Capitolo uno - Diciassette

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Il cielo, già da un po', aveva perso le tipiche sfumature del tramonto e veloci nubi luttuose ormai avevano eclissato il timido sole invernale. Tirai su il cappuccio, mentre il vento gelido agitava le pieghe del mio mantello.

«Fa attenzione»  mi aveva raccomandato mia madre quando mi affidò il compito di andare al mercato per commissionarle del filo e delle stoffe. Sbuffai perché il cesto che tenevo tra le mani cominciava a pesare, e sentivo tutte le nocche indolenzite. La puzza di pesce e di carne del mercato mi era rimasta sotto il naso per tutto il tempo, un altro fastidio che si aggiungeva alla moltitudine di disagi che stavo provando in quel momento. 

Il rumore di passi alle mie spalle ruppe il silenzio e mi meravigliai quando voltandomi non vidi nessuno. Strinsi le spalle nervosamente e accelerai il passo, mentre  il sudore che mi imperlava la fronte si congelava. Mi sentivo osservata e sapevo di avere qualcuno alle spalle che mi stava seguendo. Nuovamente sentii lo stesso rumore, ma stranamente molto più vicino. Mi insospettii molto, ma non feci in tempo a voltarmi che una mano mi tappò la bocca e venni trascinata in  uno dei vicoli stretti ai lati della strada.

Mi tranquillizzai solo quando scorsi il viso familiare di Adam.

«Ti sei spaventata» rise di gusto di fronte alla mia espressione sconvolta. Gli riservai un'occhiataccia e mi ripiegai per raccogliere le stoffe che erano finite malamente a terra a causa dello spavento.

«Sei uno stupido» lo accusai, abbassando il cappuccio con stizza.

«Avevi la stessa espressione impaurita di quando avevi sette anni e ti dicevo che l'uomo nero ti sarebbe venuto a prendere» 

«Sei tu che sembri un bambino di sette anni con questi scherzi di cattivo gusto» mi lamentai. 

Arrossii soltanto quando mi accorsi che la distanza che ci separava non era molta, aveva ancora il braccio stretto alla mia vita mentre i nostri petti si sfioravano. Se qualcuno ci avesse visto avremmo dato inizio solo a falsi ed inutili pettegolezzi che era meglio evitare. Liderlick era un piccolo paesino dell'Irlanda e le voci giravano velocemente. 

Io ed Adam ci conoscevamo da più di dieci anni, da quando lui era solo il bambino che aiutava suo padre al panificio ed io la figlia della sarta. Ora di quel bambino non era rimasto nulla. Adesso era un uomo con il fisico definito e il sorriso rassicurante, ed era anche diventato abbastanza richiesto da moltissime ragazze del villaggio. Lui forse si accorse di quanto fossi a disagio che si allontanò e si poggiò con la schiena al muro di pietra.

«Comunque ti ho portato qui per darti questa» tirò fuori dalla giacca quella che sembrava una lettera e una scatolina allungandole verso di me.

«Lo sai che non dovevi» gli sussurrai sentendo le guance tingersi di rosa.

«Sì invece che dovevo» mormorò nervosamente passandosi una mano tra i ricci scuri.

Mi sentii improvvisamente in imbarazzo, era così strano il comportamento di Adam. Aprii la scatolina che mi aveva appena dato e non appena l'aprii spalancai gli occhi di fronte alla collana che mi aveva regalato. Era d'oro e aveva un ciondolo con una splendida rosa piena d piccoli diamantini. 

«Non posso accettarla» gli dissi chiudendo di scatto la scatola.

Mi guardò confuso «Perchè? Non ti piace?»

«No, è bellissima. Ma ti sarà costata una fortuna, non posso accettarla »

«Aisleen non importa quanto mi sia costata. Tienila per favore, è un mio regalo per te » 

Blood Ties - Il principe dei dannati (#Wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora