23. Un sentimento difficile

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"Modesto" commentò Gi-hun, ricevendo un'occhiata orgogliosa da Hannibal. Attraccarono pochi minuti dopo al personale porto della coppia, dov'erano ormeggiate altre cinque barche di dimensioni e lunghezze differenti. La bellezza di quel posto colpì profondamente Gi-hun, ma mai quanto l'attenzione ai dettagli. Sotto agli alberi secolari c'erano file armocromatiche di alberi da frutto e cespugli, che terminavano con una serra che doveva racchiudere l'orto. Il sentiero era realizzato con armoniose figure geometriche dai colori lievi e i recinti erano tutt'altro che gretti. Passarono sotto a uno splendido arco di rose circondato da un'aiuola magnifica e solo allora comparve il cancello grande, quello circondato da una siepe altra e millimetrica da risultare maniacale, dov'era apposto un cartello in legno splendidamente dipinto e scritto che recitava 'attenti ai padroni'. Gi-hun non seppe sinceramente se ridere o piangere per quel senso dell'umorismo tanto sfacciato e irrispettoso ma non ebbe tempo di pensarci che un esercito di cani lo assalì.

Gi-hun non aveva mai avuto paura dei cani ma era anche vero che si trattava non solo dei cani di due killer cannibali ma anche di una cosa come almeno trenta cani a occhio e croce. "Ehi!" La voce di Will si trasformò come non l'aveva mai sentita, si chinò in ginocchio e sparì dalla vista per una manciata di secondi prima di riemergere. Era incredibile come tutti i cani fossero corsi da lui eccetto uno e Gi-hun ricordò vagamente la conversazione avuta due sere prima. Quello era il dobermann di Lecter, Shiva, magnifico col suo manto grigio scuro senza imperfezioni, agitava lievemente la coda e cercava le carezze dal suo padrone preferito. "Ben tornati". Una donna attraente e palesemente orientale venne avanti con un fucile in spalla come se fosse appena tornata dalla caccia. "Chiyoh, grazie per aver dato da mangiare ai cani" sorrise Hannibal "È sempre un piacere aiutare gli amici" replicò la donna "Loro devono essere gli ospiti. Non sapevo fossero delle mie parti" "Non proprio delle tue parti" la informò Hannibal "Corea del Sud" "Mh, non ci sono mai stata. Siamo comunque vicini di casa".

"Resti a cena insieme a noi?" Domandò Hannibal gentilmente "No grazie, torno sulla terraferma per la notte. Vado a vedere che combina mio marito" "Dagli un caro saluto da parte nostra" aggiunse Lecter, congedando l'amica con un educato cenno del capo. "Bene, sembra che saremo di nuovo noi in quest'avventura" proseguì Hannibal, per nulla turbato "Entriamo e lasciamo che Will finisca di salutare tutti i cani da solo". Senza la minima intenzione di lamentarsi della cosa Gi-hun seguì Lecter e In-ho in casa. Aveva capito che avrebbe trovato del lusso dentro casa e non rimase deluso, tutto il contrario: vasi pregiati e laccati colmi di fiori magnifici adornavano angoli con tappeti splendidi; tende drappeggianti di seta erano in tinta con i divani in velluto. Quello che però Gi-hun non si sarebbe mai aspettato erano tanti dipinti ovunque di Will. Possibile quell'uomo fosse tanto megalomane!?

"Vi porto nelle vostre camere" disse subito Hannibal, guidandoli sulla scalinata in marmo del primo piano a vista. "Perdonate la fretta, dopo prometto di mostrarvi la casa con la massima attenzione ma ho prima bisogno di fare una doccia" "Nessun problema, resteremo nelle nostre camere senza curiosare" assicurò In-ho. "Questa è la tua camera In-ho, quella di Gi-hun è questa adiacente. Bene, ci vediamo a cene, allora" "Grazie dottore". Sia In-ho che Gi-hun entrarono ciascuno nella propria camera, separandosi momentaneamente. Il gusto del resto della casa continuava nella seta delle coperte, nei fiori e nei tappeti, ma la camera aveva un inquietante palco di corna in alto sul letto, tende di un grigio cupo e un maledetto quadro di Graham. Con una smorfia Gi-hun uscì dalla camera e si infilò in quella di In-ho senza bussare "Gi-hun" mormorò l'altro "Anche nella tua camera ci sono le corna" notò "E un quadro di Will! Che problemi ha quell'uomo per tappezzare casa con suoi ritratti!?"

Inaspettatamente In-ho rise "È Hannibal" rispose "Lui disegna come un artista e ha la fissa di raffigurare continuamente Will. E dopo appende i ritratti per la casa" "Spero ce ne sia uno al cesso, lì mi sarebbe utile" "Gi-hun!" Esclamò In-ho, trattenendo una risata "Non farti sentire, Hannibal non la prendere bene se tu parlassi così di Will. Finiresti male". In risposta Gi-hun lo baciò sino a spingerlo sul materasso e subito dopo si levò il maglione "Ti voglio" mormorò "Adesso" "Anche io"  rispose piano In-ho "Aiutami" "Con piacere". Fecero sesso ancora e poi Gi-hun scappò in camera sua per farsi la doccia. Si sentiva un ragazzino ad avere quel comportamento ma non riusciva veramente a evitarlo. Se sui suoi sentimenti poteva lavorare, il desiderio costante di In-ho era incontestabile. Lo desiderava sempre,  in ogni circostanza e in tutte le posizioni. La cena arrivò e Gi-hun si sforzò di parlare il meno possibile per non discutere, era di buon umore dopo il sesso e non voleva guastarlo, e fortunatamente Will era troppo preso dalla riunione con i suoi cani e dalle mani del marito che lo sfiorava di continuo, eccitandolo palesemente, affinché si curasse di lui.

Dopo la cena Gi-hun e In-ho salirono ciascuno nella propria camera per dormire, entrambi troppo stanchi per altro sesso quel giorno. Gi-hun si infilò la tuta per dormire, staccò il quadro di Will e poi provò ad addormentarsi. La luce della luna filtrava macabra dalla finestra e le tende cupe oscillavano in maniera strana. Gi-hun alzò il capo e il palco di corna parve proiettare la sua ombra in maniera mostruosa. Mentre tentava di scacciare quelle fantasie deliranti partì della musica con una sorta di pianoforte, sicuramente una famosa ma che lui non riusciva a riconoscere. Grave, solenne, cupa. Gli venne un brivido. E poi risate, accompagnate dall'abbaiare dei cani. Col respiro pesante Gi-hun si ritrovò a scattare in piedi, con la spiacevole sensazione di essere incappato nel castello del conte Dracula. Si ritrovò a entrare in camera di In-ho, mettendosi subito a sedere sul suo letto "Gi-hun" mormorò l'altro. Era a letto con la luce della bajour accesa, leggendo un libro d'arte con il petto nudo. Sexy e raffinato.

"Non dormi?" Gi-hun dissentì "Mi sembra di essere nel castello di Dracula" ammise con una risatina, tentando di mascherare l'imbarazzo che sentiva nel dire una cosa del genere. "Sai che il padre del dottor Lecter era un conte in Lituania? Lui è,  tecnicamente, Conte Hannibal Lecter VIII" Lo informò In-ho "Gli omicidi e il sangue ci sono di sicuro" replicò Gi-hun "Sì, anche i cani che ululano" "E un ospite sacrificabile" proseguì Gi-hun, accennando a sé stesso. "Hai paura?" Domandò In-ho "Sono inquieto" rettificò Gi-hun "Vuoi restare in camera con me?" Propose In-ho "Io stavo andando a dormire" "Se insisti". In-ho chiuse il libro e lo invitò sotto le coperte con lui. Gi-hun non perse tempo e si infilò lì di fianco "Grazie per l'invito" mormorò, avvicinandosi "Grazie a te". Si baciarono, poi In-ho lo carezzò sul volto e Gi-hun lo strinse in un abbraccio. Ricordò il desiderio che aveva avuto di abbracciarlo quando l'aveva sentito parlare della solitudine.

Adesso però era pronto a stringerlo. Lo tirò gentilmente contro il suo petto e lì lo baciò "I tuoi occhi sono i più belli che abbia mai visto" mormorò, arrossendo un poco nel fare quell'ammissione "Ti amo, Gi-hun". Gi-hun sentì il battito accelerare pericolosamente "In-ho" disse senza voce "Non voglio che tu dica niente" rispose In-ho, mordicchiandosi il labbro inferiore con le gote dolcemente arrossite "Accettalo se puoi, mi basterebbe questo. Hai mandato in frantumi anni di ideologia. Non voglio che tu ricambi, solo che mi abbracci per questa notte". Gi-hun, gli occhi lucidi e il cuore che ancora batteva forte nel petto, lo guardò in silenzio e poi lo strinse dolcemente. I brividi forti che seguirono, mescolati alla vicinanza e al profumo di In-ho, lo fecero cedere nuovamente e il proposito di dormire andò in frantumi con una naturalezza imbarazzante. "Se mi ami come dici" mormorò Gi-hun, spingendosi In-ho addosso "Fammelo sentire". Aveva ancora la situazione sotto controllo, di questo volle convincersi Gi-hun, non avrebbe mai amato veramente In-ho se non in quel modo, l'unico modo accettabile, e di lui avrebbe capito soltanto quanto le sue spinte gli facessero bene. Ogni volta che facevano sesso il dolore spariva, la rabbia mutava in frenesia e non c'erano menzogne che uscissero dalla bocca, solo gemiti di piacere. Ci volle un po' di tempo per consumare la voglia e prendere sonno ma quando Gi-hun lo fece il suo sonno fu quieto, cullato dal profumo della pelle di In-ho e dall'orrido compiacimento di essere amato.

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