Nothing to lose ~

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L'uomo è sempre alla ricerca della felicità.

C'è chi si sente felice perché è ricco; chi è felice perché, anche se non ha soldi, ha una famiglia che gli vuole bene; c'è chi si sente felice anche essendo da solo.

Per lei, la felicità era sentirsi liberi.

La libertà e la felicità erano come utopie per Violet.

La scarica di adrenalina che aveva quando provava i suoi amati sport estremi, non era nulla in confronto a quello che stava per fare.

Aveva provato ogni genere di sport: il paracadutismo, lo snowboarding, lo scii... Era perfino stata in mongolfiera.

Certo, per provare a fare tutte queste cose doveva avere molti soldi.

Soldi che però non bastavano a darle la felicità, quel trofeo tanto ambito.

Ogni cosa che faceva le si ritorceva contro.

La sua era una vita molto triste. Andava avanti da così tanti anni... Il cervello invecchiava, ma il corpo... No. Era uno strazio.

La sua pelle così pallida e giovane risaltava sotto la flebile luce della luna che si stagliava in cielo quella sera. I grandi occhi verdi di Violet riflettevano i colori di quei luoghi isolati che attraversava.

La ragazza correva a perdifiato. Non voleva scappare, anzi, voleva arrivare in tempo.

Andava talmente veloce che i suoi piedi sembravano non toccar terra. Era come se volasse.

Ad un tratto ella si fermò al centro di una piazza. Le foglie colorate sparse lungo tutto il viale che seguiva lo spiazzo, davano un'aria malinconica al luogo. Altrettanto malinconico era il modo in cui lei guardava il paesaggio.

Era un triste presagio, una visione di sventura, la sua.

Cercava di camminare lentamente verso il luogo che doveva portarle la felicità, ma per quanto ci provasse, il suo passo era comunque troppo veloce.

Adesso era spaventata. Non era più sicura come prima, quando quello che voleva fare le sembrava un'ottima idea. Adesso pensava che quella fosse la peggiore di tutte le pensate mai fatte.

Cosa poteva fare una ragazza di apparentemente diciassette anni, per trovare la felicità?!

Assolutamente nulla.

Ma per quanto stupida potesse essere la sua idea, continuò ad andare avanti, imperterrita, convinta che fosse la cosa migliore da fare, per tutti.

Per lei, per la sua famiglia, per i suoi "amici".

Camminava e camminava, fino a quando non arrivò davanti ad un bosco.

Ormai era fuori da quell'isolata cittadina e si trovava davanti ad un vero e proprio labirinto.

Prese i fiammiferi e ne accese uno, facendosi strada nei tenebrosi e stretti sentieri della foresta.

La flebile luce dei fiammiferi era in stretto contrasto con quella della luna, che a tratti illuminava il cammino, filtrando da piccoli spazi tra le chiome dei folti alberi.

Quando Violet arrivò alla sua meta era ormai l'alba.

Ogni gesto che stava per compiere avrebbe dovuto portarla verso la felicità.

Restava immobile a guardare l'orizzonte, mentre il sole saliva ancora più in alto man mano che il tempo passava.

Per lei ne era passato fin troppo in questa vita e non voleva passare un secondo di più lì.

Aprì la sua borsa e tirò fuori tutto l'occorrente: una bottiglia di vodka, pastiglie, un appuntamatite, un cacciavite, dei fazzoletti, una vecchia foto, la sua voce e il coraggio.

Iniziò ingoiando l'intero contenuto della scatola con le pastiglie, mandandolo giù bevendo la sua amata compagna di avvenutre, la vodka. Già decisamente poco sobria, iniziò a svitare la lama dell'appuntamatite dal suo alloggiamento, mancando varie volte la vite e ferendosi la mano, inizialmente.

Una volta finita l'operazione fece partire una canzone. La sua preferita, colonna sonora del suo film preferito: Suicide Room.

Prese la lama del taglierino e cominciò a tagliarsi.

La sua voce sovrastava quella malinconica melodia.

I suoi pianti adesso erano l'unica cosa udibile, a parte i suoi singhiozzi, mentre le sue ferite, inflitte con tanto dolore, sanguinavano.

Violet decise che i fazzoletti non sarebbero serviti, così li rimise in borsa.

Mancavano due oggetti per completare la lista: il coraggio e la cornice.

Prese quest'ultima e la strinse al petto, avvicinandosi alla fine del percorso.

Sotto lo spuntone dove si trovava, si stagliava il mare, con la sua scogliera.

Strinse ancora più forte la foto e prese il suo coraggio. Si voltò, dando un ultimo sguardo ai suoi oggetti e a quel paesaggio così malinconico.

Addio.

Chiuse gli occhi e si lasciò cadere nel vuoto.

Le sue ferite sanguinavano ancora, la gola le faceva male per quanto aveva urlato e gli occhi le bruciavano per quanto aveva pianto.

Ma non sarebbe finita.

Ogni volta che ci provava non ce la faceva mai: la maledizione che le era stata inflitta non cessava.

Arrivata alla fine della sua lunga caduta sbatté la testa e una fitta lancinante la fece urlare dal dolore.

Non poteva morire, purtroppo.

Era costretta a vivere in eterno, costretta a provare un immenso dolore e a non poter lasciarsi andare.

Si rialzò e ritornò a prendere le sue cose.

Tornò a casa e si mise a dormire.

Il giorno seguente ci avrebbe riprovato, come aveva fatto giorno dopo giorno nel corso dei suoi lunghissimi duecento anni.


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