/capitolo 2/

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Alle 10 avevo la prima seduta e quindi mi affrettai ad andare nella stanza dove il mio psicologo, Mr White, già mi aspettava.
Arrivata nella stanza tapezzata di carta da parati, andai dritta sul divanetto in pelle marrone appoggiato al muro, di fronte alla porta in legno scuro. Credo sia stata la stanza più bella di tutto il manicomio.
"Allora Sophie, so che hai ancora incubi. Me li vuoi raccontare?"
"Senta, non mi tratti come una bambina okay? Ho 20 anni, credo, e non so perché ho questi incubi. È da 3 fottuti anni che sono in questo posto di merda e non è per le crisi notturne. Quindi non parliamo di quelle." Ero molto irascibile soprattutto se si parlava di quelle immagini che mi accompagnano per ben 6 anni. Erano sempre quelle, tranne qualche volta. Ritraevano i miei genitori in macchina, sembravano felici; ma qualcosa, o qualcuno, dietro di loro toccó le loro spalle e in un attimo la loro pelle diventò color argento, gli occhi diventarono neri e la loro testa girò di 360 gradi. Sussurravano parole che non sono riuscita mai a capire, tranne una che pronunciava il mio nome. Queste parole venivano seguite da versi inumani che mi facevano gridare. Questo si placava con l'aiuto dei sonnoferi che non mi facevano più sognare o vedere quelle immagini. Credevano che mi avrebbero aiutato, ma non c'è cosa peggiore di non poter sognare.
"Okay Sophie, e allora di cosa vuoi parlare? Del tuo nuovo compagno?"
"Uhm, va bene. Tanto qua perdo solo che tempo."
"Come ti sembra il tuo nuovo compagno? Farà la fine di Alexa o di Tayler? O vivrà un po' di più?"
Lo odiavo. Mi trattava come se fossi una ritardata. Ero una psicopatica, una pazza che voleva stare sola, voleva uccidere e si arrabbiava facilmente, ma non ero una ritardata mentale.
"Uhm, forse. Ma l'ho comunque avvertito."

La seduta era finita e ora avevo tutto il giorno "libero". Con libero si esclude ovviamente il poter andare fuori, andare nelle ale diverse del manicomio se non dalle 3 alle 5 e non poter usare oggetti elettronici se non tre computer vecchissimi che dovevi prenotare per usarne uno.
Ritornai in camera seccata e arrabbiata. La porta era aperta e al suo interno, sdraiato sul letto che leggeva un vecchio libro, c'era Lorenzo.
"Oh, guarda chi c'è." Appoggiò il libro sul comodino che divideva i due letti.
"Non sei simpatico Ostuni."
"Come fai a sapere il mio cognome?"
Era sorpreso e iniziò a studiarmi.
"Sveglia, c'è il tuo modulo sul comodino."
"Ah, quindi te sai qualcosa su di me. Dimmi qualcosa su di te."
"Uno, so solo il tuo nome e il tuo cognome; due, non ti devo interessare." Risposi più acida possibile.
"E se invece mi interessi? Daii, parliamo un po' di noi?"
"Uff," sbuffai" va bene, solo se dopo ti levi dal cazzo."
"Oh è arrabbiata la piccola."
"Si, quindi vedi di non farmi arrabbiare ancora di più, lo dico per il tuo bene, se non vuoi fare la fine degli altri."
"Altri chi? Quelli che hai ucciso perché sei una psicopatica?"
"Si." Okay, mi stava facendo veramente arrabbiare. Volevo solo andare via da lui, più lontano possibile. Perché non avevo il coraggio di prendere quel coltello e conficcarglielo nel petto più volte?
"Ma se sei anche te qua vuol dire che sei uno psicopatico anche te." Gli occhi fissi sui suoi erano diventati due fessure nere.
"Si, hai ragione."
Perché aveva fatto tutto quel discorso per arrivare ad accettare la sua psicopatia? Forse era più pazzo di me.
"Allora? Mi racconti qualcosa di te?" Ruppe il silenzio che si era creato come se non fosse successo nulla. Era bipolare forte il ragazzo.
"Guarda il modulo." Risposi seccandolo e uscendo dalla stanza.
"No aspetta! Dove vai? Resta qui!" Mi voltai appena per guadarlo un secondo, per poi riprendere a camminare nel corridoio grigio.
Sentivo i suoi passi andare sempre più veloci e senza guardarlo iniziai a correre anche io. Arrivai alla fine del corridoio,dove c'era la stanza 67, mai usata da nessuno se non per casi speciali, e i passi cessarono. Mi voltai e vidi che c'ero solo io in quel corridoio. Di chi erano i passi?
Andai in mensa con un'enorme quantità di angoscia sulle spalle e il fiatone. Presi un vassoio e ci misi sopra un piatto di pasta al sugo, del pane e delle patate al forno, tutto ovviamente preconfezionato.
Mi sedetti al solito tavolo da sola ma il moro con cui avevo litigato prima si sedette accanto a me. Tutti gli occhi erano puntati su di noi e non mi piaceva, il cuore iniziò a battere più forte di quanto potesse andare e il respiro era irregolare. Lorenzo lo vide e mi guardò negli occhi preoccupato.
"Sophie? Stai bene?"
"Vattene. Da. Qui. Subito."
I respiri ritornarono regolari ma il battito cardiaco era impazzito. Tutto il manicomio mi osservava con stupore, nessuno si era seduto con me a pranzo, o cena o colazione. Nessuno aveva avuto il coraggio di parlarmi come se fossimo amici. Ma lui, lui dai ciuffi ribelli, lui dagli occhi nocciola di vetro, lui dalla mente più malata della mia, lui aveva avuto il coraggio di guardare in faccia la morte e di parlarci.
Si alzò dispiaciuto dal mio tavolo e andò a sedersi con degli altri pazienti. La mensa si trasformò in un susseguirsi di parole sussurrate.

Ehehey
Spero che i primi due capitoli vi piacciano. :)

Psycho//LorenzoOstuniحيث تعيش القصص. اكتشف الآن