Capitolo quattro: Rimpianti

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Annuii e voltai l'angolo di un corridoio lungo circa cinquanta metri. Dietro di me l'ascensore si richiuse e con un bip salì verso l'alto, per poi tornare alla sua posizione iniziale. Le luci erano spente, mi muovevo al buio con solo qualche faretto rosso poco luminoso e montato sul pavimento a farmi da sentireo. Sembrava una pista d'atterraggio in miniatura.

Canticchiavo, seguendo la luce che filtrava da due oblò sopra una porta mezzo aperta. Ero felice che i cagnolini stessero bene. Mi sentivo ossessionato da quegli animali che facevano da leva mentale perfetta per muovermi come un burattino.

Quando aprii la porta con una spinta, sentii che fece uno scatto indietro quasi come se viaggiasse su un binario nel terreno. Accanto c'era un pannello che segnava la scritta "aperta da controllo remoto", poi una serie di lucine intermittenti che rappresentavano i piani e le porte aperte recanti numeri e diciture che non capivo.

Non mi passò nemmeno per l'anticamera del cervello di guardarmi intorno, analizzare il perimetro per capire se stessi correndo un pericolo o nascondermi dietro qualcosa. Stavo puntando alle voci in fondo alla stanza, dietro un separé di cemento aperto.

Passai i cinque letti a cuccetta alla mia destra e alla mia sinistra stipati contro le due pareti della stanza, scavalcai gli zaini, i sacchi a pelo, delle valigie trolley e qualche mobile. Le voci erano due, una maschile e una femminile, parlavano piano ma erano concitate.

Caricai il fucile.

Giulio, ci sei vicino. Poggia il calcio del fucile alla spalla, leva la sicura ... bravo, così. Ora volta l'angolo e punta alla tua destra, dove c'è l'uomo. Ricorda che le parole sono ...

<< State fermi! Fermi e nessuno si farà male! >> berciai in una cantilena biascicata, facendo cascare della bava sopra l'arma. Tenevo la testa di lato, guardavo quelle due facce spaventate ma non le vedevo davvero. Ricordo però che i visi mi sembrarono traslare, cambiando di volta in volta i connotati.

Prima mia madre, mio nonno, un vicino di casa, Cinzia, Simona e tutte le maestre delle elementari. Era solo un'allucinazione?

<< C-cosa ... cosa cazzo stai ... >> bofonchiò l'uomo.

<< State fermi! Fermi e nessuno si farà male! State fermi! Fermi e nessuno si farà male! State fermi! Fermi e nessuno ... >>

Continuai a ripetere come un disco incantato quella filastrocca, piegando il collo prima a destra e poi a sinistra. Le ultime sillabe le sputai con grumi di saliva biancastra che mi si era formata sulla lingua a forza di tenere la bocca aperta. Il naso mi colava ma non avevo proprio intenzione di tirare su o asciugarmi il moccolo.

Un cazzo di eroinomane, al confronto, sarebbe sembrato un lord.

I due erano stati presi con le mani nella marmellata, si vedeva lontano un miglio: lei aveva la camicetta sbottonata e la gonna mezzo alzata; lui la cintura dei pantaloni slacciata e il camicie aperto che frusciava in maniera disordinata ad ogni suo movimento.

Ero in botta ma la mia mente ne immagazzinava i tratti con passiva lentezza. Come quando ci si concentra su qualcosa di fronte a se ma nella periferia del campo visivo c'è un dettaglio che ti salta all'occhio, no? Ecco, tutto ciò che mi importava era rivedere i cagnolini ma le loro facce rimanevano comunque di fronte ai miei occhi benché non riuscissi a concentrarmici su per più di pochi secondi per volta. Era un ciclo infinito di deficit dell'attenzione e credo che il cervello stesse cominciando a combattere per riprendere il controllo.

Lei era giovane, parecchio giovane, anche se portava l'acconciatura da segretaria e un tailleur che la invecchiava di dieci anni almeno. La sua pelle liscia faceva contrasto con gli occhiali tondi dalla montatura rosa. Era biondissima, i capelli sfioravano il color platino senza addentrarcisi per un soffio. Il trucco invece, quasi del tutto assente, si poteva notare per la sbavatura della matita sotto gli occhi. Il mio cervellino drogato capì che poco prima stava piangendo.

Una Volgare Dimostrazione di Potere: SoldatoWhere stories live. Discover now