Il Marchio

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"Ti ho spezzato le ali, Angelo" dal tono della voce capisco che sta sorridendo divertito.

"No, mi hai solo strappato qualche piuma, ricresceranno" ringhio mentre nascondo la disperazione.

"Allora ci ritroveremo" sussurrò.

Su quel sussurro mi svegliai, urlando come tutte le notti, madida di sudore come tutte le notti. La sensazione della sua voce vellutata, del suo respiro che mi accarezza il viso. Il lancinante dolore delle sue unghie conficcate nella carne. La sensazione del sangue caldo che cola lentamente sull'asfalto. Il mio sangue, che si mescola a quello di mio fratello.

E il ricordo che più mi da la nausea, il suo mugolio di piacere mentre assapora il mio sangue e il suo bacio prima di sparire nel buio. Mi alzo rabbrividendo; quelle sensazioni così reali tormentano le mie notti da ormai tre anni, non ricordo l'ultima volta in cui ho riposato veramente. Non ho nessun problema a prendere sonno, anzi come tocco il cuscino mi addormento. Sono i sogni che mi tengono sveglia. Faccio di tutto per stancarmi il più possibile durante il giorno, nella vana speranza di scivolare nel più profondo dei sonni. Sostituisco tutti i miei colleghi facendo turni assurdi, a ritmi insostenibili per un essere umano. 

Ma in fondo io del tutto umana non lo sono, giusto? Il maledetto mi ha contaminata e marchiata. Ha versato qualche goccia di sangue nelle mie ferite. Poco, giusto quello che bastava per fare in modo che la mia umanità venisse inquinata dall'impurità della sua razza. Sono rimasta umana a tutti gli effetti, solo con una resistenza ed una forza decisamente superiori a quelli che già la mia natura di Cacciatrice mi conferiva.

"Un piccolo dono per questo splendido angelo" mi aveva sussurrato il bastardo. Certo. Sporcarmi con il suo sangue, eccolo il suo piccolo dono. Aprii l'acqua della doccia, facendo scivolare l'acqua sul mio corpo nella speranza che portasse via anche la sofferenza ed i ricordi. Non lo faceva mai. Strusciavo, pregavo e piangevo, ma l'acqua non portava mai niente con sé. Anche lei rifiutava il mio dolore.

Uscii dalla doccia e mi diressi in camera, lasciando che fosse l'aria ad asciugarmi. Frugai nell'armadio alla ricerca di qualcosa di comodo, qualcosa di diverso dal mio solito abbigliamento. Era il mio giorno libero dopo non so quanto tempo; in realtà io non lo volevo quel dannato giorno libero ma, volente o meno, tutti dovevano avere la quantità di ferie e liberi imposti dalla Lega. Stupidi regolamenti. Cosa me ne facevo di un giorno libero? La mia unica famiglia era mio fratello, i miei unici amici i miei colleghi e il mio unico interesse il mio lavoro.

L'ultima affermazione non era del tutto esatta, un interesse all'infuori del lavoro lo avevo. 

Mi incamminai verso il parco; la giornata splendida lo aveva riempito di persone, c'erano molte coppiette che si tenevano per la mano, sorridendo a quel futuro costruito sul sangue dell'ultima guerra, quella della terza generazione, la mia. Sorrisi amaramente, guardando i bambini che si rincorrevano ridendo, e provai una fitta di rimpianto. Avevo fatto la mia scelta tempo fa e non avevo rimpianti a riguardo, ma quando vedevo dei bambini mi chiedevo come sarebbe stato avere un compagno, dei figli ed una vita normale. Sospirai e proseguii verso la mia destinazione iniziale.

Poco dopo scorsi il tetto a pagoda che rivelava la presenza di una palestra, una palestra piccola e senza pretese che sembrava voler restare isolata dal mondo. Secondo il Maestro solo chi la trovava aveva diritto a frequentarla. Il Maestro. Sorrisi e ripensai al nostro primo incontro.

Flashback

Era notte e pioveva, perché non piove forse sempre quando si fanno quegli incontri che ti cambiano la vita? Certo.

Dunque pioveva, io ero corsa via dal mio solito incubo e mi ero trovata a camminare senza meta. Quel mio camminare mi aveva portato al parco ed infine sotto un bizzarro riparo fornito da quella sconosciuta struttura a pagoda. Mi ero seduta sotto il tetto, avevo raccolto le gambe al petto circondandole con le braccia e poggiato la fronte sulle ginocchia. Dovevo essermi addormentata, nonostante il freddo, perché mi accorsi che qualcuno mi stava tentennando delicatamente. Quando avevo aperto gli occhi, non senza fatica, accanto a me sedeva un uomo di un'età indefinita che mi porgeva una tazza di caffè fumante. Non sembrava minimamente sorpreso dalla mia presenza, né dal fatto che una ragazza completamente zuppa e tremante si trovasse sotto il suo tetto addormentata. Era immobile, la tazza di caffè sempre in mano. Abbassai le braccia lungo il corpo e rilasciai le gambe. Presi gentilmente la tazza dalle sue mani, che riportò in grembo con un movimento piacevolmente fluido.

Ali di sangue (Saga di Sangue libro I)Where stories live. Discover now