undici

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Era oramai quasi ora di cena quando uscirono da casa Moretti.

Sedettero silenziosi in macchina, come per riordinare le idee ognuno per proprio conto. Sonia stava riportando sul proprio quaderno degli appunti le informazioni più interessanti, catalogandole secondo uno schema personale che le dava opportunità di consultarle in maniera veloce secondo ciò che cercava. Sarebbe stata un'ottima archivista se non avesse scelto la carriera al servizio dello stato.

"Vai a casa?" interruppe i suoi pensieri De Santis. "Ti accompagno?".

"Si grazie, Ugo" rispose Sonia. Si rese conto in quel momento che da quando era entrata a scuola la mattina non aveva pensato a null'altro che a quella povera ragazza e alla fine che aveva fatto. E capì anche i passi avanti fatti nel personale percorso di avvicinamento alla verità.

Quello che prima era anche per lei solo un indiziato stava diventando rapidamente un sospettato, forse un colpevole. C'è un momento nelle indagini, ricordava dal corso, nel quale, senza intenzione, senza un unico motivo veramente decisivo, un indiziato cresce d'importanza rispetto agli eventuali altri. Le attività diventano monodirezionali, si cerca il perché quel singolo individuo assurge a protagonista del crimine invece che rimanere passivo spettatore. Si concentrano gli sforzi per trovare il come e il perché una persona si macchia di un crimine. La messa a fuoco della macchina da presa delle indagini si fissa su un singolo punto, si tracciano i movimenti del sospetto con precisione chirurgica, si analizzano persino i resti di ciò che mangia o i suoi sacchetti della spazzatura. Nulla rimane intentato fino a quando non si trova il punto debole che lo fa crollare. Quando tutto questo avviene lo sforzo che si produce è rumoroso quanto un'officina meccanica in piena attività. Non si pensa ad altro, la ricerca delle prove è un'ossessione che senza sosta ti spinge verso l'abbrutimento. Non mangi, dormi male, le relazioni sociali sono ridotte al minimo sindacale.

Sonia si ritrovò sotto casa senza accorgersene, Ugo aveva fermato la macchina esattamente davanti al suo portone.

"Ci vediamo domattina in ufficio" la salutò De Santis.

"D'accordo. Grazie per oggi pomeriggio".

"Di che parli? Grazie di che?".

"Beh, credo che se non ci fossi stato te quell'energumeno del tuo amico mi avrebbe mangiato" sorrise Sonia, riferendosi al gigante vicino di casa di Stefania.

"Troppe ne vedremo di cose così. Io ringrazio te perché so che scriverai ora il rapporto di oggi, mentre io mi spalmerò in mutande a vedere la televisione" scherzò De Santis.

"A domani". Sonia guardò il collega allontanarsi per qualche momento prima di aprire il portoncino che la introdusse nell'angusto androne della piccola palazzina nella quale abitava.

Controllò la posta e come il solito non trovò nulla. Era certa che la sua casella di posta elettronica invece sarebbe stata piena di messaggi. Per lei, come per molti della sua età, la posta era qualcosa fatta di caratteri su uno schermo e non di fogli e buste. Nella sua vita non aveva avuto il piacere di ricevere lettere cartacee, di quelle con firma autografa e svolazzo in fondo. Di buste, certo, ne apriva. Bollette, pubblicità, politici in cerca di voto, l'invito a qualche inaugurazione dell'ennesimo ristorante in zona. Ma lettere scritte a mano, con gli errori corretti da un tratto di penna, con la scrittura leggermente pendente da un lato... mai. Era un'esperienza che le mancava. Si segnò mentalmente che il suo prossimo fidanzato avrebbe dovuto scriverle, con la penna, una lettera.

Entrò in casa guardando con disinteresse il poco disordine che c'era. La casa era piccola, il soggiorno con un angolo cottura in legno di faggio, un tavolo di design ereditato dal precedente affittuario, un divano nell'angolo opposto alla parete attrezzata da una libreria povera di tecnologia ma ricca di libri. Dalla zona giorno si entrava con una porta scorrevole nell'unica camera da letto. Un futon giapponese troneggiava su una struttura di legno chiaro. Il piumino era stropicciato, Sonia non ricordava da quanti giorni non rifaceva il letto.

S'infilò sotto la doccia cercando di smettere di pensare per un minuto alla sequenza di cose che doveva fare. Per tutto il giorno non era riuscita a staccare la spina e si sentiva sfinita. Quando era così stanca, metteva ordine con difficoltà nei suoi processi mentali. I pensieri passavano velocemente, troppo velocemente, da una situazione a un altra. I sogni a occhi aperti si legavano con i fatti realmente vissuti nella giornata, creando dei pericolosi cortocircuiti. Delle volte alcune intuizioni erano passate rapidamente davanti ai suoi occhi, troppo rapide per essere colte al volo ma abbastanza vicine da generare ulteriore frustrazione. Rimase sotto il getto bollente per un periodo che non riuscì a misurare. Quando emerse dai suoi pensieri e dalla cabina doccia, le maioliche chiare del bagno erano imperlate di goccioline. L'intero ambiente sembrava un grande bagno turco.

Si mise un pigiama comodo, un paio di calzini di spugna e sedette a gambe incrociate sul divano, il phon nella mano destra per asciugarsi pigramente i capelli mentre rileggeva i propri appunti appoggiati sulla gamba sinistra. A parte il pranzo con De Santis non aveva mangiato nulla ma non aveva fame. Era un segnale inequivocabile che i pensieri stavano prendendo il sopravvento. Compilò il rapporto e lo spedì allo Stronzo via posta elettronica. Avrebbe dovuto comunque stampare il rapporto e consegnarlo, ma in questa maniera il capo avrebbe avuto le sue impressioni da leggere in qualsiasi momento. Era un metodo di lavoro che condivideva. Lo Stronzo rimaneva tale. Ma era bravo. Rispose con poche frasi ad alcune mail personali che giacevano nella sua casella di posta e si concesse una ricca tazza di latte a lunga conservazione piena di cereali a pallina al gusto di cioccolata. Mentre lavava la tazza, ricevette un messaggio sul cellulare. Era dello Stronzo.

"Mi stai ancora sveglia a quest'ora? Ho letto il rapporto. Interessante il contenuto ma scritto da cani. Domani alle 9,30 riunione. Notte".

Sonia sorrise, era il modo dello Stronzo di dirle brava. Guardò l'orologio e si rese conto che era passata mezzanotte da un bel po'. Era tardi e la mattina successiva c'era il lago che la aspettava, prima dell'ufficio.

Sonia e le veritàWhere stories live. Discover now