Capitolo VII

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Loro si staccano dalla realtà.

Avevo pronunciato mentalmente così tante volte questa frase, le avevo tentato di attribuire un tal numero di significati, che ormai pareva l'eco di un'enigma irrisolto. Rimbalzava nella grotta cava della mia testa, il suono si sfilacciava di più ogni volta, e l'impressione che quella frase fosse priva di senso aumentava.

Ripensavo al volto ansioso di Corinne, al modo in cui aveva lasciato scivolare quella spiegazione sulle labbra evitando di soffermarcisi troppo, come se fosse una definizione imparata a memoria. Avevo esaminato l'ipotesi di domandarle altro, ma avevo il netto presentimento che non sapesse fornirmi una descrizione più dettagliata.

Avevo rivoltato quella frase, fino a darmela a nausea, ma non ne avevo ricavato nulla, eccetto un dolore lancinante alla testa.

Ma quello, più che a quelle riflessioni frustranti, era dovuto alla notte insonne. Ero tornata molto tardi e avevo faticato ad addormentarmi con quell'interrogativo a martellarmi in testa. Alla fine ero crollata, poche ore prima che la Campanella mi buttasse giù dal letto.

"A? Mi hai sentito?"

La voce di W fece breccia nella muraglia invisibile che avevo eretto intorno a me, riportandomi alla realtà.

Mugugnai un monosillabo di risposta, poco propensa ad ammettere che non la stavo ascoltando.

Quella mattina l'avevo trovata già chiusa in bagno, intenta a prepararsi. Non mi aveva rivolto un cenno di saluto, né mi aveva lanciato una frecciatina, per cui supponevo che avesse deciso di fingere che non fosse accaduto nulla.

Sarebbe parso forzato all'inizio, uno spettacolo di attori scadenti.

Tuttavia sapevo già quale sarebbe stato il finale. Quella discussione mozzata a metà, come le opere incompiute di uno scrittore in crisi, si sarebbe andata ad aggiungere alle altre, in attesa che giungesse lo sperato finale. Quello che avrebbe dato senso al resto del libro.

"Ho detto: mi passi lo zucchero?" scandì W per quella che doveva essere la decima volta, celando una sfumatura d'irritazione.

"Mette lo zucchero nel latte chi sa di non averlo nel cuore." mormorai tra me e me, mordicchiando un pezzo di pane.

Corinne ribatteva così ogni volta in cui le domandavo di addolcire il latte. E se la prima e la seconda volta poteva essere una richiesta innocente, dalla decima avevo iniziato a farlo solo per punzecchiarla.

Non avevo mai compreso che avesse contro gli amanti del latte zuccherato.

"Che dici?"

Senza parlare gettai una bustina nel piatto di W. Lei non si mosse e la fissò assorta.

"Devi versarla nella tazza." Mimai il gesto.

"Stavo riflettendo." replicò W in tono monocorde, ignorando il mio sarcasmo.

Non riuscii a chiedere altro.

Le porte della Mensa si spalancarono con un botto e una ventata d'aria fresca si riversò nella stanza. Un brivido mi percorse la spina dorsale nel realizzare che, diritta sulla soglia della stanza, nel punto in cui il marmo diveniva una striscia di piastrelle bianco latte, sostava la figura austera di Miss. Hedd. Era scortata da due uomini in nero, gli stessi che mi avevano tenuta intrappolata durante quella terribile traversata.

Le cameriere cessarono di svolgere il loro lavoro, come se fosse suonato un allarme. Gli alunni raddrizzarono il busto in un gesto meccanico, interrompendo ciò che stavano facendo. E il silenzio circondò la stanza, in un abbraccio mortale.

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