Il secondo giorno, il silenzio era ancora più rumoroso.
Alle sette del mattino il paddock era già in pieno movimento. Il cielo era grigio, e il vento che si infilava tra le tende sembrava voler testare la resistenza di tutti, me compresa. Arrivai prima del solito, con la macchina fotografica già pronta e le dita che tremavano leggermente,più per l'adrenalina che per il freddo.
Il giorno prima avevo imparato una lezione importante: qui nessuno ti aspetta. Devi esserci. Devi meritartelo.
Mi aggirai tra i box ancora mezzi vuoti, cercando di immortalare dettagli che di solito passano inosservati: una mano che stringe un bullone, la tensione negli occhi di un ingegnere, la quiete prima della battaglia. Poi, dietro il rumore ritmico di un compressore, la sua voce.
"Occhi puntati già all'alba? O sei venuta a controllare se davvero ho la faccia da serial killer anche prima del caffè?"
Mi voltai. Max era appoggiato al tavolo accanto alla macchina del caffè, con la tuta mezza abbassata e il viso ancora segnato dal sonno. I capelli spettinati. Ma lo sguardo era sveglio. Tagliente come sempre.
"Pensavo di fare una foto al volto umano dietro il campione. Ma se non esiste, mi concentro sulle gomme", risposi, senza abbassare lo sguardo.
"Saggia decisione. Le gomme parlano meno e giudicano solo quando le distruggo in pista"
Si avvicinò lentamente, caffè in mano, osservandomi come se stesse cercando un punto debole, o forse solo un motivo per tenermi a distanza.
"Ti diverti, finora?" chiese dopo un momento.
"Mi guadagno il posto. Il divertimento viene dopo"
Fece un mezzo sorriso, quasi un cenno di approvazione.
"Hai imparato presto."
Stava per andarsene quando si bloccò, voltandosi appena.
"Ah, ieri... la foto della partenza. Quella dall'alto. Era tua?"
Annuii, sorpresa che l'avesse notata.
"Non male", disse. Una pausa. Poi, più piano:
"L'hai presa nel momento esatto. Prima che tutto esploda"
Una frazione di secondo. Un complimento vero, anche se buttato lì come se fosse stato un errore. E poi di nuovo il distacco.
"Non ti ci abituare, eh. Di solito faccio più casino di così"
"Ci conto", risposi.
Si girò per andarsene, ma poi si fermò di nuovo. Un'esitazione, leggera. Poi, senza guardarmi direttamente:
"...Come ti chiami?"
La domanda arrivò tagliente e secca, come se gli bruciasse in bocca. Ma era sincera.
Lo guardai, sorpresa. Fino a quel momento ero solo "la fotografa". Una presenza tollerata. Invisibile.
"Carlotta" risposi, tenendo lo sguardo fermo.
Max annuì appena. "Ok."
E poi se ne andò, lasciando dietro di sé il solito silenzio pieno di rumori... e un battito in più nel mio petto.
Non era solo curiosità. Era qualcosa che stava iniziando a incrinarsi.
*****
Quella sera, dopo aver consegnato le ultime foto al reparto comunicazione, decisi di restare ancora un po' nel paddock. C'era qualcosa di affascinante nell'atmosfera notturna: tutto si spegneva in superficie, ma sotto, il cuore del circuito continuava a battere. Le luci dei motorhome, i passi ovattati di qualche ingegnere in ritardo, il rumore sordo delle casse che venivano caricate. Era come vedere il dietro le quinte di un mondo che durante il giorno sembrava invincibile.
Mi sedetti su uno scalino, vicino al retro del motorhome Red Bull, con la macchina fotografica accanto a me e un energy drink in mano. Le foto della giornata mi passavano nella testa una ad una. E poi, inevitabilmente, anche lui.
Max.
La sua voce tagliente, i suoi sguardi che pesavano, e quel momento, quasi impercettibile in cui mi aveva chiesto il nome. Come se non gli fosse importato davvero... ma un po' sì.
"Sei ovunque, eh."
Alzai lo sguardo. Max era lì, a pochi passi da me. Felpa scura, cappuccio abbassato, mani in tasca. Lo sguardo meno armato del solito. O forse solo stanco.
"Solo dove non dovrei", risposi.
"Non è un brutto posto, in fondo. Almeno qui non ci sono meccanici che ti urlano addosso o ingegneri che vogliono rivedere tutto quindici volte."
Si sedette accanto a me, lasciando un paio di passi tra di noi. Silenzio. Ma non pesante. Solo... vero.
"Pensavo che fuori dalla pista fossi ancora più intrattabile", dissi, senza guardarlo.
"Chi ti dice che non lo sia?" ribatté con un mezzo sorriso.
"Sto solo facendo una pausa dal mio personaggio da stronzo."
Scoppiammo entrambi in una risata breve, quasi sorpresa.
"Tu invece? Sempre così tranquilla? O è solo una tecnica per non farti cacciare i tuoi primi giorni?"
"È sopravvivenza", risposi. "E osservazione. A volte stando zitti si capiscono più cose."
Max si voltò verso di me, gli occhi più scuri nella luce artificiale.
"E cosa hai capito, finora?"
Lo guardai. Era una sfida. Ma non solo.
"Che non sei così impermeabile come fingi di essere", dissi piano. "Che guardi tutti, ma non lasci che nessuno guardi davvero te."
Lui rimase in silenzio per qualche secondo. Poi abbassò lo sguardo. Un gesto quasi impercettibile, ma eloquente.
"Forse per questo le tue foto sono buone", disse. "Perché vedi troppo."
"È un problema?"
"No. È solo pericoloso."
Si alzò, come se avesse detto fin troppo. Fece per andarsene, poi si fermò, senza voltarsi.
"Domani... cerca di non farmi venire troppo male. Almeno un'illusione lasciamela."
E poi sparì tra i riflessi delle luci e il rumore sommesso della notte.
Io rimasi lì, immobile. Con la sensazione netta che, per quanto provasse a evitare tutto e tutti... Max Verstappen mi stesse già lasciando entrare. A modo suo. Lentamente. E contro la sua stessa volontà.
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WHEN I'M GONE // MAX VERSTAPPEN
FanfictionEntrare in Red Bull come fotografa era il sogno della sua vita. Innamorarsi di Max Verstappen non faceva parte del piano. Ma certe storie bruciano in fretta, troppo intense per durare. E quando tutto sembra finalmente perfetto, la vita presenta il...
