Capitolo 8 - Sincerità

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Nicolas

Mi ripetei per un intera giornata che non dovevo pensarci, avrei dovuto pensare al corso, al mio progetto e al mio futuro alla Columbia.

E invece ogni volta che chiudevo gli occhi rivedevo lo sguardo di Emily. Ma non quello finto, non quello distaccato, quello vero, quello che aveva tradito un emozione che lei non voleva permettersi, che non voleva mostrare.

Decisi di andare avanti come se niente fosse. Non per dimenticare, ma per non complicare ulteriormente la sua posizione e forse anche la mia.

Quella settimana lavorai più del solito al mio racconto. Scrivevo fino a tardi, cancellavo, riscrivevo, cambiavo interi paragrafi. Non per impressionarla. O almeno, non solo per quello. La verità è che volevo darle qualcosa che mi somigliasse davvero. Qualcosa che potesse leggere senza sentire il peso della mia confessione. Qualcosa che la riportasse a vedermi come uno studente... Anche se io non riuscivo più a vedermi così.

Il giovedì mattina, quando entrai in aula, lei era già lì. Stava sfogliando dei fogli, il viso concentrato, la postura rigida. Ma c'era un'ombra diversa nei suoi movimenti. Qualcosa che prima non c'era. Mi sedetti al mio posto, cercando di non guardarla più del necessario. E fallii dopo esattamente cinque secondi.

Lei sollevò lo sguardo proprio in quel momento. Ci incrociammo. E invece di distogliere gli occhi, restò lì. Solo per un istante, poi si voltò verso la cattedra come se si fosse scottata.

Quello sguardo, però... Valeva tutti i miei giorni di agitazione. 

La lezione scorse senza intoppi. Lei parlava in modo chiaro, sicuro, ma ogni tanto la sua voce cambiava tono, come se si ricordasse che io ero lì. E io non potevo far finta di niente. Non più.

Alla fine della spiegazione, assegnò un nuovo esercizio.

«Vorrei che provaste a scrivere una scena in cui un personaggio deve dire qualcosa che non può dire apertamente.» annunciò. «Usate sottotesto, pause, gesti, tutto ciò che serve per far capire al lettore cosa provano senza dichiararlo apertamente.»

Il mio stomaco si strinse. Era impossibile non pensare a ciò che era accaduto tra me e lei. Ma poi aggiunse una frase che non era necessaria. Una frase che cambiò tutto.

«Ricordate: a volte ciò che non viene detto pesa più di ciò che si dice.»

E per un secondo, guardò solo me.

Io sentii quella scintilla che cercavo di spegnere da giorni ormai, riaccendersi completamente.

Quando la lezione finì, feci finta di sistemare le mie cose più lentamente degli altri. Non volevo parlarle, non volevo metterla in difficoltà... ma avevo bisogno di vedere se lei avrebbe evitato un qualsiasi contatto visivo.

E invece, quando rimase solo un piccolo gruppo di studenti, lei fece qualcosa che non mi aspettavo. Si avvicinò ai banchi centrali per raccogliere alcuni fogli lasciati lì. E per farlo, passò proprio accanto al mio posto. Troppo, troppo vicino.

Forse un semplice caso o forse no.

Il suo profumo era come una droga per me, non riuscivo a farne a meno, era dolce, delicato, era come se ti abbracciasse.

Lei si chinò per prendere un foglio caduto. Una ciocca di capelli le scivolò sulla guancia. Mi ritrovai a fissarla senza riuscire a fermarmi. Lei lo sentì. Lo so perché si irrigidì appena. E quando si rialzò, si voltò verso di me per un istante. Un istante breve, ma diverso da tutti gli altri. I suoi occhi non erano freddi. Non erano distanti. E non erano neutri. Erano... vivi. Pericolosamente vivi.

«Signor Donovan.» disse quasi sottovoce, come se temesse che qualcuno potesse ascoltare, «La prossima settimana, ci sarà un colloquio individuale per valutare i progressi dei lavori. Ogni studente avrà un incontro di venti minuti con me.»

Annuii, anche se avevo capito che quella frase mi era rivolta in un modo diverso dagli altri.

«Sarò preparato.» risposi.

Lei abbassò lo sguardo, come se stesse combattendo contro qualcosa.

«Lo spero.»

Poi tornò alla cattedra. E io capii esattamente cosa significava.

Non stava cercando di allontanarmi. Stava solo cercando di proteggere entrambi. E questo, paradossalmente, la avvicinava ancora di più.

Mentre uscivo dall'aula, sentii finalmente la verità che stavo cercando di negare scivolare in superficie. Non era più solo attrazione. Non era più una cotta. Non era più un errore. Era qualcosa che stava crescendo. Per lei. Nonostante tutto. E, in fondo, avevo la sensazione inquietante, ma irresistibile, che anche lei lo sapesse.

Un amore non previstoWhere stories live. Discover now