto, urlato e graffiato la scatola in legno dentro il quale mi trovavo, scoprendo ben presto, con orrore, di trovarmi all'interno di una bara. Avevo tastato ogni suo anfratto e, dalla sua forma, quella era stata la conclusione a cui ero giunto. Conclusione corretta, oltretutto. L'odore di putrido aveva raggiunto le mie narici, dandomi la nausea. Avevo spinto l'asse sopra la mia testa con tutte le forze in mio possesso e avevo continuato, sino a sfinirmi. Mi ero chiesto come potesse non mancarmi l'aria, l'agitazione che prendeva il sopravvento e, automaticamente, avevo portato la mano destra sul cuore, come a chiedergli di stare tranquillo e di non battere impazzito. Solo che non avevo avvertito alcun battito, dentro di me c'era il silenzio, dentro di me... c'era la morte. Avevo pensato alla mia famiglia e alla ragazza che frequentavo da poco. Avevo avuto molte storie e diverse esperienze sessuali, del resto era quasi impossibile essere vergini a ventidue anni. Avevo terminato il college e iniziato a lavorare in una libreria, mi piaceva e, da grande appassionato di lettura, ero sempre informato sulle ultime novità. Avevo tanti sogni chiusi nel cassetto e una vita ancora tutta da vivere. E allora perché? Perché ero morto così giovane e, soprattutto, perché ero qui? La paura di trascorrere la mia "non vita" sul fondo di una bara, mi aveva quasi fatto impazzire, fino a quando mi ero reso conto che, se volevo togliermi da quella situazione, avevo bisogno di tenermi lucido. Per giorni, o forse settimane, ero rimasto a occhi aperti, fissando il buio e desiderando uno specchio per poter appurare le mie condizioni. Poi era arrivata la rabbia e avevo desiderato di morire davvero, tutto pur di non starmene rinchiuso e consenziente, quando la vita al di fuori procedeva per tutti.

E dopo la rabbia, crudo e intenso, si era fatto largo il dolore. Ma mi ero fatto forza, ripetendomi che doveva esserci un motivo per quello che mi stava accadendo. Per non perdere la ragione avevo iniziato a sognare a cosa avrei fatto una volta tornato all'aria aperta. Dovevo andare a casa? Come avrebbero reagito i miei familiari? Mi avrebbero ritenuto un abominio e cacciato via? No, non ero sicuro che ci sarebbe stato ancora un posto per me. Potevo trovarmi un nuovo lavoro e vivere per conto mio, sempre se il mio aspetto non avesse terrorizzato chiunque, poiché in quel caso la soluzione più logica sarebbe stata nascondersi. Però, c'era qualcosa che mi inquietava, ossia, avrei desiderato mangiare cervelli umani? Ero sempre stato un bravo ragazzo e mi sarei ucciso pur di fare del male a un altro individuo, o almeno lo speravo.

Pormi le solite domande e trastullarmi nei soliti pensieri, ben presto, mi vennero a noia e, per passare meglio il tempo, la mia mente vagò altrove. Come sarebbe stato scopare da zombie? Sarebbe cambiato qualcosa? Fu quello il punto in cui qualcosa cambiò, una smania febbrile raggiunse il mio intero essere, concentrandosi sul mio cazzo. Avevo fame, tantissima fame e, cazzo, avrei mangiato! La mia forza sembrava essere aumentata dieci, venti, cento volte tanto e quando spinsi la tavola sopra di me... quella cedette. Mi ritrovai coperto di legno, polvere ed erba. Con un solo colpo avevo distrutto la bara e smosso il terriccio sovrastante. Ebbene sì, niente tomba né muratura. Ero stato seppellito in un boschetto dietro quella che era stata casa mia, nel luogo dove giocavo da bambino. Strano, vero?

Da quel momento la mia vita buia si era riempita di colori, suoni, odori e... cibo. Da quando mi ero risvegliato pareva che non potessi farne a meno. Ma non mi riferivo al cibo comune, per quanto lo apprezzassi moltissimo anche in versione "zombie", mi riferivo invece al cibo sotto forma di corpi nudi, gemiti, mani ovunque e sospiri. Già, perché per sopravvivere, se così si poteva dire, avevo bisogno di sesso. Avevo appurato che se mi astenevo dal farlo ogni qualvolta ne avvertivo l'impulso, la mia carne iniziava ad imputridire e a emettere un odore per nulla gradevole.

Avevo anche trovato lavoro in un locale notturno, ottima cosa per il mio "particolare" bisogno, perché era pieno di ragazze disposte a divertirsi. Trovare un angolo tranquillo per una sveltina era davvero facile, anche se non appagante come ricordavo.

Un'altra VitaWhere stories live. Discover now