Phobos - Capitolo II

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La sala del trono del castello di Ingborn era definita la "Perla Del Regno" grazie alla fastosità dei suoi arredi bianchissimi, intarsiati d'oro e pietre preziose. Il grande trono stesso, di candido alabastro perfettamente levigato e ricavato da un'unica roccia, era quasi abbagliante nella sua maestosità e raffinatezza: lo schienale si espandeva verso l'alto e i lati formando le ali spiegate e la testa di una imponente e minacciosa fenice, simbolo della città, che sembrava fissare negli occhi l'interlocutore al cospetto del Sovrano, aumentandone il carisma e l'autorità.
Ora, però, quel trono era vuoto.
Il genearle Hadres era seduto su una delle sedie, anch'esse laccate bianche, accostate al muro e riservate ai consiglieri. Chino sulla schiena, si teneva la testa tra le mani con i gomiti appoggiati alle ginocchia. Era sfinito, stava affrontando la peggiore crisi che il regno di Ingborn avesse mai attraversato e sentiva sulle sue vecchie spalle tutto il peso della responsabilità di porvi fine, il più presto possibile.
Una settimana.
Era passata una settimana da quando il Re e la Regina erano stati brutalmente assassinati dall'Elfo e da allora tutti i banditi, i tagliagole e i mercenari del regno si erano uniti contro l'autorità del castello, cercando di approfittare dell'assenza dell'autorità di un sovrano. Normalmente sarebbe stata solo un' accozzaglia di dilettanti, facilmente sgominabile da un piccolo plotone di guardie, ma erano stati tutti privati della capacità di provare paura da quel demone e diventava estremamente complicato fermarli: non indietreggiavano di fronte a nulla e combattevano come degli animali feroci nonostante ferite e mutilazioni, fino alla morte. L'esercito aveva subito moltissime perdite e l'ondata di attacchi non accennava a diminuire, ovunque comparivano manipoli di uomini armati fino ai denti che creavano disordini tra la popolazione, saccheggiando e uccidendo. Ma la cosa peggiore era che nessuno riusciva a capire qual'era il disegno dietro tutto questo.
«Cosa diavolo vuoi, maledizione!»
L'urlo improvviso del generale riecheggiò nella sala, spaventando il capitano Yarn che stava arrivando al suo cospetto.
«...le stavo portando le ultime notizie dalla città, signore...» disse allora con voce tremante il giovane ufficiale.
Hadres alzò il viso verso il ragazzo, sbuffando.
«Non erano rivolte a te le mie parole, Yarn. Che novità mi porti?»
«Non buone purtroppo, Signore. Altri due gruppi di banditi sono comparsi: uno alla porta est e uno al mercato. »
Al generale sfuggì un'imprecazione, che Yarn fece finta di non aver udito.
«Li avete fermati?» quasi ruggì poi.
«Sì, Signore. Ma abbiamo avuto altre perdite. Quei...mostri...non si fermano neanche quando gli si tagliano entrambe le braccia. E' spaventoso...»
Hadres riappoggiò la faccia sulle mani per un momento, per poi passarsele sulla nuca. Poi si alzò in piedi, ergendosi in tutta la sua imponenza. Era sulla sessantina, ma il fisico era ancora quello della giovinezza. Non aveva smesso neanche per un giorno di allenarsi e questo era uno dei motivi che lo rendevano così rispettato dai suoi uomini. il viso tirato, però, faceva ora trasparire tutto il peso degli anni.
«Dobbiamo trovarlo.» affermò poi.
«Lo stiamo cercando, Signore, ma quell'essere sembra un fantasma, lo sa bene.» rispose Yarn, perplesso.
«Non intendo l'Elfo, ma il Berserk.»

Quasi vent'anni prima, il sovrano di Ingborn, padre di quello appena scomparso, aveva intrapreso una guerra contro il popolo degli elfi. La "stirpe maledetta", come era definita all'epoca, aveva raggiunto l'apice della potenza e minacciava le terre degli uomini con continui attacchi nelle terre di confine. Gli elfi sembravano non avere scrupoli nell'utilizzare le loro arti malefiche per soggiogare la popolazione: erano in grado di "nutrirsi" delle emozioni degli uomini per poi usarle a loro piacimento. Gli uomini venivano così privati dell'amore, dell'odio, della tristezza e soprattutto della paura, diventando fantocci nelle mani dei nemici. L'esercito del regno non riusciva a contenere gli attacchi e innumerevoli perdite umane costrinsero il Sovrano a ricorrere all'aiuto della tribù dei Berserk: una misteriosa comunità di guerrieri che vivevano sulle impervie montagne del nord. Le leggende raccontavano che questi "uomini" fossero privi di qualsiasi sentimento, se non quello della furia in battaglia. Grazie a questa caratteristica, potevano essere immuni alle arti elfiche. Il re mandò quindi dei messaggeri al villaggio dei Berserk. In tre partirono, uno solo ritornò, accompagnato da un unico guerriero, il cui nome non è mai stato reso noto, si sa solo che era un ragazzo. Il Sovrano si adirò, ritenendo un affronto che gli fosse stato dato solo lui come aiuto, ma il ragazzo, senza proferire parola, partì per i territori elfici.
Da solo.
Dopo tre giorni e tre notti, tornò a Ingborn, ricoperto di sangue scuro e con la testa del Re elfico Varomas infilata su una picca. Dopo averla gettata ai piedi del trono, gli fu chiesto quale fosse la sua ricompensa. A questo punto, il Berserk pronunciò le uniche parole che furono udite dalle sue labbra.
«Una generazione.»
Il Sovrano e i generali, tra i quali vi era lo stesso Hadres, non capirono anche perchè, detto questo, uscì da palazzo per non farvi più ritorno.
Fu chiaro il giorno seguente, quando si scoprì che almeno una decina di fanciulle, tutte appartenenti alla nobiltà, erano state rapite senza che nessuno se ne fosse accorto.
Furono mandate più di una guarnigione di soldati al villaggio nelle montagne, ma nessuno fece ritorno. Non vivo.
Alla fine, la città si arrese e nessuno sentì più parlare dei Berserk. Come degli elfi, sterminati fino all'ultimo da un solo, terribile guerriero.
Almeno era quello che si credeva.

Yarn spalancò gli occhi e la bocca.
«Ma...Signore...non credo che serva arrivare a tanto...»
Il generale alzò la mano destra per far segno al ragazzo di interrompersi.
«Se non ne fossi costretto non lo farei. Ma non c'è altra soluzione. Non importa che sia uno o un esercito, e ne ho avuto la prova in questi giorni, per sconfiggere quei demoni sono necessari altri demoni. Non possimo prenderci il lusso di aspettare oltre. Organizza la spedizione per il villaggio dei Berserk ed io ne farò parte. Questo è tutto, puoi andare.»
L'autorità e la fermezza con le quali aveva impartito l'ordine non lasciavano dubbi, la decisione era presa: il regno di Ingborn doveva ancora una volta mettersi nelle mani di quel popolo di uomini senza cuore.
«Certo, Signore...ai suoi ordini.» disse allora Yarn, dopodichè si girò e si diresse verso la porta. Prima di uscire si fermò e senza girarsi si rivolse al suo superiore.
«Solo una cosa, se mi permette, Signore.»
Hadres immaginò subito quale fosse l'argomento.
«Prego, capitano.»
«Spero che la ricompensa che chiederanno non sarà la stessa di vent'anni fa...altrimenti...»
«Non preoccuparti, Yarn. La tua sposa sarà tenuta al sicuro»
Il ragazzo non rispose, si limitò a un titubante cenno del capo, dopodicè si allontanò.
«Dopotutto, è mia figlia...» aggiunse poi il Generale tra se e se.

***

La bufera di neve non accennava a diminuire, erano oramai delle ore che il vento spazzava le cime delle montagne. Il cielo nero e senza stelle non avrebbe dato neanche al più abile perlustratore il benchè minimo riferimento. Senza nemmeno la luce della luna, il pericolo di finire in un crepaccio improvviso avrebbe fatto desistere chiunque, ma non la figura nera incappucciata che avanzava con passo sicuro in quell'oscurità, nonostante la neve le arrivasse alle ginocchia. Gli occhi luminosi vedevano perfettamente al buio e il freddo non era un problema per lui, il suo sangue era gelido.
Improvvisamente il vento calò di intensità e la neve smise di cadere. Delle luci in lontananza preannunciarono l'approssimarsi della meta.
La figura fermò il passo e rimase per un momento in ascolto. Con un movimento fulmineo, estrasse la spada nascosta dal mantello e deviò la freccia diretta alla sua fronte.
«Questi giochetti con me sono inutili, fatevi vedere.»
Due figure, copletamente ricoperte di neve, comparirono come dal nulla nell'oscurità a pochi passi di distanza.
«Sei incauto, elfo. » disse una delle due « Presentarsi da solo nel villaggio dei Berserk sapendo bene che le tue arti oscure sono inutili equivale a un suicidio.»
«Sono solo perchè la mia gente è stata sterminata da uno di voi.»
«Quindi è questo che cerchi: vuoi raggiungerli allo stesso modo. Nobile, da parte tua.» il tono del Berserk era di scherno.
«Sbagliato, è il vostro turno di raggiungere l'oltretomba.» Accompagnò queste parole con il movimento della lama, puntandola verso le due vedette.
Dalla spada si espanse un bagliore azzurro che investì i due Berserk, senza lasciare loro la possibilità di muoversi.
Dopo qualche istante, il bagliore si spense.
«Ma...cosa...» la voce tremante del Berserk si perse nelll'aria gelida, mentre la sua testa cadde nella neve disegnando una rosa scarlatta. L'altro, riuscì a stento a voltarsi e fuggire. Provava una sensazione sconosciuta: il sangue gli si era gelato nelle vene, mentre una morsa gli attanagliava lo stomaco.
Paura. Provava puro e autentico terrore.
Le gambe erano pesanti, ma cercò di correre via il più velocemente possibile.
«Gli esseri umani alimentano l'istinto di sopravvivenza grazie alla paura. Non c'è niente di più potente del terrore della morte per dare forza alle proprie difese.»
Il Berserk sentiva la voce dell'elfo direttamente nella sua testa e questo non faceva che aumentare il suo senso di panico.
«Un uomo privato della paura non è più in grado di capire fin dove può spingersi per evitare la morte. Su questo facevano affidilamento i miei simili: privando i nemici della possibilità di difendersi ne avevano facilmente il sopravvento, sapendo come portarli verso i loro limiti.»
Continuava a correre, inciampando e rialzandosi. La testa sembrava che gli scoppiasse e aveva le membra scosse da spasmi.
«E' stato l'errore che ha decretato la fine della mia gente. Voi Berserk siete addestrati fin dalla culla a ignorarla, a fare affidamento solo sull'istinto innato del predatore che si cela nel profondo dell'animo. Contro di voi le nostre arti erani quindi inutili e la nostra scarasa destrezza in combattimento ha reso troppo semplice il compito del vostro compagno. Ma ora le cose sono cambiate, come hai potuto constatare tu stesso.»
Le luci del villaggio erano vicine, ce l'avrebbe fatta! Alla fine del pendio sarebbe arrivato dai suoi compagni e....
L'elfo gli sbarrò la strada. Gli COMPARSE davanti agli occhi, come una nuvola di fumo nero. Un luccichìo nel buio, poi più nulla.
Anche la sua testa cadde nella neve, ma invece di restare accanto al corpo, cominciò a rotolare verso le porte del villaggio.



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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 14, 2015 ⏰

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