Prologo - Lui è morto

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Prologo - Lui è morto

Continuavo a stringere le braccia intorno alle ginocchia, dondolando convulsamente avanti e indietro ad una velocità fin troppo elevata. Gli occhi fissavano un punto indefinito della stanza, ma in realtà non stavano osservando nulla: erano ciechi, non vedevano niente.

Anzi, in realtà qualcosa stavano guardando: una figura sfocata e dai contorni indefiniti, a pochi metri da dove mi trovavo. La stanza era buia, ma un fascio di luce entrava dalla piccola finestra posta in alto davanti a me. La luna mi stava illuminando il volto, permettendomi di intravedere quella persona che avevo di fronte.

Non si era ancora mossa e mai lo avrebbe fatto: era anch'essa seduta come me, a dondolare per qualche strano motivo. Non potevo vedere i suoi occhi, ma ero più che sicura che mi stesse fissando.

Fin ora, ero io l'unica ad aver parlato, senza aver mai ottenuto una risposta.

I miei pugni si strinsero ulteriormente, la voce si incrinò.

«Lui è morto, lui è morto» continuavo a mormorare.

Nelle mie orecchie echeggiavano i rombi degli spari, le urla di dolore, il vento che turbinava alzando con sé foglie secche e cenere.

«Sono stata io, io l'ho ucciso.»

Chiusi gli occhi ma subito li riaprii, per la paura che quella figura scomparisse senza dire nulla. Allungai una mano sul fianco, afferrando il metallo freddo del pugnale. Questo mi rincuorò, facendomi sentire protetta e al sicuro.

Subito dopo essermi assicurata che gli unici due elementi che occupavano la stanza fossero ancora insieme a me, ripresi a dondolarmi sul posto.

Un fulmine cadde non lontano da casa mia, illuminando a giorno la stanza. Il suo rombo mi spaventò, per cui il mio cuore cominciò a correre all'impazzata. Le voci nella mia mente aumentarono per sovrastare tutto quel frastuono, facendomi rabbrividire.

Strinsi con più forza le ginocchia, poggiandovi il naso e respirando velocemente. Il calore del mio alito sulle gambe mi stava scaldando il viso, ma ero continuamente scossa da fremiti di freddo e paura.

La persona davanti a me era ancora immobile, nella stessa posizione di prima. Ora riuscivo ad intravedere una luce all'altezza del suo volto. Mi concentrai su di lui, fino a quando un altro fulmine illuminò l'ambiente.

Riuscii a vedere le sue fattezze ed ebbi un fremito più lungo degli altri: i suoi capelli erano neri, perfettamente ordinati, il naso dritto e fine, le iridi azzurre come il cielo d'agosto con alcune scaglie viola.

Spalancai gli occhi per la paura, il mio corpo era ormai percorso dalle convulsioni.

«Noooo!» urlai fino a quando mi mancò il fiato e la gola cominciò a bruciare. Nascosi il volto tra le ginocchia, per non essere costretta a guardarlo in faccia.

Sentii la porta alle mie spalle spalancarsi e qualcuno accese la luce, fiondandosi poi su di me.

«Tesoro, sono qui» disse la voce rassicurante di mia madre, mentre si inginocchiava accanto a me e mi obbligava a tirare su la testa. Incontrai i suoi occhi preoccupati e così verdi, simili ai miei. Spesi un secondo solo per controllare che fosse effettivamente lei, per poi cercare con lo sguardo quella figura.

Non mi sorprese il trovare semplicemente un muro bianco. Non mi sorprese il non incontrare il suo volto, le sue iridi così strane e così attraenti.

«Kim, stai bene?» domandò Hilda, spostandomi i capelli umidicci dal volto. Avevo sudato freddo e sentivo la mia pelle appiccicosa, una sensazione sgradevole.

I tremiti erano passati e ora respiravo a bocca aperta per far calmare il cuore che, come al solito, correva all'impazzata dentro il mio petto.

«Mamma, è tutta colpa mia» fiatai, continuando a fissare il muro. Spostai poi i miei occhi su di lei, stringendo le labbra. «Lui è morto, l'ho ucciso io!»

Hilda scosse la testa e mi strinse tra le braccia, mentre io scoppiai a piangere per l'ennesima volta. Da diverse settimane a quella parte era una routine quotidiana: entravo nella stanza degli allenamenti con l'intenzione di mantenermi in forma, e mi ritrovavo seduta sul pavimento a fissare il vuoto, immaginando che lui fosse davanti a me.

«Stai calma Kim, va tutto bene. Sono qui con te.»

Mi aggrappai alle spalle di mia madre, cercando di cacciare le brutte immagini che stavano affollando la mia mente, ai terribili suoni della battaglia e le urla.

«Lui è morto, lui è morto» ripetevo all'infinito.

«Tranquilla Kim» mi rassicurò mia madre, stringendomi sempre più. «Sistemeremo tutto, in un modo o nell'altro. Te lo prometto.»

Scossi la testa e strizzai gli occhi. «Lui è morto, lui è morto.»

Die Another DayWhere stories live. Discover now