_Chapter seven_Inferno.

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[Nella foto Liniæ]

"Dove mi state portando?," chiese cortesemente Liniæ all'autista taciturno.

"Dove mi state portando?,"ripeté alzando il tono della voce. Dovette farlo per diverse altre volte prima che l'autista le rispondesse: "Non mi è stato dato il compito di spiegarle. La pregherei di sigillare le labbra"
"Mi faccia scendere da questo aggeggio!," strillò lei al limite della sopportazione. Era seduta su uno dei sedili posteriori, che erano più comodi del letto in cui dormiva ma non altrettanto spazioso. Infilzò con le unghie il tessuto del sedile per sfogare la frustrazione.
Iniziò a riflettere sulla situazione. Neapolis non le avrebbe mai fatto del male, l'aveva sempre trattata come una figlia. Era normale che Liniae avesse paura, d'altronde non era mia uscita dalla reggia dell'angelo nero; ma l'anziana signora sarebbe sicuramente tornata a riprenderla, altrimenti sarebbe salita sulla vettura con lei. Aveva detto che stavano andando a casa. Intendeva la Terra? Era quella la meta? Forse era andata a prendere le proprie cose, non l'avrebbe certo fatta partire da sola, eccetto che in caso di grave pericolo. Era forse in pericolo? E se il generale avesse scoperto che Liniae era viva? Si sarebbe voluto accanire su Neapolis? Ma perché? E se, proprio in quel momento, la stesse torturando? Abbandonandola, l'aveva forse salvata?
Pensieri su pensieri tormentavano Liniæ.

"Stiamo per arrivare," le comunicò freddo l'uomo. Liniæ smise di parlare, di muoversi: capì che era inutile.

Passarono alcune ore umane, prima che il veicolo si arrestasse. Alla faccia del "stiamo per arrivare".

L'uomo scese, aprì la portiera della ragazza e le porse una mano per farla uscire.

"Oh! Ma guarda quanto è galante! Invece che usare la mano per farmi uscire da questo aggeggio, usatela per aprirvi il cervello!," pensò lei.

Si trovò davanti ad una villa lussuosa quanto tenebrosa. L'esteso giardino mostrava incredibile perizia fin nei minimi particolari. Confinava ad ambo i lati con un bosco incontaminato. Il prato era completamente uniforme, le piante avevano la stessa altezza e spessore, i fiori sbocciavano e appassivano in sincronia, creando un'orchestra immaginaria di movimenti, una danza lontana.
L'architettura della casa era appariscente. Le pareti erano ricoperte di finestre che lasciavano intravedere ricchi interni e alcune serve indaffarate. Le mura sia esterne sia interne erano di color rosso fuoco, la giovane se ne accertò dopo che ebbe oltrepassato il portone d'ingresso. Lungo il corridoio principale erano appesi quadri raffiguranti la storia della famiglia nobile proprietaria. Affreschi meravigliosi erano stati dipinti sul soffitto, che creava in chi lo guardava l'illusione che fosse curvo. Una rampa di scale si arrampicava elegantemente dalla sala grande al piano superiore. Da dentro l'abitazione sembrava ancora più immensa che da fuori, paragonabile alle poche stanze del ceto nobile puro che Liniae aveva visto.

"Salve" la salutò una ragazza minuta più piccola di lei.

"Salve" ricambiò Liniæ spaesata.

"Che sbadata! Mi chiamo Vuoler!"

"Liniæ. Dove mi trovo? E perché?," chiese.

"Nella modesta dimora dei Gourmetville. Sarà una nuova cameriera"

"Va bene..." si limitò a rispondere. Passare da un luogo all'altro non le avrebbe cambiato molto, perché ci sarebbe stata anche Neapolis. Le dispiaceva solo di non aver salutato Aron, ma in qualche modo sarebbe uscita a spiegare tutto a quel Don Giovanni.

"Ma perché?," chiese di nuovo. Voleva afferrare il motivo di quel cambiamento.

"L'hanno venduta a questa famiglia. Adesso Lei appartiene a loro. Non si preoccupi, è bello lavorare qua"

L'attrazione degli Inferi Winner#Wattys2016Where stories live. Discover now