Angelo azzurro.

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Angelo azzurro.





Era quasi trascorso un anno, eppure l'appartamento con quella finestra da cui si vedeva il sole sprofondare nel mare non era cambiato più di tanto. Al contrario, era sempre lo stesso, quasi immutabile come un'opera d'arte. Ma, beh, era comunque passato quasi un anno, e seppure quelle mura fossero sempre le stesse, al loro interno era tutta un'altra storia.

Dove prima pareva di vedere due vite distinte, ora sembrava che le due entità fossero diventate una sola. I due letti singoli - ognuno contro una parete opposta all'altra - erano stati sostituiti da un letto matrimoniale dalle lenzuola celesti e il piumone blu notte; le due librerie dall'ordine maniacale erano diventate una più grande, con più spazio sia per i libri di lei che per i fumetti di lui, e la stessa cosa era accaduta per gli armadi - avevano sostituito i due piccoli armadi con un guardaroba più capiente, diviso metaforicamente in due.

Ma per il resto era rimasto più o meno tutto lo stesso. Su uno dei due comodini stava una sveglia e un vaso da fiori riempito di pennelli dalle morbide setole più o meno rovinate a seconda dell'uso, mentre sull'altro era posata disordinatamente una pila di fumetti, un paio di accendini scarichi e un pacchetto di sigarette quasi finito. La scrivania della ragazza era rimasta, come sempre cosparsa di bozzetti che non aveva il tempo di finire e di appunti di letteratura straniera che sembravano non avere un senso ma che sotto sotto erano messi in ordine, anche se in un ordine che capiva soltanto lei. Il cavalletto per dipingere era ancora di fronte alla finestra, e la maschera di stoffa che solitamente se ne stava sulle piastrelle vi era appesa sul retro - la ragazza la teneva lì come ispirazione, e il ragazzo non poteva far altro se non sorridere ogni volta che la notava appesa al cavalletto di legno.

Era quasi trascorso un anno, ed entrambi erano andati avanti con i propri studi. C'era chi sognava di aprire una piccola pasticceria e chi passava nottate intere sui libri di giapponese per diventare interprete. Era trascorso un anno, e le treccine blu erano aumentate tra i capelli di Anna, mentre Luca stava facendo crescere i capelli quanto bastava per tenerli legati in un piccolo codino sulla testa, ma continuando a rasare i lati. Era trascorso un anno, ma i loro occhi erano gli stessi, cambiavano solamente gli sguardi che si lanciavano - più sfacciati, lussuriosi, insistenti.

Una risata divertita riempì l'aria all'improvviso, seguita da un'altra più profonda ma allo stesso tempo più bassa, come fosse attutita da qualcosa. Le treccine che quasi le riempivano la testa andavano dal celeste - che in realtà era tanto chiaro da sembrare bianco - al blu notte che era tanto scuro da apparire quasi nero. Quasi nero, come i suoi occhi; con quelle ciglia lunghissime che quando le abbassava quasi sfioravano gli zigomi e la riga di eyeliner sbavato dalla notte precedente che le rendeva lo sguardo già scuro ancora più magnetico, sensuale, profondo; con quelle iridi, ora nascoste dalle palpebre, in cui sembrava di vederci il mare anche se erano colorate coi pigmenti della terra e delle cortecce degli alberi.

Aveva gli occhi chiusi e rideva come riusciva a fare solo in quei momenti, solo con lui, Anna. Teneva le palpebre abbassate per evitare di guardare nei suoi occhi e sciogliersi completamente - anche se sapeva che sarebbe successo ugualmente, senza bisogno di vedere i suoi occhi castani con quelle dannate pagliuzze dorate, senza bisogno di ammirare il velo di barba che gli ricopriva le guance, senza alcun bisogno di osservare le sue labbra con gli occhi che le brillavano come illuminati da una stella che però in quel momento non c'era. Bastava immaginare, in realtà, e si sarebbe sciolta su se stessa come se niente fosse.

Sentiva le ciglia di Luca - lunghe quasi quanto le proprie - sfiorarle delicatamente le guance, mentre invece quelle labbra che tanto non cessava di immaginare rimanevano a distanza, senza toccarla ma lasciando la propria scia col respiro che sapeva di fumo di sigarette e di RedBull. «Ce l'hai ancora con me, principessa?».

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