CAPITOLO 1

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Crowley esitò davanti alla porta della libreria.

Già sul marciapiede riusciva a sentire il cambiamento: l'essenza di Aziraphale si era quasi del tutto dissolta, sostituita da una diversa, più tenue e dolce.

Quanto tempo era passato? Forse un mese, o giù di lì.

Tornare era stata una delle decisioni più difficili che aveva dovuto prendere, ma aveva passato quel tempo recluso nel suo appartamento, col desiderio di chiudere gli occhi, dormire, porre fine a tutto quel dolore, senza ovviamente riuscirci.

Aveva davvero bisogno di sentire Aziraphale vicino a sé, almeno il suo profumo, anche solo sedendo sulla sua poltroncina, in mezzo a tutti i suoi amati libri. L'angelo che aveva preso il posto di Aziraphale glielo avrebbe lasciato fare? Immaginava di sì, così si fece coraggio ed entrò.

Muriel stava spolverando uno dei grandi scaffali arrampicata in maniera traballante su una sedia, quando si voltò per vedere chi era entrato rischiò di cadere.

Crowley fu rapido a raccoglierla tra le braccia e rimetterla illesa a terra. «Occhio, il tuo corpo materiale non gradirebbe un simile colpo.»

«Oh, grazie.» Si rassettò e si aggiustò i riccioli neri, guardandolo timidamente dal basso. Si corrucciò appena. «Lei non dovrebbe essere qui.»

Crowley fece spallucce. «Perché no? È una libreria aperta al pubblico.»

«Beh, sì, ma...»

«Se mi fosse davvero proibito non sarei nemmeno riuscito a varcare la porta, non pensi?»

Muriel sembrò rifletterci.

«Mettiamola così,» insistette Crowley. «Ho un permesso speciale datomi dall'Arcangelo Supremo in persona.»

«Capisco, in questo caso allora prego, vuole un libro?»

Il demone si guardò attorno, si avvicinò alla scrivania e sedette sulla poltroncina di Aziraphale. «Posso leggerlo seduto qui?»

«Sì, ma certo.» Muriel sembrava perplessa, ma non obiettò. Si allontanò verso il retrobottega.

Crowley si appoggiò allo schienale, assaporò l'odore di carta, di inchiostro, la luce dorata che pioveva dalla finestra. Si sfilò gli occhiali e li poggiò sopra la statuina di legno del cavallo, fece scorrere un dito sulla linea lucida della scrivania, aprì il cassetto e lo vide.

Un grosso tomo rilegato, sulla copertina vi era una incisione dorata di un numero romano: XIII. Aziraphale non teneva i libri nei cassetti. Lo prese in mano e aprì la copertina.

Non era stampato, non era un saggio o un romanzo. Le pagine erano vergate in una curatissima grafia, con l'inchiostro nero che sfumava in un bel blu metallico.

La prima pagina aveva una scritta ampia, centrale, e siglava:

Diario numero tredici di A. Z. Fell

Un tuffo al cuore. Aziraphale teneva un diario? No, anzi, ne aveva avuti ben tredici! Non c'era poi da stupirsi, seimila anni erano tanti.

Con un certo indugio, Crowley sfogliò la prima pagina e iniziò a leggere.

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Maggio 1941

Non stava piovendo, il cielo era libero dalle nuvole e la luce brillante del sole pomeridiano di maggio entrava dalla finestra e inondava la scrivania, si rifletteva sul calamaio di vetro, faceva scintillare il pennino d'argento nella sua custodia, mostrava la sottile patina di polvere sopra i libri ordinati in due pile, ma soprattutto, illuminava un taccuino aperto con lo schizzo in carboncino appena iniziato, ma già perfettamente riconoscibile.

Aziraphale guardava fuori dalla finestra, seduto sulla poltroncina damascata, con una tazza di tè ormai freddo tra le mani e le punte delle dita ancora macchiate di nero.

La notte precedente aveva segnato la fine del "blitz" tedesco, lo sapeva perché quelle notizie giungevano con un po' d'anticipo nei bollettini infernali e Crowley lo teneva informato. Aziraphale non poteva che esserne lieto, anche se quella guerra era ben lungi dall'essere terminata, ma almeno la città di Londra avrebbe tratto un sospiro di sollievo.

Per quanto amasse gli umani, non riusciva a comprendere il loro istinto distruttivo, ma lo accettava, perché tutto, prima o poi, rientrava nel Piano Ineffabile.

Abbassò lo sguardo verso lo schizzo che aveva realizzato in una pagina pulita del suo tredicesimo diario. Lasciò la tazza di tè sul ripiano e riprese in mano il carboncino, non era la prima volta che provava a imprimere quelle fattezze spigolose su un foglio, ma doveva ammettere che era più facile ogni volta di più. Marcò la linea delle labbra, sottolineò l'ombra sotto il mento affilato.

Sì, beh, piuttosto somigliante, sfiorò col dito sporco quella bocca imbronciata e sospirò.

Tra le tante faccende terrene e gli impegni celesti i suoi pensieri non avrebbero dovuto andare costantemente a lui, eppure...

Tutto questo accadeva da quella fatidica notte, dopo la questione con i nazisti e la distruzione della Chiesa. Aziraphale ricordava anche il momento preciso in cui, dopo tanti secoli, aveva realizzato cosa il demone significasse davvero per lui.

«Che follia! Entrare in un luogo consacrato pur di evitare che mi discorporassi!» mormorò sorridendo e sollevando il ritratto. Non gli aveva disegnato gli occhiali, perché gli occhi di Crowley erano splendidi, soprattutto quando si specchiavano nei suoi.

Restavano però così tanti dubbi, erano l'uno la nemesi dell'altro, per definizione, eppure erano così uniti, così affiatati e complici in ogni singolo passo. Per cui, cosa doveva farne di quei sentimenti? Ancora un sospiro.

Lasciò da parte il carboncino, si deterse distrattamente le dita e prese il pennino, immergendolo poi nel calamaio. Avrebbe potuto usare le pulitissime penne a sfera che ora andavano così di moda, ma Aziraphale riteneva che la grafia risultasse molto più elegante con il pennino.

Nella pagina accanto al ritratto cominciò a scrivere.

Caro Diario,

non vedo Crowley dalla sera dello spettacolo. Abbiamo brindato al successo ottenuto a teatro e allo scampato pericolo che l'Inferno potesse accusarlo di essere un mio collaboratore. In un certo senso abbiamo celebrato la reciproca fiducia che ci unisce e la nostra amicizia.

Ma adesso penso che l'umano termine amicizia non sia adeguato, è troppo limitante per quello che sento: è qualcosa di profondo che riempe il mio petto, catalizza i miei pensieri, arriva a colmare tutta la mia essenza celestiale. A volte, quando lui fa qualcosa di gentile nei miei riguardi, come ad esempio l'aver salvato i libri dalla distruzione, tale sensazione diventa un fremito che faccio fatica a contenere e mi ritrovo ricolmo di questa luce splendente in cui vorrei avvolgerlo. Mi obbligo a tenere tutto segreto in me perché temo che questo fulgore così meraviglioso potrebbe bruciarlo, del resto lui è un demonio e io mai vorrei fargli del male.

Asciugò il pennino, osservò le ultime parole con un lieve senso di tristezza e infine ripose il diario nel cassetto. Prese la tazza con il tè e si alzò, per dirigersi verso la cucina nel retrobottega.

Visto che il pomeriggio era ancora nel suo pieno splendore primaverile e c'era molto da ricostruire a Londra, avrebbe fatto bene a uscire per fare qualche miracolo in tutta discrezione e, perché no, chiedere a Crowley se aveva voglia di cenare con lui.

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Crowley rilesse l'ultima frase e sbuffò.

Mai vorrei fargli del male.

Oh, Aziraphale, direi che questo non ti è riuscito molto bene.

I segreti di A.Z. Fellحيث تعيش القصص. اكتشف الآن