CAPITOLO 33:

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Confusa, guardai Xavier aspettandomi una spiegazione, ma essa non arrivò.
Lui stava fissando il pavimento e ignorava il mio sguardo interrogativo, mentre l'uomo sulla porta non attendeva altro che gli rivolgessi di nuovo la mia attenzione.
Così lo accontentai.
Ma adesso sembrava essersi rabbuiato, mi pareva quasi triste.
Scosse la testa deluso, e con voce roca e profonda mi chiese: ~ Tu non sai chi io sia, vero?~
Negai col capo, osservandolo farsi sempre più affranto. Cercavo sul suo viso un qualsiasi particolare che potesse darmi un indizio su chi fosse, ma non ne individuai nessuno e l'uomo restò uno sconosciuto.
Avrei potuto provare quasi pena per lui, non fosse che non sapevo dov'ero né cosa ci facevo lì.
Sembrò notare solo in quel momento che anche Xavier era presente, poi, risoluto, si sfregò la barba e gli si avvicinò.
~

Ti ringrazio, Xavier, puoi andare ora.~ disse mettendogli una mano sulla spalla.
Lui annuì e scappò fuori veloce senza dire una parola, rivolgendomi poi un lungo sguardo mentre richiudeva la porta.
Perché mi aveva lasciata da sola?
Ora avevo ricominciato ad avere paura anche se l'uomo non aveva per nulla un aspetto minaccioso, ma restare completamente abbandonati a sé stessi in un luogo sconosciuto non è esattamente il massimo dalla vita.
Con calma mi si sedette accanto prendendo il posto dove prima era seduto a Xavier, con le braccia appoggiate sulle cosce.
Aveva un portamento notevole, schiena dritta e capo eretto. Mi diede l'impressione di un uomo rigido ma pacato oltre che deciso; tutto sommato una buona impressione, ma nonostante questo sentivo di avere ancora ogni singolo muscolo teso e contratto. Sì, ero decisamente in ansia.
Senza sapere cosa fare fissavo il pavimento sfregandomi le punte dei piedi l'una contro l'altra; quando una ciocca mi scivolò da dietro l'orecchio mi affrettai a rimetterla al suo posto e subito dopo riportai le mani dov'erano prima, con le dita intrecciate e strette tra loro.
L'alternarsi del mio respiro con quello dell'uomo accanto a me era l'unico, ritmico suono che udivo oltre che la sola cosa sulla quale riuscivo a concentrarmi.
Ogni tanto i miei occhi non resistevano dall'alzarsi timidamente su di lui, per poi scattare di nuovo per terra nell'istante in cui un suo movimento improvviso mi agitava.
Ad un tratto lo sentii prendere un profondo respiro e voltarsi verso di me, potevo sentire la direzione del suo sguardo e quasi percepirne l'intensità, e la tentazione di restituirgli il mio era davvero troppa.
Volsi la testa in modo da poterlo osservare completamente, e questa volta c'era un'altra emozione dipinta sul suo viso; avrei giurato che fosse a disagio almeno quanto io ero preoccupata, il che mi pareva davvero assurdo, ma ora che avevo preso il coraggio di guardarlo non riuscivo più a distogliere lo sguardo dal suo viso e dai suoi occhi che a loro volta studiavano me.
Occhi scuri nei quali a malapena si individuava la lieve sfumatura castana, unica cosa che li distingueva dall'essere neri come due pozzi senza fondo.
~ Angel ti ha chiamata...~ esordì scuotendo lentamente la testa con disappunto.
"Cosa?!"
~ C'è qualche problema?~ risposi acida dopo qualche istante.
Non era certo il miglior approccio che potessi scegliere, ma sentire quel tono mezzo ironico e mezzo irritato mi aveva proprio infastidita.
Chi cavolo era lui per prendere in giro il mio nome?
Lui spalancò gli occhi stupito, mentre il resto del viso celava perfettamente i suoi pensieri. ~ È un tantino provocatorio come nome, non credi?~
~ No non credo. Mi spiace.~
L'uomo sospirò nuovamente, si sfregò gli occhi con i palmi delle mani e mi rivolse un'occhiata severa.
~ Ancora non sai nulla. Ma presto vedrai che concorderai pienamente con me.~ disse con leggerezza. ~ Continuo a non capire come tua madre abbia trovato il coraggio.~
"Che c'entra ora mia madre?!"
~ Il coraggio di fare cosa?~
~ Di darti questo nome, non mi ascolti?~
Non risposi. Sembrava di parlare con un pazzo o un paranoico, che farnetica le sue convinzioni in maniera così seria da farle quasi apparire vere.
~ È un vero e proprio insulto.~ disse con odio.
~ Un insulto a chi?~
~ A me, accidenti, a me! Anzi, ora sai cosa facciamo?~
Scelsi di nuovo di tacere, al che lui sembrò spazientirsi ancora di più.
~ Ora,~ riprese, ~ andremo a farle una bella visita.~
Mi prese da un braccio, in maniera sorprendentemente delicata rispetto a quello che mi sarei aspettata, e mi fece alzare.
Io ero sconcertata. ~ A mia madre?!~
~ Devi essere ancora un po' confusa.~ Il suo sguardo severo mi fece sentire stupida. ~ O almeno me lo auguro.~
Uscimmo dalla stanza.
Mi ritrovai in un corridoio stretto e dal soffitto basso, quasi completamente buio se non per la sporadica presenza di qualche torcia attaccata alla parete alla mia sinistra.
Sulla mia destra, invece, scorreva una lunga serie di porte.
Nonostante io non vedessi quasi nulla per lunghi tratti di quel corridoio dalla lunghezza impressionante l'uomo sembrava invece orientarsi perfettamente.
Aveva anche smesso di blaterare quelle cavolate su mia madre, ma temevo che l'idea che lo aveva posseduto prima non l'avesse affatto abbandonato.
~ Perché dovremmo andare da mia madre?! E come la conosceresti, sentiamo.~ chiesi dopo troppo tempo passato a cercare il coraggio per farlo.
~ Voglio una spiegazione. Pretendo una spiegazione. E come la conosco te lo spiegherà lei. Anzi, avrebbe dovuto trovare la decenza di farlo prima.~
Ero da sola, completamente indifesa e alla sua mercé, ma qualcosa dentro di me scattò nell'udire quelle parole.
Piantai i piedi per terra opponendomi con tutte le mie forze a quella marcia nel buio, e solo dopo aver subito un conseguente strattone alla spalla riuscii a fermarlo.
~ Che fai?~
~ Io non mi muovo.~ annunciai incrociando le braccia.
L'uomo sospirò ma non mostrò minimamente di avermi presa sul serio.
~ Su, non farti obbligare.~
~ Non puoi cominciare a sparare cavolate a caso su mia madre e poi pretendere che ti segua senza obiezioni!~
Pochi passi prima avevamo superato l'ennesima torcia, la cui luce mi permise di vedere la sua espressione scettica resa davvero incidente dal sopracciglio inarcato.
~ Obietta mentre cammini.~ disse facendo di nuovo per prendermi dal braccio.
~ No!~ esclamai spostandomi di lato. ~ Le pretendo anch'io delle spiegazioni!~
~ È perfetto allora.~ anche lui aveva alzato il tono della voce, ma senza che essa prendesse la stessa inclinazione isterica della mia. ~ Vogliamo entrambi la stessa cosa dalla stessa persona. Cominciamo già a intenderci.~
~ Non hai capito. ~ lo fermai. ~ Io le voglio da te delle spiegazioni.~
Lui si fece di nuovo stupito, tant'è che tacque per qualche istante. ~ Davvero preferisci sentirle da me piuttosto che da lei? E soprattutto, ti fideresti di qualsiasi cosa ti potrei dire?~ chiese con voce eloquente.
"No..."
Immagino che la mia espressione gli rispose al posto mio.
~ Ecco appunto. Ora, visto che non ti fideresti di me a prescindere, lascia che ti porti da qualcuno di cui ti fidi -cioè tua madre- di modo che lei possa dirti esattamente quello che ti direi io qui e adesso, con la sola differenza che a lei crederai. Intesi?~
"Ho scelta?"
Ricominciai a camminare senza doverlo far insistere di nuovo, e lui fece altrettanto.
Dopo poco mi disse di entrare in una delle tante stanze che avevo visto sfilare in una lunga processione accanto a me.
Questa si trovava nella zona più buia tra la torcia che avevo superato e quella davanti a me, dove per qualche metro l'oscurità era assoluta e profonda, come essere immersi in un mare nero e gelido.
Soltanto quando l'uomo l'aprì mi resi conto che era diversa dalle altre; aveva due ante invece di una sola, entrambe erano decorate modestamente ma non semplici come le precedenti e la stanza nella quale conducevano era ampia e completamente illuminata dallo stesso sole che mi aveva scaldato il viso attraverso la finestra della camera dove mi ero svegliata prima.
Poiché indugiavo sull'ingresso, lui mi invitò a farmi avanti. ~ Su su entra. E chiudi la porta se non ti dispiace.~
Feci qualche passo fermandomi poi al centro della stanza.
Il pavimento era completamente coperto da un immacolato  tappeto rosso scuro; a destra ogni parete era nascosta da una libreria in legno lucido piena di libri di ogni grandezza, colore ed età; alcuni sembravano antichissimi, altri potevano essere del giorno prima, ma tutti erano in disordine, appoggiati gli uni contro gli altri, in piedi o in gruppi di quattro o cinque messi in orizzontale uno sull'altro.
In mezzo ad alcuni volumi c'erano anche delle pagine sparse, alcune stropicciate altre meno.
La parete opposta all'entrata era un'unica, grande vetrata che faceva apparire la stanza come fosse tre volte più grande, i cui vetri erano a forma di rombi tenuti insieme da segmenti di un metallo opaco simile all'oro.
Mi avvicinai ad essa; sentire di nuovo il calore del sole sulla faccia mi provocò un sospiro di sollievo grazie al quale potei calmarmi un po', almeno fino a quando un discreto trambusto alla mia sinistra mi ricordò che non ero sola lì dentro.
Voltandomi in cerca dell'uomo lo trovai dietro a una scrivania che definire "incasinata" non basterebbe, del medesimo legno delle librerie, che rovistava dentro ad una vetrinetta molto ampia e alta circa come lui.
Ne tirò fuori un oggetto stranissimo e a me completamente sconosciuto e lo poggiò in uno dei pochi spazi vuoti della scrivania.
Mentre lui si affacendava con un enorme mazzo di chiavi per rinchiudere la vetrina io mi avvicinai all'oggetto; la base su cui era poggiato era costituita da una saldatura di diversi metalli con forme sinuose e intrecciate, che proseguivano verso l'alto formando una struttura cilindrica divisa in sezioni dai diversi fili che avevano formato gli stessi metalli della base. La parte più bizzarra, però, era guardare cosa ci aveva infilato lui in quelle sezioni.
Sembravano pezzi di vetro, tutti di forma e dimensione simili ma rotti e frastagliati in egual modo lungo i margini.
Erano incastrati tra i fili uno di fianco all'altro, disposti quasi ordinatamente su tutti e tre i livelli che gli stessi metalli avevano formato.
Sembrava un po' quella libreria per bambini che avevo visto al negozio dove i miei genitori avevano comprato i mobili per Alina; mi era piaciuta molto quella libreria, con un cilindro a creare la struttura interna e tre mensole messe attorno ad esso che vi giravano intorno.
Con quell'affare era un po' la stessa cosa, solo che lui al posto dei libri ci aveva messo dei vetri rotti.
Mi sembrava strano, troppo strano, insomma perché mai uno dovrebbe conservare del vetro?
Ma quando passai le dita sui margini freddi e taglienti delle piccole lastre dovetti ricredermi: sembrava vetro, semplice vetro rotto.
~ Sta' attenta con quelli.~ mi ammonì l'uomo ancora intento a litigare con la serratura della vetrina.
~ Non mi taglio, non ho cinque anni.~
Anche in casa mia se mai cadeva un bicchiere tutta la zona diventava off limits, e o mia madre o mio padre facevano gli artificieri di turno col mortale compito di raccogliere i frammenti. Ovviamente guai a chi si avvicinava. Era impressionante a che velocità diventavano più pericolosi loro dei frammenti per terra.
~ Puoi anche tagliarti, non è una ferita la cosa peggiore che potrebbe succederti...~ rispose mettendosi le chiavi in tasca.
Lo sapevo che non era solo vetro!
~ E cosa potrebbe succedere?~
~ Be'...~ esitò per qualche secondo. ~ Meglio che tu non lo scopra mai.~ concluse con un sorriso stretto.
~ Questi servono per viaggiare nello spazio. Sono semplici portali.~ disse carezzando con i polpastrelli la superficie rovinata di uno di essi.
~ Come quelli di Petra Vitris?~
Parve sorpreso, per un istante, della domanda, ma poi sorrise. ~ Ma sì, possiamo dire di sì in un certo senso..Il principio è quello.~
Annuii. Ora che lo osservavo meglio mi accorsi che cominciava a piacermi quell'oggetto.
Prese a ruotare la base cercando con gli occhi un vetro in particolare e, quando l'ebbe trovato lo tirò fuori con leggerezza e lo mise sul tavolo.
~ Guarda. La riconosci?~
Mi avvicinai, e in pochi secondi riconobbi casa mia. All'interno dello specchio!
Non era un disegno o una fotografia, era come guardarla dalla finestra della casa di fronte, quella della signora Clayton.
Potevo vedere le foglie secche cadere dagli alberi strappate via dal vento, e poi accumularsi contro la siepe che separava casa nostra da quella dei vicini.
~ Perché c'è casa mia?~ domandai dopo qualche minuto passato a osservarla con nostalgia. Mi era mancata come mi era mancata la mia famiglia.
~ Perché quando ho costruito questo portale sapevo che mi sarebbe capitato di ritornarci.~
~ Li costruisci tu??~
~ Credi forse che esista un negozio apposta?~ rise. E di nuovo mi sentii sciocca.
Notai poi che non tutti gli spazi per i portali erano occupati, dunque poteva ancora costruirne un discreto numero, come diceva lui.
~ Perché costruisci portali se puoi trasportarti con i poteri?~
~ Be'... usare i propri poteri per trasportarsi in giro comporta un dispendio energetico non da poco. Mica ho più la tua età io. E usare portali è molto più elegante e sicuro. Ovviamente in caso di necessità non mi nego di prendere la via più veloce, ma se posso lo evito volentieri.~
Non faceva una piega.
~ E quanti anni hai allora?~
Lui si cacciò a ridere con una tale irruenza che mi parve di sentir tremare il pavimento, poi, scuotendo la testa divertito, mi prese il braccio e l'avvicinò al portale.
~ Appoggia la mano.~ disse riducendo a fatica il tono ancora divertito.
Lo feci.
La superficie era fredda come quella di uno specchio, ma dopo qualche secondo la sentii farsi meno rigida, quasi come se si stesse sciogliendo a causa del calore della mia pelle.
Piano piano la mia mano iniziò a scivolare verso il basso, ben oltre lo spessore del vetro, e quando riacquistai completamente la sensibilità potei sentire tra le dita lo stesso vento che vedevo muovere le foglie.
~ Oddio.~
~ Già.~
~ E adesso che succede?~
~ Adesso ti do qualche minuto per salutare tua madre in maniera decente, poi arriverò anch'io.~
~ Come, devo andare sola?!~
~ Farà tutto il portale, non ti spaventare.~
~ Ma come faccio a far~
Non feci in tempo a finire la frase che prima la mano poi tutto il braccio vennero tirati con violenza verso il basso, finché nel giro di un secondo mi sentii capovolgere e ribaltare in aria, e quando trovai il coraggio di aprire gli occhi ero veramente davanti a casa mia, sul marciapiede.
Impiegai qualche secondo a riprendermi dal forte giramento di testa, ma appena ne fui in grado corsi verso la porta.
Bussai fino a farmi male alle nocche e poco dopo la porta si aprì rivelando la figura di mia madre, che appena mi vide spalancò occhi e braccia e mi venne incontro stringendomi.
~ Angy! Tesoro, come sei arrivata qua?~
Mi era mancata tantissimo, lei, il suo profumo e il modo che aveva di abbracciarmi e soffocarmi contemporaneamente.
~ Va tutto bene mamma?~
~ Sì, sì certo che va tutto bene, ma tu! Tu come fai a essere qui? Eri sparita!~
~ Lo so, lo so sono successe delle cose e...~
Mi zittii. Il suo sguardo non era più su di me, ma alle mie spalle, e la sua espressione si era fatta cupa e arrabbiata.
~ Baeron.~ disse come fosse un insulto.
Il mio tempo da sola doveva essere scaduto.
~ Rose. È un piacere rivederti.~ rispose l'uomo alle mie spalle con un inchino.

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