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Ho sempre vissuto con la concezione che non sarei mai salita al trono. I miei fratelli sarebbero stati i legittimi eredi al trono di nostro padre. Noi donne non abbiamo il diritto di governare un regno, grande o piccolo che sia. Non ci è concesso fare o dire nulla, in presenza degli uomini. Veniamo sfruttate solo per rendere loro piacere e per mettere al mondo eredi. Gli uomini non guardano in faccia a nessuno, potresti appartenere a qualsiasi ceto sociale, che tu sia una serva oppure una principessa, questo non ha importanza.

Agli uomini le chiacchiere non vanno, hanno da sempre preferito che la donna non parlasse; in fondo, sono sempre stati loro a scrivere la storia. Noi serviamo solo da contorno.

Mio padre non ha mai tenuto conto dei miei sentimenti, almeno da quando sono cresciuta. Ho dei ricordi sfuocati di quando andavamo insieme a giocare e ci facevamo inseguire da nostro padre. Quelli erano bei giorni, non avevo la concezione di quale sarebbe stato il mio destino e andava benissimo così. Dopo la morte della mamma, però, la luce negli occhi di nostro padre si spense, si rinchiuse nel ruolo che stava rivestendo e non badò più ai sentimenti altrui. Questo mi fece molto soffrire, anche se il mio obbiettivo era diventare la figlia perfetta che non sbagliava mai nulla e per un po' mi convinsi di esserlo. A corte, non c'era persona, nobile o servo che fosse, che non mi facesse i complimenti per il mio essere sempre impeccabile e rispettosa dell'etichetta. Finché un bel giorno, in un ventilato pomeriggio d'autunno, mentre leggevo un libro, seduta su di una panchina in marmo bianco, freddo come il ghiaccio, nel giardino del palazzo reale, vengo chiamata dalla mia balia.

«Principessa Amithy, vostro padre vi desidera nel salone delle udienze.» Mi girai a guardarla per un secondo negli occhi, perdendomi nel mio mondo ancora per un poco. Chiusi il libro e mi alzai in piedi, tenendo il libro saldo nelle mie mani. «Dite a mio padre che lo raggiungerò immediatamente.»

In fondo era quello che tutti si aspettavano da me: la Principessa perfetta. Dovevo essere l'esempio per tutte le dame del regno e quindi mi dovevo comportare di conseguenza. Non avrei mai sbagliato nulla, non avrei mai permesso ad altri di distruggermi, proprio come mi aveva insegnato l'etichetta di corte. Anche se non sarei mai diventata Regina, avevo questi compiti che visti da un occhio esterno potevano sembrare delle sciocchezze, invece per me erano la vita, la base dove posavano tutte le mie certezze. Il mio mondo.

Quando mi alzai dalla panca in marmo, smossi il terreno sotto i miei piedi, calpestando qualche foglia secca che, a causa del vento, si era racimolata sotto i miei piedi. Porsi il libro alla mia balia che non esitò nemmeno un istante a prendere con sé e mi diressi verso il corridoio principale. Le mura emanavano un'aria d'imponenza, rispondevano principalmente allo scopo di proteggere gli abitanti dagli attacchi dei Regni nemici. La struttura architettonica che si presentava era massiccia, in grado di resistere a continui assedi. Costruito prima in legno e solo successivamente in pietra, nacque semplicemente come mastio, una torre circondata da una palizzata. Durante i decenni si espanse ed intorno ad esso si formò un agglomerato urbano, dominato da una rocca e da una chiesa e chiuso da una cinta muraria e da un fossato, accessibile solo attraverso un ponte levatoio. Ma le guerre erano finite da tempo e il castello pian piano era divenuto sempre più disabitato, ospitando solo i membri della corte e la famiglia reale, servitù compresa. Il resto della plebe abitava nel villaggio, e di quando in quando i contadini entravano a palazzo a rifornire le dispense per un salario misero.

«Vostro padre ha una sorpresa per voi, altezza.» A quelle parole, la mia curiosità aumentò; se già prima volevo sapere come mai il re mi aveva mandata a chiamare, dopo l'esclamazione della balia avevo come unico scopo arrivare nella sala del trono per scoprire la sorpresa che mio padre aveva in serbo per me.

Due guardie messe a vigilare l'entrata della sala del trono sbatterono le lance sul pavimento in segno di rispetto nei miei confronti, aprendo subito dopo l'enorme porta in legno di quercia. Feci cenno alla mia balia di andare e lei, dopo essersi inchinata, mi lasciò sola con le guardie.

I CHOISE MY FUTUREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora