Capitolo 3. Sonno e ombre

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Sono quasi passati tre quarti d'ora, quando mio padre ritorna, risvegliandomi dal mio stato di trance. Ha il braccio destro fasciato e sotto l'altro tiene uno scrigno che fa cadere malamente sul sedile del passeggero.

«Papà... che cosa è successo?».

Non proferisce parola, né mi degna di uno sguardo. Devo solo rimanere zitto e non fiatare. Non oso nemmeno chiedergli della Regina e del suo bambino, così resto al mio posto, con la schiena schiacciata contro il tessuto del sedile, nella speranza che qualche strana magia mi risucchi al suo interno e mi faccia sparire.

Nonostante il braccio fasciato, mio padre riesce a mettere in moto e a partire via da lì. Si fa scappare un gemito di dolore a ogni cambio marcia, ma dallo specchietto retrovisore vedo i suoi occhi non staccarsi mai dalla strada.

Impieghiamo un'altra ora per ritornare a casa, forse qualcosina in più, ed è passata la mezzanotte quando parcheggiamo.

Papà riprende lo scrigno sottobraccio e si chiude la portiera dietro di sé. Neanche gli importa di avermi lasciato chiuso dentro!

Sento la rabbia pulsare tra le mie vene, esplodermi nel desiderio di spaccare qualcosa. Ma mi limito ad aprire lo sportello dall'interno e sbatterlo senza alcuna delicatezza. Mi prendo un attimo per respirare, poi decido di attraversare il grosso portone di casa, dove, con mia sorpresa, non trovo nessuno ad accoglierci. Le luci del piano terra sono ancora accese e quando papà si ritrova già in cima alla scala a chiocciola della cucina, nonna Rosalba e zia Teresina escono dall'uscio per chiedere mie notizie. Tuttavia, non appena la sorella di papà gli vede il braccio rotto, i suoi allarmismi spingono gli altri cugini ad affacciarsi e mia madre ad accorrere in suo aiuto.

Nessuno si accorge di me, ancora fermo al centro del cortile; da un lato il pozzo ricoperto di fiori, dall'altro il mio nuovo motorino che papà mi ha regalato per il mio compleanno (chissà se si è pentito di averlo fatto, dopo l'esito di questa sera).

Poi zia Silvana con i bigodini in testa e zio Giuseppe con vestaglia e pantofole a forma di topo si avvicinano a me con aria spaventata, ma terribilmente curiosa.

«Allora? Come è andata? Cosa è successo a tuo padre?».

Mio padre si affaccia dal balcone del piano superiore con queste parole: «Il figlio della Regina è morto».

Zia Silvana si tappa la bocca. «Per Heylos! Com'è possibile?».

Approfitto dello stupore che si è appena generato per divincolarmi da loro e salire dritto per la scala a chiocciola.

«Un Oggetto Alterato», sintetizza mio padre. 

«Un Oggetto?», ripete zia Silvana. «Quale? Come? Di chi?». 

Le sue domande continuano a ripetersi e incalzarsi, ma mio padre non ha solo il dono della sintesi, ma anche dell'ermetismo e ci vogliono le insistenze di mia madre per fargli uscire qualche parola in più. Si limita a rispondere che un Vello d'Oro, donato da Emanuele Urtis, il padre della neo Uditrice Angelina, ha assalito e ucciso il piccolo Valentino. Ora dovrà tornare in ufficio per spedire l'Oggetto Alterato a Roma. Nel frattempo, il principale sospettato di questa storia è stato arrestato per essere interrogato.

Papà non termina neanche il suo breve resoconto che una chiamata improvvisa fa squillare il suo telefono da lavoro.

Osservo che è titubante nel rispondere, ma quando accetta la chiamata, il suo volto viene attraversato da più di un'espressione preoccupata. Inizia a camminare in tondo, con lo scrigno contenente il Vello d'Oro appoggiato sul tavolo della cucina e gli occhi scuri sempre più allarmati. Mamma è in tensione quanto me, così abbasso lo sguardo sulla mia piccola sorellina, Sofia. Si è addormentata sul grande divano della cucina con un sorriso sereno tra le guanciotte rosa. Vorrei essere al suo posto in questo momento, non pensare all'inizio di questa lunghissima notte e cancellare ogni ricordo di quanto accaduto, ma d'istinto ruoto il palmo destro della mia mano e il marchio irregolare sulla mia pelle mi ricorda qual è il mio destino.

L'Erede della FeniceWhere stories live. Discover now