Capitolo 8 - John Sparta - Parte 2

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Abel lo aveva osservato. Inizialmente senza farsi notare, poi sempre più apertamente. Il militare era un uomo alto, massiccio come una montagna, tutto spigoli. Diceva di essere arrivato ad Omega per valutare l'operato di Price, doveva capire se poteva fidarsi. Così aveva fatto la cosa che gli riusciva meglio: era rimasto in disparte lasciando che la sua mente razionale analizzasse ogni minimo dettaglio, dal suo abbigliamento al modo di parlare. L'uomo aveva i capelli rasati, alcuni fili bianchi si confondevano tra sfumature biondo cenere. A differenza di Price e dei suoi tirapiedi era addestrato ad affrontare situazioni pericolose. Di più, era un reduce. Lo raccontavano le sue cicatrici e l'andatura leggermente claudicante. Aveva l'abitudine di guardare i suoi avversari negli occhi, teneva il mento alto, senza vergognarsi delle sue azioni, il petto in fuori. Quell'uomo non conosceva la paura, ma la cosa più importante era che non aveva mostrato disagio nei suoi confronti. Forse poteva essere l'alleato di cui aveva bisogno. Il modo in cui parlava, l'intonazione, l'espressione del viso, tutto gli diceva che Sparta era sincero, che non sembrava avere secondi fini. Non era come Moore. Il medico gli nascondeva qualcosa, una verità molto importante che lo riguardava e che aveva condiviso con Elizabeth Grey. Per qualche motivo lui era importante per loro e avrebbero fatto ogni cosa pur di portarlo fuori da lì, ma se quello fosse un bene o un male Abel non era in grado di dirlo. Così aveva deciso di fidarsi del Comandante, anche se la voce di PTR che gli diceva di non parlare dei suoi segreti continuava a risuonargli nelle orecchie. La sua determinazione aveva vinto sulla paura e le immagini di quella notte terribile avevano riempito tutti gli schermi oleografici della Sala Comandi. Il flusso di immagini e suoni, perfettamente fedeli a quello che aveva vissuto gli riportarono alla mente tutte le sensazioni della notte appena passata: paura, orrore, rabbia, odio. Aveva odiato con tutto se stesso quei bastardi che si erano intrufolati nei loro alloggi per ucciderli e nonostante avesse tentato di controllare la forza con cui li colpiva, li aveva uccisi. Le immagini che si inseguivano sullo schermo lo inchiodavano alle sue responsabilità, eppure aveva deciso di farle vedere al Comandante Sparta.

«Diavolo!» Sparta si voltò verso di lui con una strana espressione dipinta in volto. Non era paura, sembrava sorpresa, forse ammirazione. Rimase a guardarlo con i pugni chiusi appoggiati sui fianchi, evidentemente combattuto.

«Non so proprio cosa devo fare di te ragazzo. Quello che hai fatto è grave, lo capisci?»

«Ho difeso la mia famiglia» gli rispose. Voleva che lui capisse, più di ogni altra cosa. «Loro non hanno nessuna colpa di quello che è successo e forse, appena si saranno addormentati non ne avranno nemmeno alcun ricordo» sospirò, incapace di accettare quella verità.

«Tu invece non dimenticherai» disse, pensieroso. «Perché soffri di iperqualcosa?»

Abel ora si trovava davanti ad un bivio. Dire tutta la verità o tacerne una parte. 

«Non ho mai sofferto di ipertimesi», completò il suo pensiero, «ma sono uscito con un difetto di fabbrica dal Darwin: non mi hanno mai installato il MCS.»

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Il Mind Control System, il chip di controllo che con impostazioni diverse veniva installato ai cyborg, ai militari e ai "coloni" delle città fortezza. Attraverso quel dispositivo il Ministero della Difesa aveva la possibilità di scansionare i pensieri della popolazione alla ricerca di idee pericolose o proibite e programmare le proprie azioni in modo chirurgico. I cittadini onesti non avevano niente da temere dal dispositivo. Il controllo sui cyborg invece, era totale.

«Un errore di costruzione?» chiese sorpreso, guardandolo con occhi nuovi.

«Non lo so, ma la logica mi porta a dire che non sarebbe possibile. Immagino che un cyborg debba superare una serie di controlli e di collaudi.»

«Già!» Sparta si accarezzò il mento. «Quindi potrebbe trattarsi di una manomissione volontaria» socchiuse gli occhi e una miriade di piccole rughe formarono la trama di una ragnatela intorno ai suoi occhi. «Dove hai imparato a combattere in quel modo?» disse indicando l'oloschermo.

Anche Abel si era fatto la stessa domanda. Aveva sondato la sua mente alla ricerca di un singolo frammento di ricordo ma la sua memoria era come una scatola vuota.

«Non lo so» fece spallucce, improvvisamente perso nel nulla dei suoi ricordi. Era una sensazione che aveva iniziato ad odiare, quella di una ricerca senza speranza.

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Sparta non poteva far altro che osservare la creatura che si trovava davanti con la stessa religiosa curiosità con cui, per tutta la sua vita aveva atteso di incontrare una forma di vita aliena. Da cadetto aveva fatto domanda per essere distaccato su B-Centauri, ma non aveva superato i test psicologici. Il risultato era stato una sentenza senza appello che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita: troppo poco incline ad obbedire agli ordini per una missione così delicata. Così aveva visto svanire il suo sogno. Ora il cyborg gli aveva fatto tornare in mente proprio quelle emozioni. Era diverso ed era un autentico mistero. Lo aveva visto correre incontro al nemico con il coraggio di un guerriero spartano e colpire con la grazia e la forza che solo un lungo addestramento potevano dare. Eppure era solo un ragazzino.

«Non ho mai visto nessuno combattere come te. Sembravi un gladiatore. Non può essere semplice istinto.»

I suoi occhi incontrarono quelli di Abel. Il giovane spostò immediatamente lo sguardo alle punte dei propri stivali. «Non so ... come spiegare» disse, dopo un silenzio di alcuni secondi. «Io sapevo come affrontare quella situazione, e basta. Ho cercato qualsiasi cosa avrei potuto usare come un'arma e ho fatto quello che pensavo giusto. Ma la mia unità digitale non contiene ricordi precedenti a questo episodio. È come se dalla mia testa fossero stati cancellati dei pezzi di memoria.» Si morse le labbra, forse pentendosi di aver rivelato troppo.

«Che cosa intendi?»

«Deja-vu. A volte mi capita di vedere delle immagini o di sperimentare delle situazioni e ho la certezza che si tratti di qualcosa di già vissuto. Il ricordo affiora all'improvviso, come un lampo, e poi svanisce prima che io riesca ad afferrarlo. Non so che cosa sia, non so che cosa mi sta succedendo, signore.» Il ragazzo aveva pronunciato le ultime parole come una preghiera. Gli stava chiedendo aiuto.

Sparta deglutì. Abel aveva ragione. Non aveva mai incontrato un cyborg classe Omega e non sapeva cosa aspettarsi.

«Pensi che siano ricordi del tuo "prima"?» azzardò.

Il giovane si voltò a guardare fuori dalla finestra e non rispose. Sembrava schiacciato da un fardello più grande di lui. «Che cosa ne sarà di noi?» chiese, rispondendo con un'altra domanda.

Sparta accarezzò la fondina in cui teneva la sua pistola, saldamente agganciata sul fianco. Gli ordini del Ministero della Difesa in quei casi erano chiari: eliminare ogni fonte di pericolo. Avrebbe potuto farlo anche in quel momento, un colpo alla testa, la sua firma sul modulo di smaltimento e non gli sarebbe nemmeno toccato dare troppe spiegazioni. Eppure qualcosa di profondamente illogico ed irrazionale gli diceva che quel cyborg non era un pericolo. Doveva prendere una decisione e in ogni caso la responsabilità sarebbe stata solo sua. Il militare digitò un codice sul suo orologio e attese il segnale sonoro che indicava che il canale era aperto prima di parlare: «Lucas? Chieda a Boy e Spark di raggiungermi in sala comandi. C'è un prigioniero da prelevare.»  

Abel 1.0 Rinascita - Ciclo della Rinascita - Libro 1Where stories live. Discover now