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Non avrebbe mai lasciato Midabd senza il suo libro di fiabe. Avrebbe potuto abbandonare tutto, ma non quell'unico oggetto. L'urgenza nell'aria non glielo avrebbe permesso, ma l'attaccamento a quelle pagine era più forte del raziocinio.

Le fiabe delle Meraviglie era l'ultimo baluardo che la legava alla sua vita passata. Sarebbe stato come perdere sua madre per la seconda volta. Quando lo leggeva sentiva attorno a lei il riverbero della sua voce. Un'allucinazione confortante. L'eco di loro due insieme sedute a terra, nella catapecchia che chiamavano casa a sfogliare quelle pagine ingiallite.

Proseguì rasente al muro rimanendo il più possibile celata dall'ambiente circostante. Sfruttò ogni angolo oscuro, ogni barile, ogni pila di immondizia accatastata. Cercando un ingresso per i tunnel fognari, fece a pezzi minuscoli i manifesti sfogando sulla carta tutta la sua frustrazione. Ad ogni strappo immaginò di farglieli ingoiare uno ad uno. Così anche lui avrebbe provato la stretta alla gola che stava percependo lei. La claustrofobica mancanza aria, la bocca arida dopo giorni di sete.

Quello stupido, stupido idiota, aveva parlato come era ovvio accadesse. Però il modo in cui l'aveva guardata vergognandosi, il tono sommesso che aveva usato per dire "non ne avevo idea", gli occhi velati dal rimorso, l'avevano resa cieca nei confronti della situazione: lei era la criminale, lui la giustizia. Per quanto contorta la situazione fosse si sentiva tradita. La stupida era lei che aveva provato a dare una lettura diversa alle emozioni che aveva scorto sul suo viso.

Non aveva fatto avvicinare qualcuno per dieci anni e l'unica persona con cui aveva scambiato più di un saluto era la stessa che aveva causato la sua fine.

Con lo slancio della corsa si lasciò cadere a terra scivolando nella prima inferriata che le comparve davanti. La gonna del guarnello si sacrificò per salvaguardare i pantaloni alla turca che portava sotto.

Atterò sulle gambe come avrebbe fatto un gatto. Non perse altro tempo.

Mentre scattava sotto i piedi dei cittadini ignari della sua presenza, riuscì a sentire spezzoni di conversazioni. Un uomo diceva di aver visto la Guardia Sultanesca aggirarsi per la città fin dalle prime luci dell'alba.

Merda

Due donne si stavano raccontando di cosa avrebbero preparato per il pranzo. Un'altra donna piangeva e tra i singhiozzi disse qualcosa sulle sparizioni avvenute nell'ultimo periodo. Un gruppo di persone, dicevano qualcosa a proposito dei furti commessi da una donna. Altri parlottavano, sicuramente di qualcosa di importante, ma non poteva soffermarsi su illazioni vuote, quando c'era in gioco la sua libertà.

Libro. Cavallo. Deserto. Questo l'elenco mentale che recitava tra la tachicardia e il fiatone. Il suo vicolo cieco sembrava lontano anni luce. La gonna strappata le intralciava la corsa. Iniziò a strattonarla ad ogni falcata, strappandola definitivamente dalla parte superiore a sette svolte di distanza dalla sua destinazione. Si assicurò di riporre nel tascapane, anche il borsello che fino a quel momento aveva tenuto vicino al cuore.

Era più lontana di quanto la sua mente avesse calcolato. Grazie al cielo, negli anni precedenti aveva mappato e contrassegnato ogni tunnel, anche quelli che a primo avviso erano sembrati inutili.

Inizialmente, aveva segnato il significato dei simboli in un prontuario che con il trascorrere degli anni era diventato superfluo. Aveva imparato a memoria tutto.

Le ci volle circa mezz'ora di corsa per arrivare all'ultima svolta prima di vedere la luce. Il fiato corto le faceva gonfiare dolorosamente il petto.

Non era la luce in fondo al tunnel di cui metaforicamente si parlava. Si arrestò dietro l'ultimo angolo, il flebile chiarore proiettava ombre sul liscio lastricato delle fogne. Il cuore le trivellava la gabbia toracica come non le succedeva da tempo.

Alba di Sabbia e AmetistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora