Capitolo 2 - Il destino decide da sé

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Sostenere che quel giorno fosse nervoso significava non conoscere Stiles Stilinski. Perché la gamba che scatta ripetutamente su e giù, il piede che tamburella di continuo sulle piastrelle azzurrine della sala d'attesa e il continuo guardarsi attorno con aria spaesata e ansiosa non erano elementi sufficienti per attribuire l'aggettivo 'nervoso' al ventisettenne. Chiunque avesse avuto poteri sovrannaturali, o semplicemente fosse stato più empatico del normale, avrebbe capito che lo stato emotivo del giovane era più che altro un misto di paura e desiderio. Quasi anche con un po' di frenesia, oltra un tentativo quasi sovrumano di trattenere a freno la lingua e non iniziare a parlare anche con gli oggetti inanimati che c'erano nella stanza.

Se tutto andava come deciso, in meno di un anno Stiles sarebbe divenuto un padre single. Fece un sospiro più profondo degli altri, abbassando lo sguardo dallo schermo nero con i numeri rossi al bigliettino che aveva in mano. Era il suo turno. Si alzò dalla sedia e con camminata leggermente goffa andò allo sportello, facendosi scivolare via le occhiate divertite che gli regalarono le altre persone nella saletta, davanti a sé una donna dai capelli ricci e neri. Gli sorrise anche lei divertita, ma con una luce intenerita in fondo agli occhi, prendendo il numerino per poi buttarlo sotto la scrivania, probabilmente in un cestino apposito. La donna gli domandò alcuni documenti che fotocopiò, glieli restituì, dandogli anche una cartella di un tenue color menta pastello e sporgendogli una caramella al gusto di amarena, di quelle dure all'esterno e ripiene di sciroppo all'interno.

«Questa dovrai portarla ogni volta che verrai a sottoporti a una visita.» iniziò a spiegargli con tono pacato, nel tentativo di calmarlo un attimo «Quando rimarrai incinta, verrà sostituita con una di un altro colore che ti darà il medico che seguirà la gestazione.» Stiles annuì, continuando ad ascoltare le indicazioni e le consegne per compilare i documenti e quelle di dove recarsi per la prima consulenza, costringendosi a stare zitto e a tenere per sé tutte le domande e le paranoie che gli correvano per la testa. Doveva fare il bravo, questa volta «Vai in fondo al secondo piano, sulla sinistra. Siediti pure fuori la stanza numero ventuno e aspetta che ti chiamino.» terminò lei, ponendo un ultimo timbro su un foglio e poi porgendogli il tutto riposto nella cartellina di cartone «Buona fortuna.» gli augurò in fine la donna.

Questa volta era stato bravo. Se lo disse, dandosi mentalmente anche il cinque, mentre con la cartella in mano si dirigeva verso le scale; quella infatti era la seconda volta che visitava la struttura di fecondazione eterologa selezionata da lui e Lydia. La prima volta erano incorsi problemi di natura comportamentale secondo la sicurezza e la segretaria di turno. Non da parte sua, ovviamente. Anzi! Gli sembrava di aver tenuto un regime di educazione consona, se si tralasciavano le domande e i mille più discorsi che intavolava con chi gli era seduto di fianco o davanti. Insomma, è logico voler capire perché una persona giunge in un posto come quello e non si può sapere semplicemente leggendo nelle loro menti, era ovvio avesse iniziato a parlare e a fare domande. Tuttavia, era anche colpa del suo lavoro, se ne faceva di così specifiche.

Quando la settimana prima aveva chiamato Lydia per raccontargli dell'accaduto. Per spiegarle che era stato accompagnato fuori dalla struttura, scortato da una guardia di sicurezza e un'impiegata dall'aria scocciata e per nulla cordiale, lei, la sua migliore amica e spalla in quell'impresa, era scoppiata a ridere. Ridere di gusto, tirando fuori la teoria che era stato un segno del destino e che magari doveva dare una possibilità a H.. A tale affermazione era stato lui a imitare una risata, tornando al fatto che la teoria del destino non sussistesse e che sarebbe tornato alla clinica una seconda volta, con il pensiero fisso di tacere perché voleva diventare padre. E volere è potere. Glielo scrisse come messaggio nel momento in cui raggiunse lo studio della dottoressa L.T. Brown. Occupò una delle tre sedie vuote d'avanti alla porta della dottoressa e attese, cercando di ingannare il tempo navigando su internet e rispondendo alle parole di Lydia che oggi era simpatica quanto del limone su una ferita aperta.

Our FOREVER [COMPLETA da revisionare]Where stories live. Discover now