Era la parola giusta, intenso, fin dal primo incontro, Max Verstappen avrei potuto descriverlo solo così. Ogni volta che eravamo insieme riuscivo a percepirlo ovunque e non sapevo descrivere la sensazione.

«Se vuoi ti aspetto giù, io sono già pronto.» Sospirò una volta arrivati sotto al mio appartamento.

«Parcheggia meglio, vieni su anche tu.» Presi il mio borsone appoggiato sotto i piedi e aprii la portiera per scendere una volta sistemata la macchina. Lui mi seguì senza controbattere.

Dalla tasca più piccola recuperai le chiavi di casa e, intenta ad aprire, Max mi tolse lo zaino dalle braccia per aiutarmi, chiudendo la sacca aperta.

In silenzio ci ritrovammo nell'abitacolo dell'ascensore e quando le porte si spalancarono, aprii anche l'uscio di casa.

«Sono un po' lenta, quindi fai come se fossi a casa tua.» Sorrisi, osservandolo seguirmi in cucina e spostare una sedia del tavolo per appoggiare la mia roba.

«Sarò anche il più veloce del mondo, ma a prepararmi sono una lumaca anche io.» Ridacchiò in risposta, non riuscendo a farmi smettere di rimanere in palata in corridoio a guardarlo. Ma mi obbligai a scappare in camera, ancora con l'espressione felice dipinta sul volto.

E fu proprio quella che scrutai nello specchio dell'armadio. Mi sentivo contenta.

Non riuscivo a spiegare perché, ma con Max Verstappen avevo questa connessione di leggerezza che mi faceva respirare.

Decisi di togliermi il jeans e la maglietta, optando per un abito nero e lungo, tanto da coprirmi oltre le ginocchia. Infilai una cintura sui fianchi per bellezza e cercai il mio cappotto scuro nell'armadio.

Andai nel bagno della camera per ritoccare velocemente il trucco, che se non per qualche macchia di mascara sciolto sotto gli occhi, era ancora buono. Stesi sulle labbra un rossetto nude e infilai degli stivali che mi resero più alta.

Poteva andare per cena tra amici.

Misi la giacca uscendo dalla stanza e nello specchio del corridoio sistemai la frangetta. Tornata in soggiorno trovai Max seduto sul divano con una mano davanti agli occhi e la testa appoggiata sul cuscino.

«Max?» Lo chiamai una volta davanti a lui e spostando le dita dal volto mi guardò. Sembrava stanco.

«Scusami, ma hai un divano comodissimo.» Ancora una volta, come se fosse di routine, sorrisi. Osservai i suoi occhi percorrere il mio corpo e decisi di camminare verso il tavolo per riprendere il mio zaino con la macchina fotografica. Magari Hugo voleva qualche foto con i suoi familiari per ricordare la giornata.

«Potevi dormire un po', con il tempo che ci ho messo non me la sarei presa.» Mormorai, vedendolo alzarsi e avvicinarsi per togliermi ancora una volta ogni cosa avessi nelle mani.

«Guarda che non pesa tanto.» Mormorai chiudendomi la porta di casa alle spalle e appoggiandoci la schiena per guardarlo.

«Non è in tinta con i vestiti.» Giustificò così la sua continua gentilezza e non dissi niente, trattenendo tra le labbra la solita espressione che quel ragazzo continuava a causare.

Al contrario dell'andata verso la palestra, salì lui nel posto del conducente ma fui io ad abbassare i finestrini per lui.

Questa mia azione gli causò un ritardo nella partenza, si voltò a osservarmi, ancora intensamente, questa volta però come se mi stesse guardando per la prima volta davvero.

«Max?» Lo chiamai passando lo sguardo sul piccolo tablet di bordo per cercare l'ora. Saremmo arrivati per ultimi.

«Sì, Holland?» Passò tra i denti le parole, ma sorrise in un modo quasi malizioso. Fu in quel momento che notai la casualità del mio nome e del suo Stato di nascita.
Non mi aveva mai chiamata per intero e forse, fino a quella mattina, non sapeva neanche che Hollie fosse il diminutivo di Holland.

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⏰ Last updated: Apr 18 ⏰

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Marriage Avoided | CL16 Where stories live. Discover now