"A destra?" chiesi dubbiosa.

"Sì." Inez sciolse la presa, un rossore soffuso sulle guance. "Conosci la strada meglio di me."

Spostai l'attenzione sul corridoio, riempito da una fitta trama di tenebre.

"Vuoi dire che..." Mi bloccai, accorgendomi di essere l'unica nel corridoio. Inez se n'era andata.

D'altronde c'era solo una stanza da quella parte.

Presa da un'impazienza irrefrenabile, corsi a perdifiato lungo l'intero corridoio. Un'ondata di nausea mi assalì quando la scorsi, incastrata nella parete grigia, quella porticina sgangherata che da piccola consideravo il solo limite tra me e il resto del mondo.

Paura. Nostalgia. Affetto. Un fiume di sensazioni differenti m'invase.

Afferrai con mano tremante la maniglia, accarezzando con il pollice la vernice scrostata.

Quella stessa porta, un po' più levigata.

Quella stessa maniglia, un po' meno arrugginita.

Quella stessa bambina, un po' meno cresciuta.

Le lacrime offuscarono la mia vista, mentre immagini confuse scorrevano dinnanzi a me.

E fu con quei ricordi che si sovrapponevano nella testa, e quella confusione comune che regnava nel cuore, che io e quella bambina sospingemmo la porta.

Cercai a tentoni l'interruttore, finché la mia mano non trovò il piccolo riquadro.

La lampada si accese, emanando un bagliore instabile. Era appesa al soffitto da un filo di metallo sottile, così sottile che da bambina avevo temuto cedesse mentre dormivo.

La stanzetta mi parve ancora più piccola di quanto avessi memoria, giusto lo spazio perché una bambina di quattro anni riuscisse a respirare. L'aria viziata stagnava nella camera, l'unica finestrella circolare serrata. Doveva essere passata molto tempo dall'ultima volta in cui era stata aperta.

Sulle pareti spoglie, passate dal bianco originale a un giallino malsano, erano ancora visibili le sagome dell'antico mobilio.

Ebbi una stretta al petto. Delle scope spennacchiate e un secchio ossidato avevano sostituito il mio letto.

La mia vecchia camera era davvero diventata uno sgabuzzino.

"Sì, qualche mese fa Miss. Hedd ha deciso che non eri più a rischio e ha ordinato di buttare il tuo letto e l'armadio."

Un brivido mi percorse la schiena, nemmeno mi ero accorta di essermi espressa ad alta voce.

"Corinne!" la riconobbi.

"In persona."

Non feci nemmeno in tempo a voltarmi, che un abbraccio mi travolse.

Un abbraccio che odorava di limone e tranquillità.

Un abbraccio che, per quanto ne avessi esperienza, sapeva di famiglia.

Bastò quello a cancellare l'ansia che avevo provato per l'intera giornata.

All'improvviso C s'irrigidì e si staccò da me. I suoi occhi castani mi squadrarono vigili da capo a piedi, come a volersi accertare che ciascuna parte del mio corpo fosse al posto giusto.

"Inez mi ha riferito il tuo messaggio." enunciò alla fine, il tono incerto.

"Era sospettosa?"

"Perplessa, direi. Immagino lo sarebbe stato chiunque." ribatté C.

"Quale bugia le hai raccontato?" Sogghignai.

"Nessuna."

"Cosa?" Saltai su indignata.

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