Non è stata colpa tua

Beginne am Anfang
                                    


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Pensavo che al lavoro ne avrebbero parlato. Ma non succede mai che si parli di quello che succede in giro, ognuno racconta i fatti propri, ognuno si lamenta. Arrivo in ufficio, saluto, guardiamo insieme il programma della giornata, a volte riprendiamo i discorsi lasciati a metà il giorno prima.

Non so dire se sono rimasto deluso.

Ci sono andato con gli stessi pantaloni, sono dei jeans neri, erano già macchiati prima, li ho lavati la notte stessa, la schiuma nella lavatrice era tutta rossa, ma al mattino, quando li ho tolti dal termosifone, non sembravano diversi.

Anche in questo caso non so cosa mi aspettassi.

Forse che qualcuno se ne accorgesse, forse che nessuno notasse niente.

E' andata così.

Ho fatto le cose di tutti i giorni, mi sono messo le cuffie, ho fatto pausa al bar, staccavo alle 14, ho timbrato e me ne sono tornato a casa.

Molti fanno così, il giorno dopo si comportano come se niente fosse, e così ho fatto anche io.

In tv non parlavano d'altro.

Mi ha chiamato mio padre per chiedermi se fossi andato a cena dai miei, dato che mia sorella sarebbe passata anche lei.

Ci sono andato, con mia sorella vado molto d'accordo, ci vediamo meno, adesso, perché la bambina torna dal nido tutti i giorni con una malattia diversa e finisce che se la prendono anche lei e suo marito.

Mi piace anche suo marito, sono una bella coppia.

E mi piace anche la piccola, Stella.

Volevano chiamarla Aria ma poi hanno pensato che l'avrebbero presa in giro per via delle serie tv.

I nomi sono un'altra cosa a cui pensare bene.

Comunque me ne sono stato buono tutto il giorno dopo, e anche la mattina seguente.

Ma sapevo che poi avrebbe iniziato a puzzare e non volevo sentirmi male, quindi il resto l'ho fatto la sera stessa.

Prima di lasciarla le avevo coperto la faccia, e quando sono arrivato sono stato contento, perché in quei momenti, quando sei preso dalla foga, è facile, ma dopo, a freddo, tutta quella parte è solo faticosa e fa un po' schifo.

L'ho avvolta in un lenzuolo, l'ho legato stretto in tre punti e poi ho iniziato a tagliare.

L'odore c'era, ma non è stato terribile.

Ho portato via una sola valigia, perché è quella che deve andare più lontano.

Testa, mani e piedi.

Ovviamente ho scelto l'acqua ferma, un vecchio bacino idrico, non ci va nessuno da anni, è una palude.

La valigia era di vera pelle, presa a un mercatino, si riempirà di acqua e marcirà insieme al resto.

Un po' mi è dispiaciuto portare il primo carico lì, perché è davvero un bel nascondiglio.

Ma mi sono ripromesso di fare le cose per bene.

Un posto, un deposito.

Domani tocca al busto, gambe e braccia per ultime.

Mi fanno male le spalle.

Non sembra, ma è un lavoro pesante.

Io davvero non lo so come fanno, i macellai.


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Tre erano le ipotesi plausibili.

La prima era che Assunta si fosse allontanata volontariamente, che la scomparsa fosse tutta scena, uno specchietto per le allodole, che magari fosse in combutta con qualcuno della palestra, istruito a dire che sembrava un po' svagata, meno attiva, che aveva detto questo o aveva detto quello. Fuga d'amore, conflitti in famiglia, qualche affare sordido in cui era finita invischiata, chissà.

La seconda era che fosse incappata accidentalmente in qualcosa, che fosse stata testimone di un reato, o vittima casuale, magari di uno scippo, un'aggressione a sfondo sessuale che poi aveva avuto un tragico epilogo, ma tutto fosse stato frutto di un semplice effetto domino, sfortuna, posto sbagliato al momento sbagliato.

La terza ipotesi era quella più probabile, ma anche la meno desiderabile, pur nella cartina tornasole degli eventuali orrori in cui la ragazza poteva essere incappata: la premeditazione. Assunta era stata scelta. Chi l'aveva presa (sequestrata? stuprata? uccisa?) sapeva benissimo chi fosse, quali fossero i suoi orari, che quel giorno sarebbe andata in palestra e come fosse fatta la sua borraccia. L'ipotesi della droga nell'acqua e della sostituzione del contenitore reggeva soltanto in questo caso.

La terza ipotesi si divideva in altre due strade: ad aggredire la ragazza poteva essere stato qualcuno che apparteneva alla sua vita reale, oppure veniva dalla sua vita virtuale.

Quattro ramificazioni della stessa indagine presero a svolgersi contemporaneamente, all'interno di un'unica squadra che faceva capo alla questura di Salerno. La sorella fu messa sotto torchio, poi il padre, quindi la madre e l'ex-fidanzato. L'attenzione sulla famiglia si allentò man mano che saliva quella delle interazioni virtuali di Assunta. I dati del telefono avevano mostrato tutta una serie di scambi, alcuni anche molto spinti, con ragazzi conosciuti in rete. Vennero rintracciati tutti quanti, ogni alibi verificato, prese le impronte e il DNA per un eventuale futuro confronto. Si risolse in un niente di fatto. Gli esperti scandagliarono i canali della ragazza, ogni commento malevolo, eventuali flame, detrattori, hater. Le settimane passavano, Assunta Lozzi non ricompariva. Fiorivano gli appelli, della sorella, di altri influencer, della televisione, del vescovo. Nessuno andò in gita al bacino idrico. Nessuno individuò la piccola discarica a cielo aperto vicino alla foce del Sele. Nessuno notò piccole barche al largo di Agropoli. Nessuno si accorse di un commento anonimo, innocuo, perso in mezzo agli altri, sotto un post di due mesi prima. Nella foto pubblicata, Assunta, raggiante mentre teneva tra le braccia un enorme mazzo di rose screziate, faceva una piccola linguaccia all'obiettivo e nella descrizione scriveva:

"Ecco a voi una ragazza felice."

Forse sbagliandosi, forse inviando il commento prima di averlo completato, centotrentasette commenti sotto qualcuno aveva scritto una sola parola:

"Io."

Io.Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt